I nessuno di Facebook

Da Casarrubea

La mappa dei social network nel mondo http://vincos.it/2012/06/11/la-mappa-dei-social-network-nel-mondo-giugno-2012/

Si ha un bel dire che i solcial network, internet e le nuove tecnologie della comunicazione hanno rivoluzionato il sistema delle relazioni umane e mutato le modalità di stare insieme delle persone. Trovo più corretto dire che quando queste modalità sono utilizzate per risolvere problemi, provocare movimenti, creare sintonie che servano, anche politicamente, a determinare una pressione contro i tiranni, allora raggiungono effetti dirompenti, ma non per questo motivo hanno, come strumenti di comunicazione, la stessa efficacia per la quale sono impiegati. Talvolta, come nel caso della cosiddetta “primavera araba”, hanno effetti illusori e strumentali, come in un gioco a carambola.

Ciò premesso, sono convinto che l’accesso alla comunicazione e avere propri spazi di socializzazione e di libera circolazione del proprio pensiero, siano un diritto e dovrebbero essere garantiti dagli Stati in quanto bene necessario allo sviluppo della conoscenza. Come il pane, l’aria e l’acqua. Perché, avere maggiori livelli di scambio, aiuta, senza dubbio alcuno, ad avere un maggiore tenore di vita e un maggiore benessere di individui e popoli, sia nel loro privato sia nelle collettività in cui vivono.

Naturalmente non tutto è coerente e automatico, e non sempre la comunicazione risulta produttiva. Spesso scade, diventa senza senso, e lo scambio si trasforma in un avvitamento sterile nelle pieghe dei caratteri individuali. Con un rischio: l’accentuazione delle solitudini, e la formazione di gruppi o coppie virtuali che si crogiolano dentro la palude delle loro situazioni psicologiche, aggravando il proprio senso di vacuità.

Al contrario di tale processo involutivo, considero i social network, ma anche gli spazi di comunicazione delle proprie esperienze, come necessari ad accrescere gli scambi relazionali, purché questi siano capaci di produrre soddisfazioni, non semplicemente virtuali, ma anche e soprattutto reali. A livello personale, sociale e politico. Cioè tesi a un rafforzamento di sé e alla costruzione progressiva e matura di una società più avanzata. Che questa tendenza coincida con il tessuto democratico reale è un dato di fatto. Basta dare un’occhiata alla diffusione di Facebook nel mondo. Praticasmente inesistente in realtà come la Cina, la Russia, l’Iran, l’Afghanistan e l’Iraq. Nonostante gli sforzi di occidentalizzazione registrati in alcuni di questi Paesi. Qui la forza di Zuckerberg, ha difficoltà ad agire, mentre riscuote notevoli consensi in Europa e in America, come del resto sembra che accada anche a Twitter, Linkedin, Badoo ed altri social network.

Il discorso vale anche per gli spazi destinati ai gestori di blog e reti internet costruite su comuni interessi tematici. Avrebbero tutti diritto non ad essere soggetti a un dominio, ma a essere liberi gestori dello spazio. I motivi sono evidenti. A mano a mano che si consolidano le centrali di controllo dei processi comunicativi, si restringe il numero dei controllori della libertà. E finché questa c’è è un bene, ma qualora dovesse venire a mancare sarebbero problemi seri.

Ma vi è un altro aspetto del problema che riguarda i monopolisti della comunicazione. Ed è il rapporto che viene a stabilirsi tra i singoli soggetti della comunicazione nelle organizzazioni dei social network. Che tipo di comunicazione è? Quali spazi offre? Quali opportunità che due o più soggetti possano realmente incontrarsi, quando non sono coinvolti da spinte di massa? Siamo sicuri che la difficoltà delle opportunità dipenda da loro? Ad esempio ho potuto sperimentare che la creazione di un evento crea scelte di tipo meramente virtuale. Per cui le risposte date non corrispondono affatto all’esplicitazione di una volontà, ma a una sorta di finzione. Altro esempio è l’induzione a credere in una proposta di identità delle persone interessate da uno scambio che è solo fiction, atto teatrale. Ma lontana dalla realtà.

Non sempre è così e non si tratta affatto, anzi, di un fenomeno diffusivo, epidemico. Ma colgo l’avvio ad una spinta tendenziale verso la creazione di una terra di nessuno, una sorta di palcoscenico teatrale che trovo pericoloso se induce all’artificio e all’alienazione. Ne possiamo uscire con la spontaneità ed utilizzando il social network, come campo di esercitazione della nostra originalità, dei nostri desideri, della nostra aderenza alla realtà. Dobbiamo costruirlo per agire e non simulare di agire per non fare.

Giuseppe Casarrubea


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