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I migliori film di stasera (mart. 15 apr. 2014) sulla tv in chiaro

Creato il 15 aprile 2014 da Luigilocatelli

The Tree of Life, Rai 5, ore 21,15.
web_size01Il film più bello di Malick, Palma d’oro (ultrameritata) a Cannes 2011. Qualcosa con cui il cinema continua a fare i conti. Anni Cinquanta, la storia di una famiglia texana e, intanto, visioni cosmiche e una natura che si confonde nell’umano e viceversa. Con Brad Pitt e Jessica Chastain. Capolavoro degli anni Duemila. Recensione completa.

I padroni della notte, la7, ore 21,10.
Il profondamente newyorkese James Gray è ormai uno dei grandi registi americani della generazione dei 40, insieme a Paul Thomas Anderson e Darren Aronofsky. Autore di pochi film (solo quattro in 16 anni, una media alla Malick pre-The Tree of Life) e di molto talento. Difficile decidere cosa sia il suo meglio, se il potente esordio Little Odessa, il suo secondo film, The Yards,  il più recente Two Lovers oppure questo I padroni della notte. Che resta uno dei migliori polizieschi degli ultimi dieci anni (è del 2007), capace di sfondare i confini canonici del noir e di entrare nei territori della tragedia classica. Joaquin Phoenix e Mark Wahlberg (già coppia protagonista in The Yards) fratelli diversi e antagonisti, uno poliziotto l’altro implicato nei malaffari della mafia russa. La ragazza è Eva Mendes. James Gray analizza per l’ennesima volta il suo amaro microcosmo di Brooklyn, con le famiglie conflittuali, gli immigrati di seconda e terza generazione e i nuovi, spietati ragazzi arrivati dall’Est europeo. Sì, forse come dicono quelli che non lo amano troppo, gira sempre lo stesso film. Però che film, signori. Tra tutti i suoi, questo è il più ricco e il più epico.

Nessuna pietà per Ulzana
, Iris, ore 21,05.
Grandissimo western del 1972 del grandissimo e sempre troppo sottovalutato Robert Aldrich. Soldati contro indiani, e nessuno è innocente, tutti uccidono, mutilano, distruggono. Il West come girone dell’inferno dove ognuno tira fuori gli istinti peggiori, e i buoni, e il bene, pcoo possono fare. Con Burt Lancaster.

Questione di cuore, Rai Movie, ore 21,15.
Uno di quei film di Francesca Archibugi che non convincono mai fino in fondo. Anche questo è un film a metà, nonostante le buone performance di Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart.

La croce di ferro, Rai Movie, ore 23,05.
Quando apparve nel 1977 questo film del celebrato Sam Peckinpah, il regista che aveva sedotto i bad boys delle più trucide ed estreme rivoluzioni di quegli anni con Il mucchio selvaggio e ne era diventato un idolo, fu uno shock. Perché La croce di ferro osava l’inaudito, raccontare la guerra dei tedeschi e dal punto di vista dei tedeschi, infrangendo un tabù che nel cinema europeo e americano durava da decenni. Non per niente si trattava di una produzione made in Germany (con partecipazione britannica), con un cast che miscelava attori angloamericani – James Coburn, James Mason, David Warner – a star tedesche come Senta Berger e Maximilian Schell (scomparso l’anno scorso). Film sanguinolento, corrusco, limaccioso, in cui appaiono al loro massimo grado, e allo stato di purezza, l’estetica del massacro di Peckinpah e il suo addentrarsi nella ferinità dell’umano per restituirla e forse esaltarla in forma di spettacolo. Film tenebroso, dark quant’altri mai, avvolto perennemente in una assenza di luce in cui gli uomini in guerra si perdono inghiottiti dal fango, dal fumo, dalla polvere, dallo sporco. Un incubo, un delirio. Siamo, ebbene sì, in Crimea nell’anno 1943. La penetrazione tedesca in Russia si è fermata a Stalingrado, ora sono i sovietici al contrattacco. Il dramma vede contrapposti due militari in campo tedesco, due incarnazioni differenti del mestiere della armi. Rolf Steiner, ufficiale degradato dopo essersi rifiutato di eseguire un ordine disumano, è l’eroe adorato dalla truppa, ammirato per il suo coraggio e la sua lealtà. Il capitano Stransky è un borioso, vanesio e incapace rapresentante della casta prussiana, un cattivo militare che non sa fare la guerra, non la conosce, ma vuole a ogni costo conquistarsi la croce di ferro, il massimo riconoscimento al valore della Wehrmacht. Tra i due sarà scontro, e Stransky non esiterà a ricorrere ai mezzi peggiori, la menzogna, la calunnia, la manipolazione, l’abuso di potere. Un mostro. Ne esce una ballata macabra, una danza di morte che sembra venire dalle viscere del medioevo teutonico. Un mondo senza pietà, come sempre in Peckinpah, in cui a salvarsi, e a salvare gli altri, son solo gli uomini che, virilmente, sanno mettersi alla prova e sfidare l’impossibile. Ambiguo, certo, ma Peckinpah lo è sempre, lo è sempre stato, anche nel ‘rivoluzionario’ Il mucchio selvaggio. La glamourizzazione e feticizzazione della violenza e del sangue sono elementi costitutivi e fondanti del suo cinema, inutile scandalizzarsi perché stavolta le applica alla guerra dei tedeschi. La croce di ferro, attraverso la figura del bravo, eroico soldato Steiner, ci manda a dire che ci furono anche tedeschi leali in guerra, che non tutti i tedeschi furono nazisti, che non si può e non si deve identificare la Germania con il nazismo, che si può essere giusti anche in una guerra ingiusta e sbagliata. Certo, operazione ideologica, tesa a fornire un’immagine ripulita e meno ripugnante dei tedeschi in guerra, e quanto legittima spetta agli storici di mestiere dire. Ce n’è però abbastanza per sovvertire, ancora oggi, parecchie certezze e consolidati giudizi e pregiudizi. A 37 anni di distanza, questo di Peckinpah resta un oggetto cinematografico che non ha perso niente della sua carica perturbante ed esplosiva.

Distretto 13: le brigate della morte, Rai 4, ore 23,10.
Memorabile poliziesco (ma con inserti di molti altri generi a contaminarlo e meticciarlo) che lanciò definitivamente John Carpenter nel lontano 1976. Film ad alto tasso di cinefilia e citazionismo, giacché Carpenter appartiene a quella generazione di autori hollywoodiani cresciuti con il grande cinema di genere degli anni Cinquanta e/o con le serie televisive come Ai confini della realtà. Generazione di cui fanno parte anche Spielberg e Lucas e la cui iniziazione precoce al cinema e al mestiere di regista ha trovato la sua epicizzazione- celebrazione nel recente Super 8 (film purtroppo bello solo a metà: nella prima metà). In questo Distretto 13 (il resto del titolo è tutto e solo italiano) Carpenter omaggia Howard Hawks e il suo Dollaro d’onore, raccontandoci di un pugno di uomini veri e duri rinserrati in un avamposto di polizia in una spettrale città – che è Los Angeles ma potrebbe essere ogni altra metropoli – costretti a difendersi da una gang di selvaggi criminali da strada che si fanno chiamare Voodoo. C’è un antefatto, anzi ce n’è più d’uno, che mostrano trame e sottotrame con scontri feroci tra agenti e anche semplici cittadini con i bruti della gang. Tutti i destini e le storie convergeranno al Distretto 13, e si tratterà per tutti di salvare la pelle dai mostri della demoniaca gang che cercano di espugnarlo con ogni mezzo. Me lo ricordo bellissimo, quasi astratto. Un film girato dal punto di vista degli accerchiati, il che dà all’intero racconto un cupo senso di claustrofobia e ineluttabilità. Un film notturno e di ombre. Il distretto come il forte di tanti western minacciato dagli indiani. Solo che Carpenter ha una sensibilità per la paura, il gotico, il mistero che con il western classico c’entra poco e che fa slittare progressivamente il film nell’horror e ne fa un prototipo di molti altri che verranno. Ascrivibile anche al genere, che in quegli anni andava fortissimo, delle gang da strada, e che produrrà di lì a poco (nel 1979) quel film-paradigma, bellissimo e importante, che è I guerrieri della notte di Walter Hill.

Orgoglio e pregiudizio, Iris, ore 23,35.
No, non una delle tante versioni apparse negli ultimi due decenni sull’onda della clamorosa, e anche sorprendente, Austen Renaissance. Questo film esce nel 1940 dagli studios MGM, la major più perbene e family-oriented del cinema americano di allora. Con alla regia Robert Z. Lonard, e un cast di attori della massima serie. L’intelligente e acuminata Elizabeth è la un po’ troppo signora e matrona Greer Garson, Darcy è Laurence Olivier, che a quel tempo di prendeva tutti i ruoli di gentiluomo inlgese disponibili nei period movies hollywoodiani. PIù Maureen O’Sullivan e Ann Rutherford. Impeccabile. Ma lo spirito Austen risulta un po’ annegato nel tripudio di crinoline e chicchere.

The Next Three Days, Rete 4, ore 21,15.
Marito fa evadere la moglie ingiustamente accusata e incarcerata. Con Russell Crowe e la regia di Paul Haggis. Remake del francese Anythng for her con Vincent Lindon.

Le invasioni barbariche, La effe, ore 0,20.
Il film canadese, anzi québecois, da cui presumibilmente Daria Bignardi ha preso il nome del suo talk. Che ha finito con l’oscurare Le invasioni barbariche-film. Il gran regista di Montréal Denys Arcand riprende nel 20o3 caratteri e atmosfere di un suo meraviglioso Il declino dell’impero americano girato vent’anni prima, un ritratto acuto e anche acido del giro professoral-chic del Québec. Stavolta il protagonista è un intellettuale di cinquant’anni e qualcosa che, colpito da un tumore, convoca gli amici e i familiari in ospedale. Va in scena nella fine-vita la commedia di una vita. Chiacchiere, dialoghi acuminati, anche risate. Si arriverà all’eutanasia. Gran successo arthouse. Oscar per il migliore film straniero.

Eran trecento…, Tv 2000, ore 21,20.
Melodramma popolar-nazionale e nazional-popolare come usava nei primi anni Cinquanta, dove il Risorgimento si mescola a passioni e amori contrastati. Ricostruzione molto, molto romanzata dello sbarco di Carlo Pisacane a Sapri nel 1857 e dei fatti che lo precedettero in terraferma, Eran trecento… vede il nobile lucano Volpintesta che lotta segretamente contro i Borboni, mentre la sua amata Lucia viene insidiata dal filo-borbonico Don Franco. Non resta che aspettare lo sbarco di Pisacane, per togliere di mezzo sopraffattori e soprusi, e fare giustizia e fondare un nuovo ordine: ma sappiamo come è andata a finire. Con Rossano Brazzi, allora star del cinema italiano e americano, Antonio Cifariello, Franca Marzi, Paola Barbara, Luisa Rivelli. Raro, quasi invedibile. Da confrontare con Quanto è bello lu murire acciso di Ennio Lorenzini del 1975, che tratta sempre di Pisacane, ma con un approccio agli antipodi del film di Callegari.

Three Kings, Rete 4, ore 0,00.
Dopo i successi, clamorosi davvero, ottenuti negli ultimi anni dai suoi The Fighter, Il lato positivo e American Hustle, conviene riconsiderare cinematografia e statura di David O. Russell. Ripartendo magari proprio da questo Three Kings, anno 1999, uno dei pochi film sulla Guerra del Golfo, e a oggi una delle sue cose migliori. Tre marines (George Clooney, Mark Wahlberg. Ice Cube), pensano di aver trovato la mappa che li condurrà al tesoro di Saddam Hussein e si addentrano a guerra finita in territorio irakeno. Abbastanza sorprendentemente, c’è anche il futuro regista nonché compagno di Sofia Coppola Spike Jonze. Goliardismi alla MASH mescolati all’adrenalina dell’action e del war movie. Three Kings fu uno dei primi film di Clooney dopo il successo di E.R. Buon successo in America, non ebbe molta fortuna da noi. Il film è entrato poi nel cono d’ombra per via dello scandalo suscitato dalla rivelazione (da parte dello stesso regista) che sul set si era ricorsi a veri cadaveri. Così TK fu coperto da quel marchio d’infamia e O’Russell si inabissò in un buco nero professionale, da cui è uscito solo l’anno scorso dirigendo The Fighter (Oscar per Christian Bale). Un notevole regista finalmente ritrovato.

La porta d’oro, Rete Capri, ore 21,00.
Chi mai lo conosce? Allora: è un film del 1941, e tra gli sceneggiatori figura nientemeno che Billy Wilder, la qualc osa è una garanzia. Protagonista un gigolo rumeno bloccato da pastoie burocratiche in Messico e disposto a tutto pur di entrare negli Stati Uniti e ottenere la cittadinanza. Una storia che suona assai attuale e con molte, molte affinità con quanto (e se ne legge in cronaca) capita oggi dalle nostre parti. Perché il suddetto signore, di nome George Iscovescu, per poter avere l’agognata cittadinanza seduce una ingenua fanciulla e la sposa. Il guaio è che, una volta arrivato in America, scoprirà di essere davvero innamorato di lei e quindi se la dovrà vedere con l’amante molto, molto arrabbiata. Gran cast: Charles Boyer, Olivia De Havilland e Paulette Goddard. La porta d’oro è ovviamente l’accesso all’America. Un film dal disincanto molto centroeuropeo e wilderiano sull’amore congiunto all’interesse e come strategia di ascesa sociale.

Mon bel amour, Cielo, ore 1,15.
Un mio personale cult. Grande erotico con ideee pretese dei tardi anni Ottanta, con scene assai hard e sesso esplicito e corpi per niente dissimulati che nella versioni itaiani furono alquanto ridotti, per rispuntare poi trionfalmente in dvd. Cinema giocato tutto sull’opposizione tra una lei borghese e un po’ spitinfia e un lui lumpenproletario, malavitoso, e muscolare macchina del sesso. Catherine è attrice di teatro, e per caso la sua strada incrocia quella del torvo Patrick. Il quale perde la testa per quel ninnolo di biscuit, per uella bellzza così sofisticata, e lei, be’, lei scopre a letto parecchie cose che non aveva mai provato con uomini della sua classe. Sarà tempesta passionale. Ma non pptrà durare, le convenzioni sociali avranno la meglio, e sarà dramma. Regia di José Pinheiro. Ma a rubare il film è Stéphane Ferrara, clamorosa presenza carnale quale Patrick. Che sarà poi anche in un film di Tinto Brass.


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