Per il borghese della prima ora, assieme alla conformità e all’allineamento (si pensi ad esempio a quegli omini dell’Olanda calvinista, tutti egualmente vestiti di nero, dipinti da Rembrandt o da Vermeer), all’ordine e al calcolo, era un valore da testimoniare nella quotidianità pure il risparmio, o per meglio dire la parsimonia. Leon Battista Alberti, ad esempio, che non era né uno straccione, né tantomeno un uomo di punta della tanto vituperata “decrescita” odierna, sosteneva che si potesse diventare ricchi anche risparmiando (l'ostentazione della ricchezza non era visto eccessivamente di buon occhio all'epoca). Il risparmiatore, come il centrino (invenzione borghese) vuole preservare l’integrità di ciò su cui si appoggia, rispondeva alle esigenze di una nascente classe economico-sociale ancora troppo insicura ed inconsapevole delle proprie potenzialità. Infatti solo colui che soffre del presente rivolge il proprio sguardo verso un “futuro” che ancora non è, luogo idealizzato anche dal cristianesimo (l’aldilà), e dalle moderne istanze democratiche (il progressismo e forse oggi il dominio di una techné che nell’innovazione continua vorrebbe risolvere la vita in un’accumulazione crescente di “ben-essere”), in cui la promessa di “stare meglio” possa sublimare l’angoscia verso ogni presente. Quel borghese era in fondo un uomo pio, allineato, ordinato, frugale per necessità: egli ha fede nel futuro, ma ne è al contempo timorato. Non sarà forse un caso se, in un noto adagio popolare, l’aristocratico diventa convessamente all’Accumulatore, il Dissipatore. L’aristocratico, a differenza del parvenu borghese, potrà forse andare in rovina e finire magari in mezzo ad una strada, perdendo così tutte le proprie fortune, ma in quanto nobile non correrà mai il rischio di smarrire il proprio titolo, laddove al contrario l’”accumulatore” ha la necessità di confermarsi giorno dopo giorno, perché solo quel che possiede è in grado di convalidarne l’identità (soprattutto oggi l’indipendenza economica è sinonimo di autonomia, ché soloil povero crede che tutto si possa comprare, anche gli uomini, lavorando). Il borghese è dunque un decadente in sé, fisiologicamente. Il nobile un decadente per volere! Oggi quel risparmio proto-borghese non è però più un valore. La società si è enormemente trasformata. Essa, per riuscire a reggere sulle proprie spalle questo assurdo moloch economico, si è trasformata da una società di produttori in una società di consumatori. Non è infatti del lavoro dei "produttori" che si nutre, bensì della capacità che l’uomo ha di ingoiarne, ad un ritmo sempre più insostenibile e frenetico, i superficiali prodotti. In fondo: “bisogna fare girare l’economia!”. L’uomo infatti non produce più quello che gli serve per vivere; per produrre (e lavorare quindi) deve innanzitutto consumare: “non si produce più per consumare, ma si consuma per produrre”.
Per il borghese della prima ora, assieme alla conformità e all’allineamento (si pensi ad esempio a quegli omini dell’Olanda calvinista, tutti egualmente vestiti di nero, dipinti da Rembrandt o da Vermeer), all’ordine e al calcolo, era un valore da testimoniare nella quotidianità pure il risparmio, o per meglio dire la parsimonia. Leon Battista Alberti, ad esempio, che non era né uno straccione, né tantomeno un uomo di punta della tanto vituperata “decrescita” odierna, sosteneva che si potesse diventare ricchi anche risparmiando (l'ostentazione della ricchezza non era visto eccessivamente di buon occhio all'epoca). Il risparmiatore, come il centrino (invenzione borghese) vuole preservare l’integrità di ciò su cui si appoggia, rispondeva alle esigenze di una nascente classe economico-sociale ancora troppo insicura ed inconsapevole delle proprie potenzialità. Infatti solo colui che soffre del presente rivolge il proprio sguardo verso un “futuro” che ancora non è, luogo idealizzato anche dal cristianesimo (l’aldilà), e dalle moderne istanze democratiche (il progressismo e forse oggi il dominio di una techné che nell’innovazione continua vorrebbe risolvere la vita in un’accumulazione crescente di “ben-essere”), in cui la promessa di “stare meglio” possa sublimare l’angoscia verso ogni presente. Quel borghese era in fondo un uomo pio, allineato, ordinato, frugale per necessità: egli ha fede nel futuro, ma ne è al contempo timorato. Non sarà forse un caso se, in un noto adagio popolare, l’aristocratico diventa convessamente all’Accumulatore, il Dissipatore. L’aristocratico, a differenza del parvenu borghese, potrà forse andare in rovina e finire magari in mezzo ad una strada, perdendo così tutte le proprie fortune, ma in quanto nobile non correrà mai il rischio di smarrire il proprio titolo, laddove al contrario l’”accumulatore” ha la necessità di confermarsi giorno dopo giorno, perché solo quel che possiede è in grado di convalidarne l’identità (soprattutto oggi l’indipendenza economica è sinonimo di autonomia, ché soloil povero crede che tutto si possa comprare, anche gli uomini, lavorando). Il borghese è dunque un decadente in sé, fisiologicamente. Il nobile un decadente per volere! Oggi quel risparmio proto-borghese non è però più un valore. La società si è enormemente trasformata. Essa, per riuscire a reggere sulle proprie spalle questo assurdo moloch economico, si è trasformata da una società di produttori in una società di consumatori. Non è infatti del lavoro dei "produttori" che si nutre, bensì della capacità che l’uomo ha di ingoiarne, ad un ritmo sempre più insostenibile e frenetico, i superficiali prodotti. In fondo: “bisogna fare girare l’economia!”. L’uomo infatti non produce più quello che gli serve per vivere; per produrre (e lavorare quindi) deve innanzitutto consumare: “non si produce più per consumare, ma si consuma per produrre”.
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