I miti del Mediterraneo

Creato il 27 settembre 2011 da Sulromanzo

Il presente col suo pesante bagaglio (minacce di guerra, guerre in atto, profughi, esiliati, condizione dell’extracomunitario, donne tradite e violentate, bambini vilipesi) rispecchiandosi nei drammi del passato, può trovare nel racconto degli anziani l’anello di congiunzione sulle tematiche in questione e i giovani grazie sia all’autorità dei testi classici, sia al racconto (storia, favola, leggenda) spesso vibrante di emozionanti ricordi di chi ha vissuto in prima persona esperienze dolorose potranno trovare nella “memoria” appunto, se non la soluzione ai loro interrogativi, almeno una spinta a far meglio.

Il mito è la memoria, il riferimento unico quando si voglia scoprire il senso delle radici, come senso di appartenenza. Ma il mito è anche favola dalle valenze simboliche e sacrali. Il mito è la speranza che si tramuta in sogno, è il sogno che perpetua la speranza. Il mito permette di andare oltre la cronaca, di superare le barriere del tempo, costruendo un bagaglio di ricordi che costituiscono la memoria storica, senza la quale non solo non è l’uomo, ma neppure una società, un popolo.

Forse la perdita di senso dell’età contemporanea è anche nello smarrimento delle radici primordiali a cui la vita tende. I conflitti che agitano l’uomo contemporaneo forse dipendono anche dalla perdita della fantasia, quella che sconfigge la storia e quindi la morte, creando personaggi e racconti nella favola, che, proprio perché tale, ritorna sempre nel suo tessuto poetico, passando di generazione in generazione e coltivando così la memoria.

Pertanto solo attraverso il recupero di una dimensione mitica si può penetrare la crisi dell’uomo e superarla. Perché il mito è oltre la storia, è la sacralità che vive il tempo abbandonandolo e ritrovandolo. Non può esserci memoria senza mito. I popoli e gli uomini si ritrovano allora soltanto nella memoria.

Noi fummo e siamo Greci. La grecità è il Mediterraneo che si fa viaggio. L’andare verso terre è penetrare il senso della storia. Una storia che si raccoglie appunto nella nostalgia perché è fatta di mito, di simboli, di echi. E di quel mondo greco noi abbiamo raccolto i profili, il sentimento del destino, il sacro e le proiezioni della divinità, l’amore e l’eros, l’eroismo, l’attesa.

Il Mediterraneo non è solo un viaggio. È soprattutto attesa. E nella cultura ellenica l’attesa è un valore. “E noi fummo Greci. E forse lo siamo ancora”. Così asserisce Valerio M. Manfredi in “I Greci d’Occidente”.

Ma il Mediterraneo ha conosciuto e conosce tuttora l’incontro e lo scontro tra civiltà. Il Mediterraneo antico fu greco, fenicio-punico, romano. Tutto un mondo arabo si trovò a fare i conti con diverse identità. Bisogna saper cogliere quell’eredità: un’eredità la cui chiave di lettura è nell’interpretazione dei miti, che ci raccontano delle avventure dei popoli.

E il mito mediterraneo per eccellenza è quello di Ulisse, seguito da quello di Enea. Il loro viaggio si compie per mare, esso rappresenta il futuro. Entrambi gli eroi hanno in comune l’esperienza di navigazione, dei ritorni avventurosi e delle sofferenze sia di chi anela a ritornare nella propria patria lontana, sia di chi, sopravvissuto alla guerra, desidera trasmigrare in nuove sedi.

Sono essi dunque i simboli che ci permettono di captare il nostro essere nel tempo, che custodiscono la memoria delle nostre radici mai recise, e che attraverso le epoche tramandano, come onde sonore, suoni di viaggi, di naufraghi, di migranti.

L’eredità è saper riconoscere queste voci che ci suggeriscono nuovi percorsi, che dentro la memoria ridisegnano il futuro. Un futuro che ora come allora è dipinto di nostalgia, che contrappone al canto delle Sirene il muto dolore dei naufraghi che a migliaia tentano di approdare a nuove rive.

Ma c’è di più. Non interessa sapere se Ulisse sia un personaggio reale o frutto di fantasia. Ci appassiona la nostalgia del suo nostos, che è testimonianza di un tempo archetipale che traccia misteri, segni, luoghi e fa della nostra ricerca un viaggio per tentare di catturare i segreti di quell’isola che è il nostro destino, dei destini che diventano avventure. Gli eventi condizionano tutto il percorso. Il mito allora come rivisitazione degli eventi.

Il viaggio di Ulisse si risolveva in un’avventurosa peregrinazione per i mari, le isole, i porti del Mediterraneo; Enea, viceversa, edifica nel suo itinerario una biografia etico-religiosa con finalità politico-universalistiche.

L’Odissea insegna negli avvenimenti di Ulisse, e nella sua saggia condotta, la sapienza privata appresa dalla lunga conoscenza del mondo e dalla conoscenza della fortuna, le cui vicende, come spesso dal sommo della felicità ci urtano nel sommo delle disgrazie, così dal fondo delle disgrazie ci sollevano al sommo della felicità; in modo che né sicuri delle cose prospere dobbiamo vivere, né abbandonarci nelle avversità; ma piuttosto armarci di fortezza, per resistere e riservarci allo stato migliore. Perciò Ulisse sbattuto dai venti, minacciato dai pericoli, allontanato dalla patria da tante tempeste, pur non si perde mai di animo: come avvenne quando, partito da Calipso, scampato agli inganni di Circe, all’empietà di Polifemo, alla crudeltà dei Ciconi, alle lusinghe delle Sirene, e ad altri travagli, fu alla fine della tempesta portato alla regione dei Feaci dove, ristorato da Nausicaa, fu accolto dal re Alcinoo e rimandato felicemente a casa.

Ora le avventure di Ulisse possono ben rappresentare il repertorio più completo della realtà umana: un inventario della vita e del destino, che si esplicano in esperienze e caratteri d’apertura universale. E dietro le figure e le peripezie di Ulisse e dei compagni, nella parabola delle sorti individuali, si riflette l’infinita trama dell’essere.

A distanza di tanti secoli la vetusta poesia omerica continua a trasmettere gli “esemplari” dell’umanità; e alla nostra sensibilità palesa una vigorosa dimensione di realismo proiettata in una dimensione leggendaria. Secondo Manara Valgimigli Ulisse rimane “la figura più ricca di umanità che la poesia greca abbia creato, nella sua ricchezza singolarissima di prudenza e di coraggio, di curiosità e di intelligenza, di generosità impetuosa e di calcolata freddezza, di fiducia e di dubbio, di caldissima e nobilissima astuzia”.

Egli ha capito che la vita è conoscenza, ma anche memoria e rispetto della propria intimità, degli affetti originari, della casa avita.

All’opposto di Ulisse che circumnaviga le terre mediterranee per concludere la vita nel ritorno, il destino di Enea nasce dalla distruzione, dalla fuga e dall’esilio definitivo. Troia brucia, c’è il massacro dei vinti. Enea fugge dalla sua terra e comincia a percorrere una nuova rotta; perduta ogni speranza cerca nuove radici. La patria, i Penati, gli affetti se li porta con sé verso l’ignoto, ma con l’idea della terra promessa e l’occulto progetto di fondare una nuova patria e un nuovo ordine. Nell’Eneide il destino si fa storia e civiltà, e queste sono dirette da un’idea di progresso e d’universalità. È la prima volta che un organismo mitico-letterario si assume il ruolo della missione storica e si ipostatizza a capostipite di una tradizione secolare. Enea trasferisce le fondamenta di un destino di civiltà dall’Oriente all’Occidente. L’esperienza dell’eroe non può dissociarsi da un significato simboleggiante che la supera. È la prima volta che il personaggio incarna un’idea e si identifica con lo spirito della storia. Egli edifica nel suo itinerario una biografia etico-religiosa con finalità politico-universalistiche. Gli incontri che Enea fa nel panorama geografico non hanno più nulla della curiosità leggendaria implicita nei viaggi di Ulisse. Il rapporto che egli inaugura con la realtà si fonda ogni volta su una situazione di coscienza. Enea compie il suo viaggio non per cercare la morte, ma per impossessarsi della vita attraverso il Tempo. Non aveva un’Itaca da ritrovare ma una patria da rifondare. Anch’egli però si trova tra le acque a remare e una volta approdato in terra ferma il suo destino è quello di creare la dimensione della rinascita., di costruire il futuro con dentro gli occhi l’identità della perdita.

Rileggere oggi questi miti non è soltanto un tuffo in una visione archeologica, ma è sostanzialmente qualcosa di più. È un viaggio nel quale l’appartenenza oltre ad essere una metafora è una costante nostalgia.

L’uomo di una civiltà perduta (orfano e senza progetti) va alla ricerca della sua identità. Ma la sua identità è nella storia del tempo.

Enea ed Ulisse lo hanno testimoniato, l’uno andando alla ricerca di una nuova patria da edificare sull’immagine di quella distrutta, l’altro andando alla ricerca del ritorno. Ma in entrambi, il ritorno alle antiche origini ha rappresentato l’asse dominante intorno al quale far ruotare la coscienza dell’essere e del tempo.

Enea ed Ulisse navigano ancora le acque di questa civiltà? O vanno alla ricerca, come noi, di una nuova età?

L’anima del mondo ha sempre più bisogno di restare fedele a un’identità. La certezza dell’identità sta nel saper riandare alle origini della coscienza. Enea ed Ulisse sono i simboli dell’esistenza e del destino dell’uomo e della sua capacità di essere e di comprendere la solitudine e l’angoscia del tempo, ma anche le ragioni della rinascita di questa coscienza.

Se li rimeditiamo, forse saremo in grado di meditare noi stessi, dispersi nella civiltà della non identità e del progresso, incapaci di comunicare in una stagione della società, definita troppe volte della comunicazione totale.

Abbiamo tutti bisogno di radici, perché “siamo tutti inseguiti dalle nostre radici” (E.M.Cioran).

E abbiamo bisogno di memoria per capire ciò che siamo stati e per identificare ciò che siamo.

La nostalgia di una civiltà! Una nostalgia che i popoli mediterranei rincorrono. Una nostalgia che è dentro il viaggio di quelle culture e il vivere di quelle culture che hanno avuto e hanno come riferimento il mare.

Il mare è il punto di contatto certo dell’identità della mediterraneità. I popoli che costeggiano il mare sono popoli che hanno conosciuto l’attesa, la partenza e il ritorno. Sono popoli che non dimenticano. La continuità tra i popoli è la riaffermazione di quei valori che hanno fatto del Mediterraneo un centro di culture.    

Riscoprire i miti significa dunque riappropriarsi degli archetipi che mancano ad una società   ormai desacralizzata. I miti sono la decodificazione di un vissuto, sono nel fascino e nel mistero, sono quella quotidiana attesa nella quale ci ritroviamo.

E l’Europa sarà capace di rispondere alle sfide del mondo moderno solo se sarà capace di difendere la sua cultura. E la sua cultura si difende se tutti saremo capaci di riappropriarci della tradizione e rendere questa tradizione identità del (e per il) futuro.

Concludendo vorrei lanciare a tutti i popoli del Mediterraneo un messaggio personale di pace scritto in lingua latina, la lingua degli ultimi dominatori del mare in epoca antica, che sia propizio a una fattiva collaborazione per costruire insieme un mondo migliore.

Prima nuntium pacis freta accipiant
quae ad oras hospitales populos migrantes pergant.
Tuque o pelagus simultates nobis eripe
Veterumque fave venerandam pacem petenti virum.

Nunc nostra demum serenum corda iuves,
haec ut qualemcumque gentem externamque religionem excipiant.
Quies sit animo paventi hominum divumque minas.
Instet virtus quae anteire metus et cupiditates exstinguere pergat,
neque bella videat neque monstra ubicumque gentium ulla.

Accolgano le onde fin dall’inizio un messaggio di pace
affinché spingano i popoli in cammino su coste ospitali
e tu, o mare, strappa a noi le rivalità odiose
e favorisci chi chiede la veneranda pace degli antichi uomini.
Ora, pacificato, ispira i nostri cuori ad accogliere ogni razza, ogni
straniera religione.
Rimanga tranquillo l’animo di fronte alle provocazioni di uomini e Dei.
Sia salda la virtù affinché esorti a superare le paure e l’egoismo,
e non veda più guerre né atrocità in nessuna parte del mondo”.

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