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I migliori film di stasera (dom. 30 marzo 2014) sulla tv in chiaro

Creato il 30 marzo 2014 da Luigilocatelli

10 film. Due volte Lumet, un Cukor da storia del cinema, un monster movie in forma di mockumentary, il più grande Scorsese di sempre. Bruce Lee. Ritratto di John Lennon come giovane artista. E altro.

Cloverfield, Rai Movie, ore 22,15.

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New York è ridotta a una landa desolata. Cos’è successo? Lo sapremo attraverso una memory card ritrovata in un campo dove prima sorgeva Central Park. Da lì sgorgano le immagini di una videocamera passata di mano in mano tra gli invitati a una festa, e che consentono allo spettatore di ricostruire i fatti. Si susseguono strani, paurosi eventi, finchè un mostro invaderà la metropoli. Si applica al genere apocalittico-catastrofico il mockumentary alla The Blair Witch Project e il risultati è straordinario. Sperimentazione di tecniche e linguaggi ma finalizzata al grande spettacolo, cinema e metacinema, decostruzione di ogni linearità spazio-temporale: non per niente dietro l’operazione Cloverfield c’è J.J. Abrams, cioè la mente di Lost. Eppure il film, anche se lanciato con una furba operazione di marketing virale in rete, non ha avuto il successo sperato al box office. Ma è imperdibile (a me è piaciuto moltissimo). Regia di Matt Reeves.

ll diavolo è femmina, Rete Capri, ore 21,00.

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Titolo italiano dell’originale e più famoso Sylvia Scarlett. Anno 1935, dirige George Cukor, interpreti Katharine Hepburn e Cary Grant. Sophisticated comedy come poche altre, anzi il paradigma del genere. Anche gran commedia degli equivoci sul travestimento e i ruoli sessuali. Sylvia Scarlett, una giovanissima Hepburn, è una ladra che per sfuggire ai suoi inseguitori si traveste da ragazzo (è l’iconica Katharine Hepburn in abiti maschili che abbiamo visto migliaia di volte). Incontrerà Cary Grant e si innamorerà di lui, con tutti i misunderstanding del caso. L’ambiguità sessuale nella Golden Era di Hollywood, trattata con la grazia e la leggerezza di cui erano capaci gli sceneggiatori di allora.

Prova a incastrarmi,
Iris, ore 21,12.
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Del 2006, è il penultimo film di Lumet, un courtroom molto, molto interessante e non così convenzionale, con derive beffarde e perfino surreali. A true story, quella del più lungo processo per mafia – si svolse negli anni Ottanta – della storia americana. Testimoni a carico, un pentito e un infiltrato. Venti imputati, di cui uno, Jackie DiNorscio, avvalenendosi del sesto emendamento, decise di difendersi da solo, riuscendoci benissimo. Il film è su di lui, sulle sua arringhe difensive che si trasformano in uno show, rivelando in Jackie un grande comunicatore e anche un affabulatore dal potere incantantorio. Ritratto non atipatizzante di un criminale. Film trascurato, considerato minore, non amato né da critici né dal pubblico, da recuperare. Con un incredibile e irriconoscibile Vin Diesel (grasso, calvo) nel suo più convinto tentativo di scrollarsi il marchio dell’action hero. Non ci riuscirà.

Uno sguardo dal ponte, Iris, ore 23,26.
Uno dei più famosi deammi anni ’50 di Arthur Miller, messo in cinema dal grande Sidney Lumet nel 1962. Una fosca e anche losca storia familiare che, come usava in quegli anni, trasportava nella contempraneità e negli ambienti popolari le tensioni e le pulsioni, i conflitti e gli abissi della tragedia greca. Gli Atridi sono ancora tra noi, signora mia. Siamo nell’ambiente degli italiani immigrati a New York. Il portuale Eddie Carbone (Raf Vallone), muscolare e primitivo e istintivo secondo cliché – è legato, anche troppo legato, alla nipote diciassettenne Catherine (Carol Lawrence). La quale finirà con l’innamorarsi di un immigrato clandestino appena arrivato, che ha il faccino molto perbene di Jean Sorel. Ira e furore di zio Eddie, che non vuole che quel virgulto venga sconciato da uno soncosciuto appena arivato da chissà dove, e sarà, letteralmente, tragedia. Tragedia di sangue. Si parlò molto allora del bacio sulla bocca dato Eddie Carbone al ragazzo della nipote, per sfregiarlo, umiliarlo, abbassarlo di rango. Ma che naturalmente svelava una voglia omoerotica occultata e che – insieme all’ombra dell’incesto zio-nipote – aggiungeva ulteriore fascino e torbidume a questo corrusco e lampeggiante melodramma, più che dramma. Raf Vallone si appropria del film alla grandissima, scelto da Lumet dopo che era sra stato Eddie in teatro a Parigi con enorme successo. Un film che gli aprì le porte dell’America, dove se lo ricordano ancora adesso. Fu nell’immaginario statunitense il corrispettivo maschile di Anna Magnani, l’incarnazione di una primarietà, di una istintualità mediterranea infuocata e appassionata.

La giuria, Rete 4, ore 23,20.
Tra i molti (troppi?) film tratti da Grisham, uno dei meglio riusciti. Una giovane vedova fa causa all’azienda produttrice dell’arma con cui suo marito è stato ucciso. Segue un courtroom movie serratissimo. Del 2003. Con Gene Hackman, John Cusack, Dustin Hoffman e Rachel Weisz.

I tre dell’Operazione Drago, Rai 4, ore 0,16.
Con Bruce Lee, intendo il vero Bruce Lee, non un suo clone o body double spacciato per lui. Il suo ultimo film ufficiale (anno 1973), altri ne seguiranno, ma saranno interpolazioni e montaggi furbi con quel che era rimasto negli archivi e nei magazzini del signore assoluto dei kung-fu movies. Questa è una co-produzione americana (Warner) e hongkonghese di larghi mezzi, e si vede. Bruce Lee cura le coreografie degli scontri, e anche qui si vede. Il suo lascito testamentario. Membro del tempio di Shaolin, Bruce è un cultore di kung fu che deve indagare sul subdolo e criminale mister Han, anche lui un ex Shaolin poi incamminatosi su percorsi deviati. Siccome il villain – o’ malamente direbbero nella sceneggiata napoletana – organizza un torneo di arti marziali sulla sua isola privata, chiaro che il nostro eroe ci si iscrive sotto copertura onde studiarne le mosse. Tripudio di scontri acrobatici. Solo per chi ama Lee, ovvio. Enorme successo sul mercato Usa. Regia di Robert Clouse, co-interpreti il John Saxon di tanti B-movies italiani e l’afro-americano Jim Kelly, che dà un sapore di balxploitation al film.

Nowhere Boy, Rai 5, ore 0,10.
Film di qualche anno fa che, nonostante le migliori premesse, non ebbe poi quel successo che ci si aspettava. Eppure racconta una delle figure del pantheon secondo-novecentesco, John Lennon, il genio musicale nato nella plumbea Liverpool, asceso a imperitura fama e gloria con la stagione beatlesiana e post-beatlesiano, morto per mano di un pazzo idolatra. Questo Ragazzo venuto dal niente mette in scena gli anni più difficili di Lennon, quella della sua formazione, quelli dell’adolescenza e del passaggio verso l’adultità, quando non era niente e nessuno e la sua vocazione musicale appena appena la andava scoprendo. Il film è bello, a tratti molto bello, all’altezza della fama non solo del suo soggetto, ma anche della sua regista, quella Sam Taylor-Wood fotografa-artista tra le più note e neglio riuscite della scena londinese di inizio millennio (ricordo una sua notevole mostra al vecchio Spazio Prada di Milano, quello che stava ancora in via Spartaco). La quale ovviamente ha un occhio di riguardo per la parte visuale del film, ma non trascura gli sviluppi e gli anfratti drammaturgici. John Lennon teenager è colto soprattutto nei suoi problemi personal-familiare, alle prese con le due donne-madri della sua vita, la zia Mini che lo aveva allevato amorevolmente e la mamma biologica Julia, che lo aveva dato in adozione. Deve anche decidere se andare o non in Australia con il padre ritrovato: grazie anche alle insistenze della saggia zia, resterà, e diventerà John Lennon. Ci sono anche gli esordi musicali e, succulentissimo, l’incontro con il giovane Paul McCartney. Per lennoniani-beatlesiani ma non solo. Aaron Johnson è un credibile John ragazzo, la sempre ottima Kristin Scott-Thomas è zia Mimi. Attenzione: è proprio la regista di questo film Sam Taylor-Wood che sta girando il film dal bestseller sporcaccione-elegante Cinquanta sfumature di grigio. Con lei almeno non si sbracherà.

Gigantic, La Effe, ore 22,50.
Romantic comedy del 2008, però ultra-indipendente, inserita in quel movimento (insomma) battezzato Mumblecore: cinema low budget lontano dalle major, svelto, tutto in digitale, preferibilmente su gente sui venti-trent’anni ripresa nella sua minima e spesso caotica quotidianità. Qui ci sono due star Mumblecore, Paul Dano (visto in Il petrolierie e in Ruby Sparks) e soprattutto lei, Zooey Deschanel, occhioni che non si dimenticano, reginetta indie soprattutto dopo il successo di (500) giorni insieme. Gigantic, diretto da Matt Aselton, vede un venditore di materassi – che chissà perché d fin da ragazzino sogna di adottare un bambino cinese – innamorarsi di una ragazza trovata  a dormire su uno dei materassi del negozio. Con una vena di stravaganza e follia che vorrebbe forse riesumare iu fasti della screwball comedy, e qui difatti qualcosa, ma proprio qualcosa, si ritrova di Susanna! di Howard Hawks (la ragazza-ciclone che sconvolge la vita di un timido). Occhio, c’è anche il grande John Goodman.

La duchessa, La Effe, ore 0,35.
Quella duchessa del Settecento di nome Georgina Spencer assomiglia molto a Lady Di. Anche lei va in sposa a un tipo noioso che non ama, anche lei farà discutere per l’eccentricità dei comportamenti e degli amori. Questione di Dna, visto che Georgina è una lontana antenata proprio di Diana. Punta tutto su questo parallelismo il film del 2008 con protagonista l’adorata (almeno da me) Keira Knightley. Discreto successo, però inferiore alle attese. Resta comunque un solido period movie di quelli che gli inglesi san fare benissimo, con tutte le crinoline al posto giusto e senza i manierismi che affliggono gli analoghi prodotti italiani (sempre più rari, dati i costi ormai proibitivi)

Toro scatenato, La7, ore 0,00.
Massimo storico del sodalizio Scorsese-DeNiro. Regolarmente ai primi posti di tutti i sondaggi sui miglior film americani di sempre, insieme a Citizen Kane, Il padrino e pochi altri. Capolavoro vero. Biopic del duro Jake LaMotta, un figlio di Little Italy che incomincia come piccolo delinquente e sale fino ai vertici della boxe, pagando il suo prezzo alla mafia organizzatrice degli incontri e delle scommesse. All’ascesa segue il declino, per via di un carattere paranoide e brutale, una vita privata di peccati, deboscia e vizi mai controllati, secondo il paradigma del povero colto da improvvisa ricchezza e incapace di gestirla. Una storia americana popolare esemplare. Magnifico bianco e nero, regia iper-realista e insieme epicizzante. Scorsese sa girare meglio di tutti, come fosse nato con la macchina da presa, e qui lo mostra definitivamente. Del 1980 e sembra realizzato ieri. Robert DeNiro, ed è ormai leggenda, mise su 30 chili per essere credibile come Jack LaMotta nella fase post-ring. Una mostruosa performance, la sua, doverosamente premiata con l’Oscar, una lezione a uso di tutti gli aspiranti attori, un esempio inarrivabile di aderenza psicofisica al personaggio. Film che è una pietra miliare. Indispensabile. (Sceneggiatura del grandissimo Paul Schrader, che già aveva scritto per Scorsese Taxi Driver).


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