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I massacri nascosti dall’avanspettacolo leghista

Creato il 11 aprile 2012 da Albertocapece

I massacri nascosti dall’avanspettacolo leghistaImpagabile il siparietto leghista, con pianti, trotaggini, resistenze al limite dell’assurdo. Divertente, ma squallido e peraltro prevedibile da molti anni, se solo si fosse voluto vedere dentro il verminaio delle fideiussioni berlusconiane, delle storiacce con le banche, se solo non avesse operato una sorta di omertosa leggenda sulla  ”diversità” della Lega. Ma tutto fa brodo e anche questa gustosa vicenda serve a distrarre l’attenzione dalla macelleria che si sta perpetrando.

Tra qualche giorno, ad esempio, il Senato licenzierà il celebre pareggio di bilancio in Costituzione, una follia voluta dalla Merkel, che il governo e il ceto politico si apprestano ad approvare ubbidienti, inconsapevoli di ciò che stanno facendo. Anzi belli contenti della castrazione del Paese. Ed è grottesco che mentre in Germania cresce l’opposizione verso questa dottrina, con discrete probabilità che il Bundestag non l’approvi, da noi invece tutti passi liscio come l’olio.

Eh si meglio chiedere a gran voce e con veemente indignazione le dimissioni di Rosi Mauro, che badare al futuro del Paese e alla democrazia. Godiamoci lo spettacolino, mentre una classe politica al tempo stesso arrogante e impotente, arroccata in difesa dei propri privilegi e della propria nullità, si appresta a infliggerci un altro colpo letale. E con una maggioranza tale, superiore ai due terzi, che non sarà più possibile tornare indietro con un referendum confermativo.

Eppure il significato del pareggio di bilancio in Costituzione, specie nell’assenza di una banca centrale, non significa soltanto una cessione di sovranità nei confronti di organismi privati come la Bce, ma anche una evidente cessione di democrazia. Non è un caso che nel 2010  fu il cavallo di battaglia dell’ala più oltranzista dei repubblicani, sostenuta dal Tea Party, contro il piano Obama di stimoli all’economia. E come ha detto Cameron si tratta di un’abolizione per legge di Keynes. Per fortuna in quel caso intervenne a sostegno del presidente Usa un documento firmato da numerosi economisti di fama mondale, tra cui molti premi nobel, in cui si scongiurava il presidente e il congresso dall’intraprendere una strada così idiota.

A futura memoria voglio riproporre quel documento di cui i politici e i tecnici italiani, sembrano ignari, anche perché molte delle considerazioni proposte ci riguardano da vicino. Ma fanno solo finta per nascondere alcuni le loro intenzioni di minare dall’interno la democrazia, altri la loro incapacità di reagire alle idee già fallite, ma convenienti per i potentati e una classe dirigente in disarmo. Tutto questo mentre  noi ci interessiamo ai gustosi siparietti.

 

Cari presidente Obama, presidente Boehner, capogruppo della minoranza Pelosi, capogruppo della maggioranza Reid, capogruppo della minoranza al Senato McConnell,

noi sottoscritti economisti sollecitiamo che venga respinta qualunque proposta volta ad emendare la Costituzione degli Stati Uniti inserendo un vincolo in materia di pareggio del bilancio. Vero è che il Paese è alle prese con gravi problemi sul fronte dei conti pubblici, problemi che vanno affrontati con misure che comincino a dispiegare i loro effetti una volta che l’economia sia forte abbastanza da poterle assorbire, ma inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, cosa che avverrebbe nel caso fosse approvato un emendamento sul pareggio del bilancio, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose.

1. Un emendamento sul pareggio di bilancio avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà economica diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto. Chiudere ogni anno il bilancio in pareggio aggraverebbe le eventuali recessioni.

2. A differenza delle costituzioni di molti stati che consentono di ricorrere al credito per finanziare la spesa in conto capitale, il bilancio federale non prevede alcuna differenza tra investimenti e spesa corrente. Le aziende private e le famiglie ricorrono continuamente al credito per finanziare le loro spese. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio impedirebbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture, dell’istruzione, della ricerca e sviluppo, della tutela dell’ambiente e di altri investimenti vitali per il futuro benessere della nazione.

3. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio incoraggerebbe il Congresso ad approvare provvedimenti privi di copertura finanziaria delegando gli stati, gli enti locali e le aziende private trovare le risorse finanziarie al posto del governo federale. Inoltre favorirebbe dubbie manovre finanziarie (quali la vendita di terreni demaniali e di altri beni pubblici contabilizzando i ricavi come introiti destinati alla riduzione del deficit) e altri espedienti contabili. Le controversie derivanti dall’interpretazione del concetto di pareggio di bilancio finirebbero probabilmente dinanzi ai tribunali con il risultato di affidare alla magistratura il compito di decidere la politica economica. E altrettanto si verificherebbe in caso di controversie riguardanti il modo in cui rimettere in equilibrio un bilancio dissestato nei casi in cui il Congresso non disponesse dei voti necessari per approvare tagli dolorosi.

4. Quasi sempre le proposte di introduzione per via costituzionale del vincolo di pareggio di bilancio prevedono delle scappatoie, ma in tempo di pace sono necessarie in entrambi i rami del Congresso maggioranze molto ampie per approvare un bilancio non in ordine o per innalzare il tetto del debito. Sono disposizioni che tendono a paralizzare l’attività dell’esecutivo.

5. Un tetto di spesa, previsto da alcune delle proposte di emendamento, limiterebbe ulteriormente la capacità del Congresso di contrastare eventuali recessioni vuoi con gli ammortizzatori già previsti vuoi con apposite modifiche della politica in materia di bilancio. Anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica perché gli incrementi degli investimenti ad elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo. Un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza.

6. Per pareggiare il bilancio non è necessario un emendamento costituzionale. Il bilancio non solo si chiuse in pareggio, ma fece registrare un avanzo e una riduzione del debito per quattro anni consecutivi dopo l’approvazione da parte del Congresso negli anni ’90 di alcuni provvedimenti che riducevano la crescita della spesa pubblica e incrementavano le entrate. Lo si fece con l’attuale Costituzione e senza modificarla e lo si può fare ancora. Nessun altro Paese importante ostacola la propria economia con il vincolo di pareggio di bilancio. Non c’è alcuna necessità di mettere al Paese una camicia di forza economica. Lasciamo che presidente e Congresso adottino le politiche monetarie, economiche e di bilancio idonee a far fronte ai bisogni e alle priorità, così come saggiamente previsto dai nostri padri costituenti.

7. Nell’attuale fase dell’economia è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per sé debole.

KENNETH ARROW, premio Nobel per l’economia 1972
PETER DIAMOND,  premio Nobel per l’economia 2010
WILLIAM SHARPE, premio Nobel per l’economia 1990
CHARLES SCHULTZE, consigliere economico di J.F. Kennedy e Lindon Johnson, animatore della Great Society Agenda 
ALAN BLINDER, direttore del Centro per le ricerche economiche della Princeton University
ERIC MASKIN, premio Nobel per l’economia 2007
ROBERT SOLOW, premio Nobel per l’economia 1987
LAURA TYSON, ex direttrice del Natonal Economic Council


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