I’m a Barbie Girl

Creato il 03 febbraio 2016 da Salone Del Lutto @salonedellutto

La mia prima Barbie l’ho posseduta a sette anni. Era una “Pink & Pretty” con corpetto in lustrini e vestaglietta lunga di chiffon bordata da una pellicciotta in tinta. Le ho rosicchiato i piedi fino a ridurli a due moncherini. Dopo, ne ho possedute molte altre:

Barbie “Loving You”, Barbie “Fior di pesco”, Barbie “Tropical” che aveva i capelli lunghissimi e che un giorno ho trasformato nella sorella di Billy Idol, Barbie “Rockstar”, per citarne alcune.

Barbie, Mariel Clayton

Avevo una sacca piena di corpi e di vestiti, un’anta dell’armadio – visto che la casa di Barbie cartonata a tre piani si era rivelata insufficiente ad accogliere tutte le mie ospiti – l’avevo trasformata in abitazione–studio di registrazione–casa di appuntamenti. Avevo anche un Ken. Uno soltanto per 13 ragazze, alle quali di solito se ne aggiungevano altre della mia vicina di casa. Facevamo giochi di relazioni adulte, vita vera, a volte un po’ di petting spinto con Ken. Certo, la mia collezione era poca cosa rispetto a quella di Cosetta che di armadi, a casa di sua madre, ne ha riempito uno intero, ma ne ero molto molto orgogliosa. A 13 anni, in un moto di orgoglio e di un “ormai sono adulta” l’ho regalata a una bambina più piccola, senza sapere che avrei potuto farci migliaia di cose. Maledizione.

Barbie Funeral Home, Paolo Schmidlin

Il primo sentore l’ho avuto osservando la “Barbie Funeral Home”, realizzata con bambole del periodo 1959-1964 da Paolo Schmidlin. Lui le Barbie le ha collezionate nel tempo, proprio come la mia amica Cosetta, e ha creato la scena perfetta: lei bellissima, morta, vestita di bianco nella sua bara, circondata da altre cinque bellissime agghindate da funerale e da un Ken più simile a un Lurch. Non piangono. Non ridono. Sfilano, come in ogni altro istante della loro esistenza. Mostrano acconciature perfette, giustamente cotonate, abiti impeccabili, accessori preziosi. Sono racchiuse in una teca di vetro. E io vorrei esporla nel salotto buono di casa.

Barbie, Mariel Clayton

Poi ho conosciuto i set fotografici di “Non è un paese per Tanya”, una delle pagine Facebook che più mi piacciono. Non sempre, ma spesso la sua creatrice Alessia Ercolina pazientemente ricrea scene di sangue, portando altrove l’immaginario legato alle biondone americane. Il suo è un mondo spietato e violento, condito da ampie dosi di ketchup e sapientemente illuminato dalle luci del set fotografico.

Barbie, Mariel Clayton

Ma quando ho visto gli scenari riprodotti da Mariel Clayton mi sono commossa davvero. La Clayton ha iniziato come fotografa di viaggio, poi a Tokyo il mondo delle miniature giapponesi l’ha illuminata. Ed ecco che la sua Canon 50D ha iniziato a immortalare tutt’altro, mentre la sua mente l’ha riportata a un mondo di plastica e bambole. Un mondo che è stato completamente stravolto. La sua Barbie è cinica, crudele, iperattiva. Come una mantide, è capace di decapitare il povero Ken – ho detto mantide perché è capace di averci fatto sesso, poco prima e forse anche dopo – e di mettere la sua testa a riposare nel frigorifero di casa. E anche le altre Barbie non è che se la passino meglio, perché spesso brandelli di corpi femminili straziati sono lì, sul pavimento di casa, a imbrattarlo allegramente col loro sangue.

Barbie, Mariel Clayton

E Barbie? Beh, lei se la gode davvero. In reggiseno e reggicalze, sigaretta alla mano, contempla il luogo del delitto con occhio vacuo e sorriso impassibile. Oppure tira fuori la casalinga che è in sé e ripulisce tutto per bene con gli ultimi prodotti di grido – così poi la cucina è pronta per una nuova ammazzagione. Gli scenari sono costruiti tutti con cura. Non c’è un dettaglio fuori posto, si intuisce che una parte divertentissima del lavoro, per la Clayton, sia la ricerca degli oggetti in modo da riprodurre cucine, salottini, bagni perfetti in cui la furia omicida della nostra biondona rifatta riesce a esprimersi al meglio.

Barbie, Mariel Clayton

Ma perché tutto questo odio? La Clayton lo spiega così: «Barbie è stata concepita come la donna che ogni ragazza vorrebbe essere e che ogni uomo vorrebbe fottere. Il suo corpo modellato, i capelli biondi, la vita sottile, le tette vivaci – sono tutti una parte di un nuovo ideale femminile che costituisce un faro che guida la femminilità. Tuttavia il numero di donne che le assomigliano è decisamente piccolo». C’è un canone, e c’è la voglia di stravolgerlo e dissacrarlo. Credo che la Clayton ci sia riuscita alla perfezione.

di Silvia Ceriani