Sergio Ponchione inizia la sua carriera sulla rivista Maltese Narrazioni; collabora con Bonelli Editore su Jonathan Steele di Federico Memola, restando nella squadra dei disegnatori anche con il passaggio della testata alla Star Comics. Negli anni 2000 crea un personaggio divenuto un po’ simbolo dell’autore stesso, l’Obliquomo, pubblicato da Coconino Press. Ha vinto il Gran Guinigi a Lucca Comics 2009 per la serie Grotesque (Coconino) e il Premio Micheluzzi come miglior storia breve a Napoli Comicon 2012 per “Storia di Aiace, fumettista tenace!” contenuta nell’antologia GANG BANG de Il Manifesto/Edizioni BD. Ha collaborato con tantissimi editori, riviste, fanzine: Rizzoli, Fabbri, Zanichelli, Mondadori, Baldini Castoldi Dalai, Internazionale, La Repubblica XL, Puck!, Lamette. Attualmente scrive e disegna le sue storie brevi sulla storica rivista a fumetti Linus.
E’ un autore capace di adattare uno stile che non nasconde le influenze dell’underground americano, ma rielaborate attraverso una sensibilità personale e riconoscibile, sia al fumetto popolare che a storie prettamente autoriali e sperimentali.
Ditko, Kirby, Wood. Tre autori e tre personaggi simbolo del fumetto statunitense e, di conseguenza, mondiale. Ma per Sergio Ponchione, in particolare, cosa hanno rappresentato e cosa rappresentano?
Incarnano l’amore e la dedizione assoluta per il proprio lavoro, anche a caro prezzo. La prova che non si scappa al proprio destino. Sono sempre stato affascinato da figure che hanno dedicato l’intera vita alla loro passione. Fatte le pur debite proporzioni mi sento un po’ così anch’io, con tutte le gioie e i dolori che ciò comporta. Ditko, Kirby e Wood forse non sono esattamente esempi equilibrati da seguire, di sicuro non Wood che si è autodistrutto. Ma come scrive Daniele Brolli nell’introduzione dell’albo, proprio da questo squilibrio viene parte della loro grandezza. Sono persone che hanno passato la vita fra tavolo e lampada sacrificando rilassanti pomeriggi a pescare e magari salute pur di dare forma ai loro mondi. E che mondi. Grazie a internet ora posso vedere loro lavori che mai avrei potuto vedere. Continuo a scoprirne di mai visti, perlopiù bellissimi. E ogni volta mi chiedo: ma quanto hanno lavorato? Quanto hanno prodotto? Ogni volta mi accarezza un piccolo brivido. Perché se penso a un qualunque fatto accaduto nel mondo reale nel corso della loro attività, che siano guerre, anniversari, scoperte, morti, nascite o semplicemente quella foglia caduta dall’albero in quell’autunno del 1972, mentre accadevano loro me li immagino sempre lì, a lavorare. Di giorno o di notte, con il sole, con la pioggia, felici, tristi, sempre chini a raccontare la loro ossessione. Inattaccabili, fuori dal tempo. Certo, c’erano anche i soldi, per Kirby che aveva tre figli erano un bisogno primario, ma nessuno si è mai arricchito. La loro inarrestabile spinta creativa andava oltre il semplice rapporto lavorativo. Facevano quel che facevano perché non potevano farne a meno. Un’esigenza umana come il respiro. Una missione pura e immacolata. Forse pericolosa, comunque bellissima.
Ricordi il primo “incontro” con le loro opere, cosa ti colpì?
Ritieni che il loro approccio al fumetto e il loro stile siano ancora un esempio valido per i nuovi autori, e cosa in particolare?
Direi di sì, dipende da cosa uno vuole fare con i fumetti. Se lasciamo da parte approcci pittorici e parliamo di making comics in senso classico, tavole a matite ripassate a china, rimangono esempi illustri da cui c’è tutto da imparare. Non sono autori dal disegno perfetto, ma anche in questo sta un’altra loro grandezza: il costituire una devianza dai canoni del disegno del fumetto mainstream americano, pur avendo sempre operato al suo interno. Il loro immenso mondo interiore ha generato il loro stile, rendendolo unico e immaginifico, capace di far chiudere un occhio anche su errori o azzardi grafici che in altri autori sarebbero imperdonabili.
Con queste tre storie a fumetti, che obiettivo ti ponevi? Un semplice omaggio, un modo per farli conoscere alle “nuove generazioni”, o cos’altro?
Sono storie nate un po’ per caso, ma indubbiamente generate da un forte debito che ho verso questi autori. Per quello che mi hanno dato, insegnato, trasmesso. Per l’impareggiabile stimolo datomi quando l’entusiasmo latita. E per quel che sento in comune, certo. Non parlo di abilità ma di vita spirituale al tavolo da disegno. A un certo punto si sente quasi un bisogno di riconoscenza, un piccolo e simbolico grazie di tutto, che diventa poi anche un po’ misurarsi con i propri mostri sacri.
Se potessi rubare e impossessarti di una e una sola qualità stilistica a ognuno dei tre, quale vorresti?
Diciamo qualità attitudinali: la tenacia di Ditko, l’energia di Kirby e la poliedricità di Wood.
Cos’altro sta facendo Sergio Ponchione in questo finire dell’anno? Che progetti e che fumetti ci sono in corso?
Ho lavorato tutta l’estate e ora sto tirando un po’ il fiato. E’ da poco uscito un libro per bambini su Giuseppe Verdi illustrato da me e a Lucca oltre DKW (con annessa t-shirt) ci saranno un albo promozionale di Kepher con copertina, anteprime del mio episodio e una stampa allegata. Dopo la fiera inizierò seriamente a mettere mano al mio romanzo a fumetti a cui penso ormai da diversi mesi, mentre sul secondo numero di Splatter a gennaio apparirà il primo episodio della serie fatta con Alessandro Bilotta. Per il prossimo anno spero anche in un volume che raccolga tutte le storie del Professor Hackensack uscite su Linus, sul cui numero in edicola trovate l’ultimo episodio, che è anche un po’ un teaser di quel che sarà il romanzo. Siete avvisati…
Grazie per il tuo tempo!
Abbiamo parlato di:
DKW
Sergio Ponchione
MoltiMedia - Comma 22, 2013
32 pagine, brossurato, colori – 3,50€
Una versione breve della storia di Ponchione su Wally Wood è stata pubblicata su Lo Spazio Bianco nella rubrica “A fumetti”: http://www.lospaziobianco.it/68395-sergio-ponchione-wally-wood-fumetti
Intervista rilasciata via mail a ottobre 2013
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