Tra una settimana comincia il mondiale brasiliano. Di già? Sembrano trascorsi pochi mesi dal trascinante Waka-Waka di Shakira e le lamentele per gli assordanti vuvuzela sudafricani, ed invece sono anni. Quattro anni, per la precisione. Con famigerata puntalità torna quindi l’evento sportivo più atteso e seguito al mondo. E con esso il frastornante tran tran mediatico, lo straripante côté pubblicitario, le infinite e spesso sterili polemiche che vanno dalle presunte convocazioni errate agli arbitraggi scandalosi passando per le tette rifatte della soubrette compagna del bomber del momento. Ma soprattutto, si tirano fuori le bandiere impolverate e torna la palpabilissima atmosfera di schiamazzi e cori goliardici, narcisismo nazional-popolare, birrozze e inni cantati a squarciagola con enfasi baritonale, maxischermi e sfilate di giubilo. Poco conta se si è appassionati di calcio o meno. I mondiali entusiasmano e spaventano anche un po’. Perchè ben più di compleanni o anniversari di altro genere, i mondiali scandiscono in maniera inesorabile le tappe della nostra esistenza. C’è il mondiale della nostra infanzia, quello vissuto con i genitori e gli zii, in cui si rimane ipnotizzati dalle prodezze di quegli omoni scattanti che pero' non sono acrobatici come i personaggi di Holly e Benji. C’è il mondiale della prima adolescenza, con il tifo che si fa piu’ intenso e con esso il sogno della vittoria, e la fantasia a briglia sciolta che ti catapulta direttamente sul campo, al centro dei riflettori, segnando dopo aver dribblato gli avversari come Baggio nel ’90 e con la curva che si scioglie in boati di gioia solo per te. C’è il mondiale dei sedicianni, in cui gli umori e le canzoni del periodo contano piu’ delle azioni di Vieri, e, chissà perchè, porta con sé il sentore delle serate in riva al mare, il ricordo struggente degli sguardi liquidi e dei sorrisi e dei baci sofferti sognati o negati.C’è il mondiale dei vent’anni, il mondiale della goliardia, quello in cui finalmente si puo’ festeggiare in macchina con gli amici strombazzando il clacson a gogò. C’è il mondiale dei venticinque, quello della laurea o quasi, quello che distrae dalle fastidiose domande esistenziali su cosa fare da grande mentre si fa il conteggio di quanti calciatori siano piu’ giovani o piu’ vecchi di te. C’è il mondiale dei trent’anni, quello in cui l’entusiasmo permane ma ad ogni vittoria si festeggia un po’ di meno, perchè c’è chi ha ancora la testa di venti ma chi deve tornare a casa presto per badare al pupo. E tutti gli altri mondiali a venire. Che sembrano avere date fantascientifiche eppure arrivano cosi’ presto.Indissolubilmente legati all’estate, i mondiali sono anche sole, mare, risate, zanzare, barbecue, vino bianco e flirts al chiaro di luna. I mondiali sono un potente catalizzatore degli umori che la stagione estiva, da sempre emblema della crescita e del passaggio a volte turbolento da una fase della vita all’altra, si porta appresso. E come tante estati della nostra vita, il piu’ delle volte lasciano ferite; fosse pur solo per motivi statistici, quasi sempre i mondiali si perdono. Un maldestro errore della difesa, un rigore sbagliato e si è fuori dalla competizione. L’entusiasmo si sgonfia come una mongolfiera colpita da un proiettile vagante. Si continua a seguire le altre partite, ma non è piu’ la stessa cosa. I mondiali sono occasione di bilanci. Dov’ero il mondiale scorso? Con chi ero, cosa facevo? Cos’è cambiato? Domande la cui risposta, volenti o nolenti, ha spesso un retrogusto amaro. Quello del tempo che passa, che a volte sfugge dalle dita come sabbia fina e si ha l’impressione che non ci abbia poi lasciato granchè. Così come differenti scelte tattiche o una difesa leggermente più attenta o addirittura un tiro in porta mancato per pochi centimetri avrebbe portato ad un esito della competizione completamente diverso, la delusione per il mondiale perso riecheggia il rimpianto per cio’ che eravamo o il rimorso per cio’ che avremmo potuto essere (o avremmo potuto fare) ma poi non siamo stati (o non abbiamo fatto).Ma finchè dura, l’euforia cancella le domande più annose. Tra una settimana saremo tutti li’ a tifare e a cantare cori a squarciagola. Lottando insieme agli eroi di Prandelli affinché il momento dei rimpianti non arrivi troppo presto.
Tra una settimana comincia il mondiale brasiliano. Di già? Sembrano trascorsi pochi mesi dal trascinante Waka-Waka di Shakira e le lamentele per gli assordanti vuvuzela sudafricani, ed invece sono anni. Quattro anni, per la precisione. Con famigerata puntalità torna quindi l’evento sportivo più atteso e seguito al mondo. E con esso il frastornante tran tran mediatico, lo straripante côté pubblicitario, le infinite e spesso sterili polemiche che vanno dalle presunte convocazioni errate agli arbitraggi scandalosi passando per le tette rifatte della soubrette compagna del bomber del momento. Ma soprattutto, si tirano fuori le bandiere impolverate e torna la palpabilissima atmosfera di schiamazzi e cori goliardici, narcisismo nazional-popolare, birrozze e inni cantati a squarciagola con enfasi baritonale, maxischermi e sfilate di giubilo. Poco conta se si è appassionati di calcio o meno. I mondiali entusiasmano e spaventano anche un po’. Perchè ben più di compleanni o anniversari di altro genere, i mondiali scandiscono in maniera inesorabile le tappe della nostra esistenza. C’è il mondiale della nostra infanzia, quello vissuto con i genitori e gli zii, in cui si rimane ipnotizzati dalle prodezze di quegli omoni scattanti che pero' non sono acrobatici come i personaggi di Holly e Benji. C’è il mondiale della prima adolescenza, con il tifo che si fa piu’ intenso e con esso il sogno della vittoria, e la fantasia a briglia sciolta che ti catapulta direttamente sul campo, al centro dei riflettori, segnando dopo aver dribblato gli avversari come Baggio nel ’90 e con la curva che si scioglie in boati di gioia solo per te. C’è il mondiale dei sedicianni, in cui gli umori e le canzoni del periodo contano piu’ delle azioni di Vieri, e, chissà perchè, porta con sé il sentore delle serate in riva al mare, il ricordo struggente degli sguardi liquidi e dei sorrisi e dei baci sofferti sognati o negati.C’è il mondiale dei vent’anni, il mondiale della goliardia, quello in cui finalmente si puo’ festeggiare in macchina con gli amici strombazzando il clacson a gogò. C’è il mondiale dei venticinque, quello della laurea o quasi, quello che distrae dalle fastidiose domande esistenziali su cosa fare da grande mentre si fa il conteggio di quanti calciatori siano piu’ giovani o piu’ vecchi di te. C’è il mondiale dei trent’anni, quello in cui l’entusiasmo permane ma ad ogni vittoria si festeggia un po’ di meno, perchè c’è chi ha ancora la testa di venti ma chi deve tornare a casa presto per badare al pupo. E tutti gli altri mondiali a venire. Che sembrano avere date fantascientifiche eppure arrivano cosi’ presto.Indissolubilmente legati all’estate, i mondiali sono anche sole, mare, risate, zanzare, barbecue, vino bianco e flirts al chiaro di luna. I mondiali sono un potente catalizzatore degli umori che la stagione estiva, da sempre emblema della crescita e del passaggio a volte turbolento da una fase della vita all’altra, si porta appresso. E come tante estati della nostra vita, il piu’ delle volte lasciano ferite; fosse pur solo per motivi statistici, quasi sempre i mondiali si perdono. Un maldestro errore della difesa, un rigore sbagliato e si è fuori dalla competizione. L’entusiasmo si sgonfia come una mongolfiera colpita da un proiettile vagante. Si continua a seguire le altre partite, ma non è piu’ la stessa cosa. I mondiali sono occasione di bilanci. Dov’ero il mondiale scorso? Con chi ero, cosa facevo? Cos’è cambiato? Domande la cui risposta, volenti o nolenti, ha spesso un retrogusto amaro. Quello del tempo che passa, che a volte sfugge dalle dita come sabbia fina e si ha l’impressione che non ci abbia poi lasciato granchè. Così come differenti scelte tattiche o una difesa leggermente più attenta o addirittura un tiro in porta mancato per pochi centimetri avrebbe portato ad un esito della competizione completamente diverso, la delusione per il mondiale perso riecheggia il rimpianto per cio’ che eravamo o il rimorso per cio’ che avremmo potuto essere (o avremmo potuto fare) ma poi non siamo stati (o non abbiamo fatto).Ma finchè dura, l’euforia cancella le domande più annose. Tra una settimana saremo tutti li’ a tifare e a cantare cori a squarciagola. Lottando insieme agli eroi di Prandelli affinché il momento dei rimpianti non arrivi troppo presto.
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