Il ricordo è un lembo di terra sigillato nel silenzio, nella rarefazione degli affetti, nella sensazione che la vita è tutta qui, che non ci sia una seconda chance, una possibilità di fuga.
Però il ricordo sa essere anche sogno, intuizione di libertà, crampo di nostalgia.
E' un libro singolare, I luoghi più lontani di Per Petterson, norvegese che ambienta questa sua storia nell'estremità più settentrionale della Danimarca. Singolare soprattutto per le emozioni che ti fa scorrere dentro. Libro ruvido come carta vetrata, accogliente come il tepore di un camino.
Forse le stesse sensazioni che possono procurare certe terre settentrionali, dove la sottrazione delle cose e delle persone sa conquistare con ciò che è davvero essenziale.
Una donna spinge il suo ricordo fino all'adolescenza, in questo Nord che è vero Nord, senza tanti fronzoli, gelo, alcol, inni religiosi, solitudine. Lei, una ragazzina. E lui, il fratello, di qualche anno più grande, come un fiore nel deserto, con il suo carattere solare e ribelle.
Quanti sogni, nelle giornate dei due ragazzi, quante parole condivise e gelosamente serbate. Quanti luoghi che sono altri luoghi, mondi interi coltivati in questa lingua di terra.
Luoghi come sogni, in effetti, o sogni come luoghi. L'altrove di altre possibilità. Lei la Siberia, lui il Marocco. I luoghi più lontani, e allo stesso più vicini, perché non è mai una questione di geografia.
Poi la guerra, l'invasione nazista, la separazione, il cammino di una liberazione che non è solo liberazione da un nemico... e il ricordo che forse non è più quel vento freddo, che forse ora è il camino che riscalda.