di Francesco Trupia
All’interno del Programma della Crescita (PAC), varato dal governo di Dilma Rousseff, l’incombente evento dei Mondiali di calcio ha assunto fin da subito un ruolo centrale e di snodo per i settori dell’economia nazionale, dei diritti e delle questioni sociali. Come mai prima d’ora il Brasile conferma di realizzare attraverso il futebol, fenomeno storicamente endogeno della sua società, il segno più distintivo capace di consacrare il poliedrico gigante economico e politico nella comunità internazionale.
L’entusiasmo per l’avvicinamento dell’evento è stato smorzato però dalla rabbia dei movimenti di protesta che nelle più importanti piazze del Paese hanno costituito una “galassia del No” pronta a manifestare il proprio dissenso contro le politiche della Rousseff e della Fifa [1]. L’inizio delle proteste popolari avvenne la scorsa estate durante la Confederation Cup, quando il governo aumentò di soli 30 centesimi ogni singolo biglietto dei trasporti pubblici. Alla vigilia di uno degli eventi più importanti degli ultimi anni per il Brasile, circa la metà della popolazione si dichiara contraria all’appuntamento stesso, specialmente dopo che il governo ha diramato le cifre ufficiali dell’organizzazione: circa 30 miliardi di euro. I problemi logistici sulla conclusione dei lavori degli stadi (non ancora terminati completamente) [2], la violazione dei diritti dei lavoratori nei cantieri e la stagnazione economica degli ultimi mesi hanno prodotto un brusco calo degli investimenti nel Paese. Il maggiore rischio sembra quello di poter rivivere gli scenari degli anni Settanta, quando governi dissennati spendevano al di sopra delle loro possibilità in settori sbagliati ed aumentavano ingiustamente le imposte.
Il nuovo corso economico iniziato con il mandato dell’ex Presidente Lula e proseguito dalla Rousseff, definito come il nuovo “capitalismo temperato” del Brasile, è riuscito a creare dei forti “vasi comunicanti” (satelliti, mass media, internet) capaci di ridurre la percezione delle grandi differenze di reddito tra le varie classi sociali. Sebbene il Brasile sia il primo Paese in America Latina per investimenti in programmi di riduzione della povertà (Bolsa família, Fome zero, Luz para todos), è la globalizzazione la vera fautrice di una crescita che negli ultimi anni ha reso possibile la spudorata e concomitante coesistenza di scenari di Primo, Secondo e Terzo Mondo all’interno del Paese.
Dopo un primo trimestre da dimenticare nel 2014, indice di un esteso malcontento popolare in grado di inficiare la buona riuscita dell’evento, la Borsa di San Paolo ha ricominciato improvvisamente a crescere con un balzo che dal -12% del mese di Marzo si attesta oggi al +18%. Gli investimenti esteri sembrano aver ridato fiducia alle opportunità offerte dalle top companies brasiliane, che rappresentano inoltre l’80% di quelle presenti nell’intera regione dell’America meridionale. La recente crisi aveva impaurito gli stessi investitori stranieri poiché obbligati dai loro istituti di credito a rientrare immediatamente dei prestiti erogati. Anche le importanti manovre del governo, coordinatosi con l’istituto nazionale del Banco Central, hanno contribuito positivamente a mantenere basso il tasso di disoccupazione (4%) ed un tasso dell’inflazione pari al 6%. In realtà, i livelli inflazionistici percepiti all’interno della società brasiliana sono circa del 12% ed è innegabile che l’esecutivo ha dovuto raggiungere tali obiettivi, seppur minimi per una potenza regionale, svalutando il real ed alzando il tasso di interesse attraverso un uso insolito dei tassi di cambio. Se da una parte le ultime strategie del governo hanno condotto verso una restrizione della crescita, dall’altra nessun comitato d’affari o particolare lobby è stato favorito. A differenza del passato, quello della Rousseff viene annoverato come uno dei primi establishment a non essere composto da membri o personalità legate alla finanzia internazionale o sottoposto alle logiche dell’FMI.
Nonostante la campagna politica molto partecipata della “Na copa vai ter luta”, il politologo Carlos Pereira, docente alla Fondazione Getulio Vergas, ha dichiarato che il Brasile è «un Paese umorale e fortemente nazionalista, capace di criticare i molti errori fatti dal governo» ma anche capace, qualora si vincessero «i Mondiali, magari battendo in finale l’Argentina, di spazzare via il malcontento per qualche tempo per l’euforia» [3].
L’improvvisa ripresa della borsa finanziaria brasiliana potrebbe porre una duplice interpretazione dell’attuale scenario sulla scia dell’incombente evento calcistico: oltre a sponsorizzare le potenzialità del Brasile su scala globale, i Mondiali di calcio confermerebbero sul versante della politica interna il successo del policy making della Rousseff. Con lo sfondo delle elezioni presidenziali del prossimo 5 ottobre, Fifa 2014 rappresenta il difficile banco di prova già costato all’Esecutivo la perdita di molti punti percentuali nei consensi. Il frammentato panorama politico non dovrebbe comportare la sconfitta dell’attuale Presidente ad ottobre ma, quasi sicuramente, una sua riconferma per la mancanza di vere alternative. Poco preoccupata dalla coalizione di destra, mai veramente rilevante in Brasile dopo la dittatura, Dilma Rousseff potrebbe “inciampare” sugli ostacoli posti dall’opposizione di sinistra rappresentata e manovrata dal Partido dos Trabalhadores. L’ufficio politico del partito ha recentemente diramato una comunicazione ufficiale nella quale la dirigenza stessa promuove il nome di Lula come possibile candidato Premier alle prossime presidenziale assicurandogli l’appoggio elettorale qualora decidesse di scendere nuovamente in campo.
Il nuovo Polo Sud latinoamericano: Brasilia o Pechino?
Le previsioni sull’andamento futuro delle economie latinoamericane hanno evidenziato una forte crescita di Paesi come Cile, Messico, Ecuador e Colombia a differenza delle storiche potenze del Continente, Brasile ed Argentina fra tutte, frenate dagli appuntamenti della loro difficile agenda setting governativa. Nonostante il travagliato periodo politico ed economico, è palese il ruolo che il Brasile vorrà avere nelle dinamiche del Continente sfidando la corsa al ruolo di principale leader della prima economia del mondo, ossia la Cina, e dello strapotere militare degli Stati Uniti. La volontà di leadership in ottica sub-regionale arriva innanzitutto dalla scelta di allontanare l’intero Continente dalla supervisione di Washington e dalla riproposizione di una Dottrina Monroe rivisitata nelle sue logiche. Il governo brasiliano ha infatti approvato in Parlamento il nuovo Marco Civil che disciplina, ordina e democratizza la rete virtuale ed internet escludendo qualsiasi tipo di spionaggio da parte delle agenzie di sicurezza del Governo statunitense e riaffermando in tal modo sia il diritto universale alla privacy sia la libertà intellettuale di ogni singolo cittadino.
È innegabile che ancora oggi il Brasile viene percepito non come una potenza sub-imperialista in declino ma, al contrario, come un forte Polo Sud ed aggregatore di potenzialità capace di stimolare la macro-area verso una costante ed armoniosa crescita. Le conferme arrivano dalla storica svolta in politica estera del nuovo governo socialista del Costa Rica che, dopo sei decenni di alternanza democristiana e socialdemocrazia “made in USA”, ha abbandonato la sua tradizionale posizione per rivolgere il proprio sguardo sul Brasile. L’obiettivo dell’ex professore Luis Guillermo Solís, oggi a capo del Paese, è innanzitutto incrementare le relazioni bilaterali negli scambi commerciali con Brasilia, attualmente fermi al solo 1,7%.
Il recente dinamismo della politica estera brasiliana ha raggiunto importanti obiettivi anche nel rafforzamento di istituzioni multilaterali. L’avvicinamento strategico del governo cileno di Michelle Bachelet e del Messico al Brasile indica la possibilità di raggiungere gli obiettivi dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasud) in merito alla creazione di una zona di libero scambio di merci tra il blocco economico del Mercosur e quello dell’Allianza del Pacifico. Anche se poco menzionato, proprio tra Brasile e Messico – quest’ultimo seconda economia dell’America Latina – esiste già una zona di libero scambio nel settore dell’alluminio e dell’automobile.
Il Brasile non intende essere solo un forte partner economico ma soprattutto politico; la diplomazia brasiliana è infatti in continuo fermento per le vicende che si sviluppano in Venezuela tra il governo Maduro e l’opposizione di piazza manovrata in parte da Capriles. Il Ministro degli Esteri Alberto Figuiredo, insieme ai suoi alter ego di Colombia ed Ecuador, sono recentemente sbarcati a Caracas per mediare tra le opposte parti politiche con l’obiettivo di fermare un’escalation di violenza che potrebbe screditare l’importante ruolo del Venezuela nelle relazioni economiche dell’import-export di petrolio tra l’Alleanza Bolivariana per le Americhe (Alba) e la comunità caraibica di Petrocaribe e Caricom.
La ritrova sintonia tra il governo di Dilma Rousseff e l’establishment degli altri governi latinoamericani è apparsa evidente nella vicenda del vice Presidente dell’Uruguay Danilo Astori che, dopo aver auspicato un accordo con l’Unione Europea, ha visto varare solo dopo pochi giorni il piano di costruzione del cavo sottomarino tra Brasilia e Fortaleza volto al miglioramento del settore delle telecomunicazioni. In questi giorni o, al massimo, nella metà di giugno, il blocco del Mercosur presenterà la sua proposta tariffaria congiunta all’Unione Europea e, parallelamente, il Brasile preparerà l’importante appuntamento di metà luglio con la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac) e la presenza del Presidente della Cina Xi Jinping.
La presenza della potenza cinese come ospite esterno al meeting latinoamericano evidenzia la volontà del Brasile, in veste di leader del blocco Mercosur, di non autoescludersi dalle opportunità che la Trans-Pacific Partnership sembra offrire più facilmente ai Paesi dell’Allianza del Pacifico ad est delle Ande. Dopo aver riscoperto una tendenza atlantista, il Brasile potrebbe soffrire la competizione economica della Cina spaccando verticalmente l’America Latina soprattutto dopo le tensioni nate in merito alle grandi questioni di politica internazionale. Il desiderio del Brasile di entrare come membro permanente in un riformato Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ad esempio, ha palesato una chiara insoddisfazione proprio di Pechino, preoccupata dall’eventuale e concomitante ingresso dei rivali orientali India e Giappone all’interno della regione.
Dall’inizio degli anni 2000 fino al 2011 la Cina, avvantaggiata non poco dalle difficoltà economiche degli Stati Uniti nella crisi dei sub-prime, ha incrementato i propri investimenti e scambi commerciali con l’America meridionale in modo vertiginoso. I rapporti con il Brasile nacquero al meeting di Cancún del World Trade Organitation nel 2003, quando entrambi i Paesi si posero alla testa del G20 inaugurando una comune visione d’intenti che condusse alla creazione del gruppo BRICS. Le cause del raffreddamento nelle successive relazioni bilaterali possono essere spiegate dall’improvviso calo degli investimenti, che dai 36,7 miliardi del 2002-2009 diminuirono fino ai soli 2,7 nell’ultimo semestre del 2009, e nelle difficoltà che Pechino ebbe nell’attività di compravendita di grandi porzioni di territorio brasiliano, ricco di risorse naturali ed ottimo per il raggiungimento del proprio soddisfacimento energetico [4]. Alle proteste di colori i quali videro nell’ingerenza cinese una continuazione del neocolonialismo si opposero anche alcune sentenze delle corti degli Stati federali del Brasile che, appellandosi alle leggi complementari della Costituzione brasiliana del 1988, sancirono l’inalienabilità di alcuni territori [5].
Nuove sfide e storiche difficoltà
Quella cinese appare al momento la sfida più importante che il Brasile dovrebbe quantomeno cercare di contrastare nella corsa alla leadership del Continente, trasformando i recenti rallentamenti in nuove opportunità di cooperazione. Attendendo nuove prospettive di crescita, Xi Jimping ha imposto una diversificazione delle strategie di investimento nel settore dell’estrazione petrolifera spostando il proprio raggio d’azione dal Brasile alla zona sud-est dell’Ecuador, nel celebre parco di Yasuni. Le carenti strutture giuridiche ecuadoregne, a differenze di quelle brasiliane, permettono alla Cina di sfruttare territori bioecologicamente protetti per raggiungere facilmente i propri obiettivi, escludendo di fatto il Brasile – ed anche il Venezuela – dai piani di sviluppo che porterebbero l’ingresso di ingenti quantità di capitali. Alla luce degli studi eseguiti dall’Energy Information Administration, che attestano che la Cina importerà nel 2035 il 72% di greggio da Paesi del Sud del Mondo, per il Brasile, primo esportatore di petrolio dopo i Paesi del Medio Oriente, tutto ciò si traduce in un’occasione persa se il dialogo tra le due potenze non si sposterà su logiche costruttive e favorevoli.
L’ingerenza economica del Dragone porterebbe il Brasile a correre il rischio di non riuscire a fronteggiare in America Latina una potenza tanto abile nella diversificazione dei propri investimenti da riuscire ad immettere manifatture a prezzi insostenibili ed appropriarsi di parziali settori dell’industria fondendosi con compagnie già operative sul territorio. L’acquisto del 40% della Repsol Brasil da parte della cinese Sinopec sottolinea al momento il sorpasso della Cina sul Brasile all’interno dell’area latinoamericana.
Sullo sfondo dei Mondiali di calcio e delle elezioni presidenziali, sono anche le dinamiche interne al Continente a preoccupare il Brasile. Dopo aver cercato di difendere il proprio mercato interno e le proprie industrie, Dilma Rousseff deve affrontare la sfida dell’Allianza del Pacifico che, con l’apertura ai mercati globali ed una politica più dinamica negli scambi esteri grazie alla promozione del settore privato, si conferma nel fiore della sua giovinezza rispetto all’unione doganale del Mercosur che, secondo molti esperti, potrebbe cominciare a frantumarsi dall’interno.
L’avvicinamento del Cile al Mercosur potrebbe incrementare la rivalità nel celebre gruppo ABC (Argentina, Brasile, Cile), che ha già mostrato insoddisfazioni e segni di cedimento dopo l’accordo tra Brasile e Unione Europea nel settore delle telecomunicazioni. Il collegamento Lisbona-Fortaleza, secondo la stampa argentina, hanno condotto verso un nulla di fatto gli accordi sull’import-export agricolo discusso nei mesi precedenti da Herman Van Rompuy e la Presidente Kirchner. Se l’Unione Europea favorisce il Brasile scavalcando i progetti con l’Argentina, appare inevitabile la nascita proprio del malcontento argentino nei confronti dello stesso governo brasiliano. Medesimo scenario di sfida potrebbe nascere tra Argentina-Brasile ed il Cile, poiché quest’ultimo avrà un crescita economica di gran lunga superiore alle storiche potenze nel prossimo biennio.
Tale mancanza di strategia unica potrebbe trasformare l’America Latina in un’arena conflittuale che attesterebbe, dinnanzi ai tentavi di sviluppo delle singole economie nazionali, la fine del sogno di un Continente unitario di bolivariana memoria.
* Francesco Trupia è Dottore in Politica e Relazioni Internazionali (Università di Catania)
[1] La FIFA viene descritta dai movimenti di protesta come la tipica multinazionale straniera volta al soddisfacimento dei suoi interessi. Il caso riportato dai tabloid inglesi in merito ad un possibile giro di tangenti qatariote per assicurarsi i Mondiale del 2022, se confermate, rafforzerebbero le ragioni dei manifestanti.
[2] Maggiore preoccupazione la destano tre stadi: il primo è l’Itaquerão di San Paolo dove si svolgerà l’apertura dei giochi; il secondo il Beira Rio di Porto Alegre, in cui l’amministrazione ha affermato di non continuare più i lavori per l’esplosione dei costi; il terzo, ultimo non per importanza, l’Arena da Baixa di Curitiba, che doveva essere consegnato il 15 maggio.
[4] Così riportato in Se Rio fa Autogol (a cura di G. Perelli e G. Bizzarri), Gruppo l’Espresso, n°18 Anno LX , cit., pag. 65.
[5] Per gli aiuti allo sviluppo in America Latina la Cina attraverso la China Development Bank solo nel 2010 più soldi di quelli erogati congiuntamente dalla Banca Mondiale, dalla Banca interamericana per lo sviluppo e dall’Ex-Im Bank statunitense.
[6] In Brasile, l’acquisto di suolo da parte di compagnie straniere viene negato dalla Costituzionale del 1988 che, attraverso il supporto giuridico del Código de Proteção da Fauna e del Código Florestal, vieta l’esproprio di “terre tradizionalmente occupate” (art.231).
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