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I migliori film di stasera (lun. 24 marzo 2014) sulla tv in chiaro

Creato il 24 marzo 2014 da Luigilocatelli

Safe House – Nessuno è al sicuro, Italia 1, ore 21,10.
RMe lo ricordo – questo Safe House del 2012 – come una buona spy story, molto adrenalinica, con una regia di quelle nervose e giovanottesche che riescono a mascherare con un surplus energetico qualche buco di sceneggiatura. Ottimo successo al box office americano, nonostante si trattasse di una produzione di non enormi mezzi, e si vede. Location tutta sudafricana, tra Joannesburg e l’interno profondo, mentre i vari e assai più ricchi Mission: Impossible e Bourne e Bond si muovono su e giù e in lungo e in largo per il blogo freandosene dei costi. Della serie quanto son cattivi signora mia i servizi segreti, e guardiamoci prima dal fuoco amico, il più insidioso perché non te l’aspetti. Una specie di Tre giorni del condor aggiornato ai tempacci nostri, con più action e meno dilemmi morali, con un pensiero diciamo così un attimino più appiattito. Con qualche (voluto?) riferimento a Assange e Wikileaks e perfino un qualche presagio del caso Snowden. Tutti dan la caccia all’ex agente Cia Tobin Frost, e non tarderemo a capirne il motivo. Il nostro se n’è volato via a suo tempo con informazioni asai riservati ed esplosive. Lo becca il bravo agente Matt Weston e lo rinchiude prontamente in una safe house, uno di quei posti occultati dove sbrigare faccende assai private dell’organizzazione. Ma ci sarà un’irruzione armata, molto armata e pericolosa, con l’evidente obiettivo di far fuori Frost. Chi sono? e perché lo vogliono ammazzare? Weston, ligio alla missione di preservare il prigioniero, se lo ammanetta e se lo trascina via. Sorvegliante e prigioniero fuggitivi insieme. Il che finirà col cambiare parecchio sia l’uno che l’altro. Un film che ti tiene incollato fino all’ultima scena, all’ultima inquadratura, nonostante non sia così imprevedibile. Con un Denzel Washington quale Tobin Frost semplicemente gigantesco e un dignitosissimo Ryan Reynolds nella parte del bravo agente e del bravo americano che crede nel suo lavoro, nella sua missione, nel suo paese e relativi valori. Alla regia lo svedese Daniel Espinosa, figlio di esuli cileni scappati in Scandinavia da Pinochet, diventato in patria un reuccio del box office con Snabba Cash (titolo internazionale Easy Money).

Il terzo uomo, Rete Capri (canale 20 dt), ore 21,00.
Avvertenza: i programmi di Rete Capri possono cambiare senza preavviso. Ieri sera ad esempio non è andato in onda alle 21,00 Ti amerò stanotte, come invece era stato dato in palinsesto su Internet.

Orson+Welles+The+Third+Man
Secondo il British Film Institute, il miglior film inglese di tutti i tempi (al secondo posto Breve incontro, al terzo Lawrence d’Arabia), ed è un piazzamento che non si può discutere. Film immenso, l’ho rivisto un anno fa in edizione resaurata allo Spazio Oberdan qui a Milano e ne son rimasto, ancora una volta, ipnotizzato. Bianco e nero carico di suggestioni e ombre e penombre simil-espressioniste. Inquadrature sghembe da parte del regista Carol Reed, a intensificare nello spettatore una percezione alterata e incerta, a instillare un senso di precarietà, minaccia, pericolo. Del 1949, uno di quei film che hanno meglio restituito l’Europa del post-catastrofe, l’Europa-relitto ridotta in macerie dalla seconda guerra mondiale. Girato tra rovine urbane e piazze sinistramente metafisiche, come Scandalo internazionale di Billy Wilder, come uno dei capolavori rosselliniani, Germania anno zero. Là si era a Berlino, qui a Vienna, nella Vienna occupata dalle forze vincitrici che se la sono spartita in zone di influenza. Con un settore occidentale (in mano a inglesi, americani, francesi) e un altro sotto dominio sovietico, con passaggi complicati dall’uno all’altro. Tutti lottano per la sopravvivenza, in un clima in cui ogni illegalità è possibile, dove ogni morale è spenta e morta, e impeversano traffici e trafficanti loschissimi. In questa città prostrata arriva un americano di nome Holly Martins, autore di roamnzi popolari, a indagare sulla scomparsa di un suo vecchio amico, Harry Lime. Si ritroverà invischiato in una trama di sordide connivenze, oscuri complotti. Di delitti indecifrabili e testimoni inaffidabili e menzogneri. E una giovane donna, un’attrice la cui maschera sfingea sembra essere il simbolo di quella città sfuggente. Holly se ne innamora, ma lei, anche lei, ha un segreto. Chi era Harry Lime? Ma davvero è morto? Emergerà la verità, e sarà atroce. Il film se lo divora tutto Orson Welles in uno dei suoi clamorosi personaggi incarnazione del male, un Welles che, pur non essendo il regista, pare abbia dato suggerimenti decisivi a Carol Reed. Lui è l’uomo del mistero, rabbrividente solo a guardarlo. Joseph Cotten, suo sodale in tanti film, è il buon americano. Meravigliosa Alida Valli come Anna l’attrice, perfettamente credibile, lei nata in una Pola dall’ancora forte impronta austroungarica, come mitteleuropea. Scritto da Graham Greene, e si vede e si sente. Musica che non si dimentica, tra le più famose della storia del cinema. Eseguita da Anton Karas sullo zither, uno strumento a corde della tradizione centroeuropea e balcanica. Battuta memorabile del cinico Orson Welles: “L’Italia per trent’anni sotto i Borgia ha avuto delitti, guerre, terrore, massacri, ma ha prodotto Michelangelo, Leonardo e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto cinque secoli di pace e democrazia e cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”. Credo che gli svizzeri siano ancora incazzati.

Prima comunione, Tv 2000, ore 21,20.
Film che arriva dal lontano 1950 e meritoriamente tirato fuori dagli archivi da Tv 2000, che è poi la tv dei vescovi Cei. Scritto da Cesare Zavattini, diretto da Alessandro Blasetti, già re di Cinecittà prima della guerra, già autore di film di regime, e ottimamente sopravvissuto al suo crollo. Qui, in anni segnati dal neorealismo, dimostra di saper cavalcare benissimo l’onda volgendo però il drammatico e anche il tragico rosselliniano verso la commedia sorridente e garbata, e però mica scema, ci mancherebbe. Roma. Un pasticciere nei guai perché, nel giorno della prima comunione della figliola, non è arrivata la sarta con l’abito bianco. Dramma familiare. Sicché decide di andarci lui di persona, dalla sarta, a prelevare l’indispensabile manufatto. Ma, da un contrattempo all’altro, si ritroverà in una girandola di incontri e imprevisti che lo trascineranno sempre più lontano, in un piccolo gorgo governato dal destino. Poi, come nell’Odissea (e questa lo è, una piccola odissea metropolitana e piccolo-borghese), si ritroverà miracolosamente al punto da cui era partito. Blasetti, regista dalla mano ferrea, non perde mai il controllo del film e gli imprime un ritmo tale da indurre qualcuno a tirare in ballo la screwball comedy americana. Protagonista un Aldo Fabrizi nei suoi anni migliori.

La duchessa (The Duchess), La effe, ore 21,45.
Quella duchessa del Settecento di nome Georgina Spencer assomiglia molto a Lady Di. Anche lei va in sposa a un tipo noioso che non ama, anche lei farà discutere per l’eccentricità dei comportamenti e degli amori. Questione di Dna, visto che Georgina è una lontana antenata proprio di Diana. Punta tutto su questo parallelismo il film del 2008 con protagonista l’adorata (almeno da me) Keira Knightley. Discreto successo, però inferiore alle attese. Resta comunque un solido period movie di quelli che gli inglesi san fare benissimo, con tutte le crinoline al posto giusto e senza i manierismi che affliggono gli analoghi prodotti italiani (sempre più rari, dati i costi ormai proibitivi).

I tre dell’Operazione Drago, Rai 4, ore 21,11.
Con Bruce Lee, intendo il vero Bruce Lee, non un suo clone o body double spacciato per lui. Il suo ultimo film ufficiale (anno 1973), altri ne seguiranno, ma saranno interpolazioni e montaggi furbi con quel che era rimasto negli archivi e nei magazzini del signore assoluto dei kung-fu movies. Questa è una co-produzione americana (Warner) e hongkonghese di larghi mezzi, e si vede. Bruce Lee cura le coreografie degli scontri, e anche qui si vede. Il suo lascito testamentario. Membro del tempio di Shaolin, Bruce è un cultore di kung fu che deve indagare sul subdolo e criminale mister Han, anche lui un ex Shaolin poi incamminatosi su percorsi deviati. Siccome il villain – o’ malamente direbbero nella sceneggiata napoletana – organizza un torneo di arti marziali sulla sua isola privata, chiaro che il nostro eroe ci si iscrive sotto copertura onde studiarne le mosse. Tripudio di scontri acrobatici. Solo per chi ama Lee, ovvio. Enorme successo sul mercato Usa. Regia di Robert Clouse, co-interpreti il John Saxon di tanti B-movies italiani e l’afro-americano Jim Kelly, che dà un sapore di balxploitation al film.

Sfida nella città morta, Rai Movie, ore 21,15.
Uno dei grandi western di John Sturges, il regista (tra l’altro) di I magnifici sette e di La grande fuga. Del 1958, quindi già in una fase matura del genere, una fase meditativa e riflessiva dove a dominare sono il clima crepuscolare e caratteri complessi, percorsi e corrosi dalla vendetta, dall’avidità, da ogni possibile passione. Jack se ne va col malloppo della banda con cui lavorava. Diventerà sceriffo, si accaserà con una brava ragazza. Ma il passato ritorna e non perdona. E difatti Clint, il capo della banda, si rifà vivo a presentare il conto. Bellissimo titolo italiano. Con due grandi come Robert Taylor e Richard Widmark.

Bloody Sunday, Rai Storia, ore 21,45.
La domenica di sangue (anche rievocata in un celebre pezzo dagli U2) è quella del 30 gennaio 1972, data indelebile per ogni irlandese, e non solo. Derry, nel Nord Irlanda scosso dalle tensioni tra protestanti e cattolici e dalle spinte indipendentiste dell’Ira. Un deputato laburista del locale parlamento, protestante ma convinto della possibile convivenza tra le etnie, indice una marcia di protesta. L’obiettivo è contestare i processi sommari e le detenzioni al limite dell’illegalità di alcuni militanti cattolici. Ivan Cooper, l’organizzatore, è un conciliatore, ma se la deve vedere con gli opposti radicalismi, da una parte i duri dell’Ira, dall’altra i protestanti più fanatici contrari a ogni pur minima concessione. La manifestazione si fa, ma proprio sul finire della giornata i paracadutisti britannici incaricati di mantenere l’ordine sparano sui partecipanti: tredici morti sul campo, un quattordicesimo morirà successivamente per le ferite. Una strage che avrebbe bloccato per decine di anni ogni possibile dialogo tra le parti e innescato l’escalation delle violenze. Paul Greengrass, poi regista di Bourne, United 92 e Captain Phillips, nel 2002 rimette mano a questo evento traumatico, uno di quelli che segnano un popolo, una nazione, e ne fa un film che è sì docustoria, ma che ha l’accortezza di raccontare ‘dal basso’ il grande evento attraverso le storie di quattro persone diverse per estrazione, appartenenza, convinzioni. Quattro vite che convergeranno nel punto di esplosione drammatica della vicenda. Gli autori hanno dichiarato di essersi ispirati a La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo.

Dal tramonto all’alba, Rai Movie, ore 22,50.
Ma è un film di Tarantino o di Robert Rodriguez? La regia è di Rodriguez, però Quentin non solo firma la sceneggiatura ma è anche il co-protagonista accanto – e oggi sembra incredibile – a un George Clooney non ancora superstar. Girato da Rodriguez nel 1996 dopo il piccolo El Mariachi e il già ricco Desperado, ottiene un successo travolgente e si fissa come paradigma del cinema allora emergente: abbattimento di ogni steccato tra cinema autoriale e di genere, sconfinamenti tra reale e fantastico, violenza fumettistica anzi da videogame, ritmo survoltato e dopato per non dire altro. Due fratelli on the road prima prendono in ostaggio una famiglia, poi vanno in Messico dove si ritroveranno in mezzo ai vampiri. Un film-svolta che oggi, a quasi 15 anni di distanza, è già storia del cinema. Rodriguez ancora ci campa, e mica per niente è adesso nei nostri cinema il suo Machete Kills, ennesimo episodio di un’escursione messicana che proprio in Dal tramonto all’alba ha la sua tappa principale.

Heat – La sfida, Iris, ore 23,20.
Film del 1995 che eleva il suo regista Michael Mann ai vertici di Hollywood. Grande guardie-e-ladri movie con Robert DeNiro che prepara un colpo e Al Pacino che cerca di fermarlo. Per tutti e due è una lotta contro il tempo e i propri limiti. La genialità sta nell’uso delle due massime star maschili di allora, DeNiro e Pacino, confrontandole soprattutto attraverso il serratissimo montaggio. Anzi, la vera narrazione, il vero film, il racconto che ci appassiona non è la crime story che si svolge sotto i nostri occhi, ma il confronto tra i due attori-mattatori: un combattimento gladiatorio con le armi (comprese le più letali) della recitazione, e senza esclusione di colpi. Heat ormai si è assestato come un classico, un poliziesco che ne ha germinati infiniti altri, ormai un paradigma del genere. Michael Mann è un maestro, come Venezia gli ha riconosciuto nominandolo presidente della giuria nel 2012 (ed è stato un ottimo, autorevole, robusto presidente).

Bruce Lee – Il viaggio di un guerriero
, Rai 4, ore 22,55.
Il miglior documentario a oggi su Bruce Lee: vita, film, opere e mito. Di lui si indaga non solo la biografia, ma anche la particolare visione del mondo, una weltanschauung con tanto di basi filosofiche, perché Lee ambiva a essere di più, molto di più, di un action movie star. Ma il cuore di questo Viaggio di un guerriero è la mezz’ora di footage di Game of Death, Gioco mortale, ultimo film diretto, interpretato e però mai completato da Bruce Lee a causa della sua prematura scomparsa. Per cultori di quella che resta l’icona assoluta e insuperata delle arti marziali e del cinema hongkonghese, ma non solo per loro. Occhio: in alcune scene Lee indossa la tuta gialla con righe laterali che poi sarà la divisa di Uma Thurman in Kill Bill.

Donnie Darko, Cielo, ore 23,50.
Di come un piccolo film indie accolto nell’indifferenza alla sua uscita assurga con il passare del tempo alla status di cult. Anzi, a modello di ogni cult. Donnie Darko, un Jake Gyllenhaal giovanissimo (era il 2002), è un teenager disturbato, forse schizofrenico, in cura da uno psicanalista cui racconta di aver per amico una creatura allucinatoria, un coniglio gigante che lo spinge ad azioni rischiose. E che gli ha rivelato che la fine del mondo è vicina. Un repertorio da perfetto manuale di psichiatria (sembra una lezione sulla schizofrenia), che però nelle mani del regista Richard Kelly diventa un film inclassificabile tra esoterico, sci-fi e teen-movie, un attraversamento tra reale e fantastico piuttosto inquietante e decisamente originale. Di Richard Kelly è uscito un paio di anni fa The Box, che ripropone parecchi elementi di Donnie Darko, anche se all’interno di una gabbia più rigida da film di genere. Certo, ci si chiede oggi se quella di Kelly e Donnie Darko sia stata vera gloria oppure effimera e casuale. Aspettiamo il prossimo film.


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