Baudelaire conversava con sa merde creando pura maledetta e intramontabile arte. Ma la pupilla del comune mortale che attende può beffare la convenzione borghese e inumana del tempo con la lettura. Ci sono libri e film che svegliano con la loro incantevole bellezza e peggiorano il male dell’insonne. Altri invece sono proprio curativi, dato che con le mani blandiscono il tempo e aprono la bocca del demone per trarne il corpo del dio, risuscitando Morfeo come Iside ha fatto con Osiride.
Capita di avere a che fare con miti di plastica, produzioni consolidate e accettate. Capolavori per tradizione, i cui autori, icone intoccabili, non si possono contestare per diverse ragioni, non ultime di natura politica, efficacemente strumentalizzanti. Il potere domina le coscienze e influenza profondamente anche la lucidità dei giudizi sull’arte che dovrebbe essere apartitica e apolitica, un libero gioco creativo.
Ma il condizionale è d’obbligo perché spesso proprio le produzioni artistiche vengono etichettate dal sigillo di potenti interessi associativi. Gruppi di destra, di sinistra o di centro, si identificano fortemente in certi artisti, siano essi pittori, musicisti, poeti e scrittori. La critica di fronte al mostro sacro perde la dovuta lucidità, evita di scavare a fondo, per evitare di andare a cozzare contro il magma appiccicoso e vile del potere che depaupera il raziocinio e ottunde le coscienze.
Così se l’autore di Ragazzi di vita, si è dilettato a scrivere Amado mio, assurda, patetica e noiosa autobiografia, meglio tacere. Se poi quello stesso Pasolini che ha raccontato la sua vita in un polpettone, ha letteralmente rovinato in Uccellacci e uccellini la vena creativa di quel genio dell’improvvisazione e della risata che era il Principe Antonio de Curtis, non si può dire. Tutto quello che l’icona fa è cosa buona e giusta perché un idolo è un idolo e non si discute. Chi lo fa è un folle a caccia di aquiloni perduti nel vento, un anarchico idiota senza una giusta collocazione nel mondo.
Tale pazzo consiglia rimedi anti-stress. Di notte se non si riesce a dormire e si soffre di stitichezza, al posto di un farmaco psicotropo o di una pillola che stimola la peristalsi, si può vedere l’incontestabile Nanni Moretti, attore e regista di Caro Diario. Una storia divisa in tre parti, tra biografia e denuncia sociale di stampo vetero-realista dalle sfumature radical-chic. Banali verità senza scosse né emozioni, di color grigio pesto, come gli occhi dell’insonne. Un film girato con pochi mezzi ma anche con poche idee. La confusione nasce dalla posa dell’attore che confonde l’ovvietà con la filosofia, girando a bordo della sua Vespa sotto il sole di una Roma deserta. Una pellicola tutta concentrata su qualche intellettualistica elucubrazione spacciata per profondità artistica. Un film di Moretti sull’idea che ci si può fare di Moretti, intellettuale di sinistra. Un’autocelebrazione che ci potevamo anche risparmiare. Ma una prugna è una prugna e si sa l’effetto che fa anche se si traveste da vellutata pesca, anche se chi la espone è politicamente schierato e nasconde la reale ricchezza intesa nel senso più volgare, pecuniario, sotto simboli ultrapopolari come la Vespa e la trasandatezza del vestire, stile finto povero.
L’arte andrebbe valutata coi parametri della libertà, indipendentemente dalla tessera di partito, dalle preferenze sessuali, e dal nome dell’autore.
Superare le convenzioni dunque, avere il coraggio di andare oltre e poter criticare anche vecchie, incrostate e incartapecorite icone, non sarebbe un’operazione malvagia. Forse chi la compie non è poi così folle.
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