No, dico: lo fa il New York Times negli Stati Uniti, lo fa il Guardian in Inghilterra, perché non posso farlo io?! Ho pensato di dare i premi ai migliori libri dell’anno e, per essere originale, li battezzo Melquíades – per chi non lo sapesse, è il nome dello zingaro profeta di Cent’anni di solitudine – e mi ispiro agli Academy Awards, così diventa un po’ più stimolante rispetto a un semplice elenchi di titoli. Naturalmente, mi piacerebbe che chi mi legge proponesse i suoi, ma il tasso di commenti su questo blog è talmente basso che temo resterà una speranza vana. Parto dal miglior libro, anche se forse dovevo tenermelo in fondo: Delirio, di Laura Restrepo, senza alcun dubbio. Più passa il tempo e – come per ogni capolavoro – più me ne convinco. Miglior personaggio protagonista maschile: Allan Karlsson, il vecchietto che, con la sua energia, si tira dietro tutto Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, probabilmente il romanzo più esilarante dell’annata. Batte in volata i meravigliosi banditi, pazzi e crudeli, di Soldi bruciati, un confronto pressoché impossibile, ma il bello dei premi è proprio questo. Per il personaggio maschile non protagonista punto su Joey Berglund, il più riuscito del romanzo più ambizioso dell’anno, Libertà. Sconfitto, ma degno di menzione, il Bruciato, misteriosa proiezione di tutte le paure del narratore di Il Terzo Reich. Per il miglior personaggio femminile protagonista, raddoppio il Melquíades di Delirio: la figura di Agustina Londoño, cardine del libro ma che noi conosciamo solo attraverso gli altri, è di una potenza irraggiungibile. Qualche dubbio in più sul personaggio femminile non protagonista, più che altro perché così, di primo acchito – unico criterio possibile – mi accorgo che non me n’è rimasto scolpito in testa quasi nessuno. Alla fine, mi butto su Yoshie, una delle Quattro casalinghe di Tokyo, anche se il libro ha finito per deludermi un po’. Difficile per eccesso di concorrenti il premio per il miglior intreccio: vado su L’indice della paura perché il Centenario l’ho già premiato e perché i fuochi d’artificio di Un buon posto per morire, alla fine, perdono il confronto per la minor compattezza d’insieme. Miglior ambientazione al Centodelitti di Giorgio Scerbanenco, nel centenario della nascita: la sua Milano degli anni del boom è accurata, appassionata e lascia a chi legge oggi un fortissimo sapore di malinconia. Miglior fiction non originale, ovvero tratta dalla realtà: i racconti di vita giapponese, delicati e stranianti, di Leggero il passo sui tatami. Citazione d’onore per Quell’estate a Parigi, col solito Hemingway e compagnia di giro, ma raccontati con una felicità rara, e per Tolstoj è morto, esperimento interessantissimo ma forse troppo dettagliato. Per il miglior corto, mi butto su Nel museo di Reims, che mi ha fatto ricordare quale maestro di scrittura sia Del Giudice. Lo faccio vincere persino sull’inarrivabile Colazione da Tiffany di Capote (!). Miglior libro in lingua italiana, un premio minore ma non troppo, a Guida agli animali fantastici dell’amatissimo Cavazzoni. Poi regalo un miglior libro di non-fiction allo stupefacente Antimateria e un miglior libro di varia al Manuale di cucina molecolare, che mi ha cambiato la vita (culinaria). Attribuisco anche il Melquíades per la miglior copertina, con la promessa di impegnarmi di più l’anno prossimo, e scelgo le decorazioni di Il mandarino. Mi sarebbe piaciuto metterci un premio al graphic novel, ma ne ho letti pochi e brutti, e uno agli e-book, ma anche qui la quantità è bassa, pur in presenza di qualità alta. Magari l’anno prossimo. Prima del gran finale, ci metto pure la delusione più grande: Chronic City di Jonathan Lethem, che giace non finito dopo che gli ho dato continue possibilità per ben oltre la metà del libro. Chiudo con il miglior autore. E, nonostante mi lamenti sempre quando duplicano l’Oscar per miglior film e miglior regia, cosa che mi sembra sempre una banalizzazione, scelgo Laura Restrepo, perché l’abilità che sfoggia in Delirio, con un continuo e riuscitissimo passaggio tra racconto e pensieri a ruota libera dei personaggi, vale ben più del controllato e ambizioso talento di Jonathan Franzen, delle meraviglie fin troppo note di Truman Capote o della potenza metaforica di Roberto Bolaño, penalizzato dal partecipare ai miei premi del 2011 con un romanzo minore come Il Terzo Reich. Per il resto, buon 2012: io lo inizio con un romanzo sudamericano, per non sbagliare.
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