I Padri Fondatori del fumetto Disney italiano secondo Pier Luigi Gaspa

Creato il 21 maggio 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco
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 A partire dall’aprile del 1949, la comparsa della nuova versione in formato libretto del settimanale mondadoriano, reca con sé una notevole serie di meriti. A parte l’aver lanciato un formato nuovissimo, presto copiato e che diventerà popolarissimo nella stampa a fumetti di casa nostra, il nuovo Topolino crea una vera e propria scuola di autori nostrani, la cui straordinaria vicenda è stata raccontata nello splendido I Disney Italiani, di Alberto Becattini, Luca Boschi, Leonardo Gori e Andrea Sani, già apparso nel 1990 e recentemente, e meritoriamente, riproposto, ovviamente aggiornato, dalla casa editrice NPE.

Tracciare esaurientemente in poche battute un panorama delle origini di questa straordinaria fucina di talenti è compito impossibile nel quale non osiamo cimentarci. Ciò che invece ci accingiamo a fare, è dare uno sguardo ai vari momenti che si sono succeduti dall’arrivo di Mickey Mouse in Italia alla seconda metà degli anni Cinquanta, quando si crea la scuola Disney italiana.
Cominciamo subito col dire che il rapporto fra gli autori di casa nostra e l’universo creato da Walt Disney data ben prima del fatidico 1949 e della nascita di Topolino libretto… 

Un Guasta per Mickey Mouse

Il Topolino di Guastaveglia apparso sul “Popolo di Roma” nel 1931

A parte i cartoon, già noti e apprezzati nel nostro Paese, Topolino esordisce a fumetti, sia pure in maniera effimera, su L’Illustrazione del Popolo, supplemento domenicale del quotidiano La gazzetta del Popolo, con le primissime strisce di Le audaci imprese di Topolino nell’Isola Misteriosa, che appaiono nel marzo del 1930, solo tre mesi dopo la loro nascita ufficiale sui quotidiani d’Oltreoceano. E già in quell’anno, seppure non propriamente a fumetti, il primo antesignano dei Disney di casa nostra comincia a cimentarsi con le tondeggianti fattezze del topo: si tratta di Giovanni Bissietta, che realizza 27 figurine che raccontano l’incontro di Mickey Mouse addirittura con il Mostro di Loch Ness. L’anno successivo è invece la volta di un autore assai più celebre, Guglielmo Gustaveglia (‘Guasta’), che su un altro quotidiano, il Popolo di Roma, realizza una serie di tavole prive di balloon ma con una strofetta in rima a piè di vignetta. Curiosamente, Topolino e Minni devono vedersela con un’altra grande stella del cinema di animazione dell’epoca, Mio Mao, ovvero Felix the Cat,di Pat Sullivan.

Si tratta solo di sporadici tentativi, privi di continuità. L’anno ancora successivo, però, porta una novità che cambierà per sempre il destino di Topolino e di tutto il mondo disneyano nel nostro Paese: nasce il settimanale Topolino.

Il Topolino di Giove Toppi

Apparso subito dopo il settimanale di Lotario Vecchi Jumbo, Topolino Giornale, come viene chiamato oggi, viene pubblicato da una casa editrice fondamentale nella storia del fumetto italiano, la fiorentina Nerbini. E in prima pagina campeggia una tavola realizzata da Giove Toppi, che vede un birichino Mickey Mouse prendersela con un elefante allo zoo. Allo stesso Giove Toppi si deve il logo della testata, quello che con variazioni tutto sommato minime campeggerà sulla copertina del fatidico tremillesimo numero.
Con lui, forniranno la propria, breve, interpretazione del topo di Walt Disney anche disegnatori quali Gaetano Vitelli e Antonio Burattini (‘Buriko’).
Non staremo qui a raccontare tutte le vicende susseguite alla pubblicazione della nuova rivista e al successivo passaggio alla Mondadori. Nel 1934 infatti la Nerbini pubblicherà l’avventuroso, importando in Italia le gesta di personaggi entrati nell’empireo del fumetto mondiale, come Flash Gordon e L’Uomo Mascherato, The Phantom, e riscuotendo il clamoroso successo che lo indurrà nel 1935 a cedere la testata Topolino alla Mondadori . Questi avvenimenti sono raccontati con dovizia di particolari e di documentazione nel fondamentale Eccetto Topolino, di Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama (sempre per la NPE). In questa sede, ci limitiamo a ricordare che la testata, una volta passata nelle mani della casa editrice milanese, diventerà una straordinaria fucina di storie e di autori di casa nostra.
E darà origine a una prima vera infornata di Disney italiani. A cominciare da Antonio Rubino e, soprattutto, Federico Pedrocchi.

Una prima scuola per Mickey Mouse

“Paolino paperino e il mistero di Marte”, di Federico Pedrocchi

Diventato celebre per i suoi personaggi apparsi sul Corriere dei Piccoli, Antonio Rubino è il direttore della testata appena passata a Mondadori e più di una volta si cimenta in illustrazioni e copertine che hanno come protagonista Topolino.
La figura davvero fondamentale di questa nuova incarnazione del settimanale è però un’altra: Federico Pedrocchi. Sceneggiatore, disegnatore, ideatore e coordinatore di testate e di linee editoriali, Pedrocchi assomma una notevolissima serie di meriti, che solo la precoce scomparsa ha evitato di allungare probabilmente a dismisura. Oltre ad aver portato la rivista al ruolo di leader del panorama fumettistico italiano, presentando una straordinaria mole di autori e di storie, nonostante l’embargo dei personaggi d’Oltreoceano decretato dal regime nel 1938, Pedrocchi ha anche il merito, fra le altre disneyane cose, di aver intuito le potenzialità di un simpatico papero di nome Donald Fauntleroy Duck, Paperino! Proprio con una storia lunga diverse tavole, la primissima in Italia, Paperino e il mistero di Marte, Pedrocchi inaugura nel 1937 una consorella del settimanale, battezzata proprio Paperino. A questa storia farà seguito Paolino Paperino inviato speciale, nel 1938. Nello stesso anno, ma sull’Albo d’Oro, appare un’altra vicenda scritta e disegnata da Pedrocchi, Paperino e la pietra filosofale, e fra il 1939 e il 1940, a disegnare quattro successive storie dello sceneggiatore è, senza troppa convinzione, Mauro Pinochi.

“Biancaneve e il mago Basilisco”. Scritta da Federico Pedrocchi e disegnata da Nino Pagot, appare su “Paperino”

Di straordinaria fattura sono infine le vicende ispirate dal successo cinematografico del lungometraggio animato Biancaneve e i Sette Nani (apparso in Italia nel 1938). Pedrocchi scrive due storie incentrate sui personaggi della celeberrima fiaba. Si tratta di Il Mago Basilisco (1939) e di I Sette Nani Cattivi contro i Sette Nani Buoni (1940). Apparse sul settimanale Paperino, a disegnarle, con uno stile che riprende quello del cartoon e dotato di una sua straordinaria efficacia, è un nome che diventerà notissimo nel mondo dell’animazione di casa nostra: Nino Pagot.
Ma fra i lettori del settimanale, vi sono già, in nuce, alcuni degli esponenti della prima, vera ondata di Disney italiani, quella che abbiamo anticipato all’inizio. Fra questi, ricordiamo il veneziano Romano Scarpa, che in quegli anni si vede pubblicato un disegno nella pagina della posta. Evidentemente era un destino. Ma non anticipiamo i tempi.

Un Topolino ritorna

A un certo punto, gli eventi bellici che imperversano sul nostro Paese costringono a una forzata chiusura della testata, alla quale era già venuto a mancare Federico Pedrocchi, richiamato alle armi e poi trasformatosi dal 1943 in collaboratore esterno, prima di andare incontro a una precoce fine nel 1945, durante il mitragliamento del treno sul quale faceva la spola fra Milano e il paesino in cui era sfollato con la famiglia.
La rivista riprende le pubblicazioni al termine del conflitto, e precisamente alla fine del 1945. E a raccogliere il testimone, e l’eredità di una grande quantità di materiale, è un’altra figura di fondamentale importanza per le vicende del fumetto Disney in Italia: stiamo parlando di Mario Gentilini. Entrato in redazione alcuni anni prima, Gentilini diventa prima redattore responsabile e poi direttore del settimanale. Sarà lui, quattro anni più tardi a dare vita al Topolino che conosciamo oggi, e che dirigerà fino al 1980; e sarà sempre lui a incentivare la presenza degli autori nostrani, creando, di fatto, i Disney italiani più propriamente detti. Infatti, riducendo il formato della rivista ed eliminando qualsiasi altro materiale non disneyano, la nuova pubblicazione si ritrova ad avere necessità di nuovo materiale da pubblicare. E quello originale non è più sufficiente: occorre affiancargli storie prodotte ex novo.
Ma prima di questo rivoluzionario cambiamento, sul Topolino vecchia maniera ha modo di comparire (a partire dall’ottobre 1948) un altro grande del fumetto disneyano di marca italica. Stiamo parlando dello sceneggiatore Guido Martina, che scrive la lunga storia Il cobra bianco - per i disegni di Angelo Bioletto, altro esponente di quella nuova ondata di autori italiani – uscendo peraltro in maniera vistosa dal canone disneyano.
La vicenda si concluderà con uno storico numero, ovvero il primo della nuova formula tascabile, nell’aprile del 1949. Ma per Martina sarà il principio di una lunga e fortunatissima carriera, che lo vedrà realizzare una miriade di capolavori, dal celeberrimo L’inferno di Topolino (1949) alle grandi parodie quali Paperino e il Conte di Montecristo (1957) o El Kid Pampeador (1959), solo per fare due esempi. Angelo Bioletto invece si limiterà a realizzare una terza vicenda, I Grilli Atomici, prima si concludere la sua avventura con l’universo disneyano, che non sentiva proprio.
È comunque il principio di una nuova era. Uno dopo l’altro, arriveranno autori ben noti al pubblico degli appassionati di oggi e apprezzatissimi anche dai lettori di allora, certamente meno smaliziati, che non conoscevano i nomi degli autori, ma che certamente distinguevano le loro opere.

Un altro dei primi interpreti italiani del mondo Disney: Pier Lorenzo De Vita, in una storia di Guido Martina del 1958

Nasce la scuola Disney

All’inizio degli Anni Cinquanta, due nuovi arrivi infoltiscono la ancora sparuta colonia dei Disney italiani: Si tratta di Giuseppe Perego e Luciano Bottaro. Il primo, esordisce nel 1952 con Il satellite artificiale di Guido Martina, prima di una lunga serie di storie nella quali rivela un segno condito da una personalissima caratterizzazione degli stati d’animo dei personaggi. Verrà inoltre impiegato per anni in una serie di attività redazionali che lo vedono impegnato nella realizzazione di copertine, illustrazioni e storielle di raccordo ben note agli appassionati.
A Perego si aggiungono altri autori, da Giulio Chierchini a Pier Lorenzo De Vita, da Sergio Asteriti a Luciano Gatto… Ma soprattutto cominciano la loro pluridecennale attività tre grandi maestri del fumetto disneyano di casa nostra, dando vita a una scuola che diventerà presto nota e apprezzata in tutto il mondo.

Il malefico (si fa per dire) Rebo di Bottaro in una vignetta tratta da “Paperino e il razzo interplanetario”, di Luciano Bottaro.

Il primo in ordine di tempo è Luciano Bottaro, che esordisce sempre nel 1952, con una storia pubblicata su Albo d’Oro. Si tratta di Paperino e le onoreficienze, della quale scrive anche la sceneggiatura. Caratterizzato da uno stile personalissimo e inconfondibile, all’epoca dell’esordio disneyano Bottaro ha già una certa esperienza nel settore. Il papà di Pepito, dei Postorici e di millanta altri personaggi si ritaglia un suo preciso spazio ripescando fra le altre cose uno dei personaggi di maggior successo del Topolino in versione giornale dell’anteguerra. Stiamo parlando di Rebo, il malefico saturniano che intendeva invadere il nostro pianeta in Saturno contro la Terra, grande epopea fantascientifica ideata da Cesare Zavattini e sceneggiata da Federico Pedrocchi per i disegni di Giovanni Scolari. Bottaro lo richiama in servizio una prima volta con Il razzo interplanetario (1960). L’autore rapallese inoltre coagula attorno a sé un manipolo di futuri interpreti disneyani, come i disegnatori Franco Aloisi e Guido Scala e lo sceneggiatore Carlo Chendi (che esordisce nel 1954 con Le Miniere di Re… Paperone, per i disegni dello stesso Bottaro, diventando uno dei più prolifici sceneggiatori disneyani e creando storie memorabili e nuovi personaggi). All’autore rapallese si deve inoltre una delle prime grandi parodie, Il Dottor Paperus, che vede l’apparizione della strega Nocciola.
Pochi mesi più tardi, sarà la volta dell’Uomo dei paperi italiano, Giovan Battista Carpi.

“Paperiade”, una delle Grandi parodie Disney disegnate da Giovan Battista Carpi

Arriva il papà di Paperinik

Papà di Geppo, Nonna Abelarda e Soldino, personaggi che riscuotono grande successo negli anni Cinquanta e Sessanta, chiamato da Gentilini, Giovan Battista Carpi esordisce nel 1953, con Paperino e il suo fantasma, pubblicata sugli Albi d’Oro per i testi di Guido Martina e le chine di Giulio Chierchini. Inizialmente, nelle sue tavole riecheggiano Al Taliaferro e Carl Barks, ma ben presto l’autore genovese sviluppa un tratto personale e riconoscibilissimo, diventando uno dei maggiori interpreti della scuola italiana e, a detta di molti, il primo vero Disney italiano. Nel corso della sua quarantennale carriera illustrerà una miriade di storie e fra i suoi innumerevoli meriti si registra la creazione grafica di uno dei personaggi più amati della saga disneyana. Stiamo parlando ovviamente di Paperinik, il vendicatore mascherato. Nato da un’idea di Elisa Penna e sceneggiato da Guido Martina Paperinik il diabolico vendicatore esordisce nell’estate del 1969, affermandosi immediatamente come beniamino del pubblico di casa nostra e diventando una delle star di marca tutta italiana dell’universo di Paperopoli.
Impossibile ricordare in questa sede gli innumerevoli capolavori realizzati dal maestro genovese. Ci piace però ricordare, non fosse altro per ragioni affettive, la Storia e gloria della dinastia dei paperi, che Carpi realizza alternandosi con un altro Grande, Romano Scarpa, di cui parleremo fra poco.
Infine, last but not least, Carpi è l’artefice nel 1988 della nascita di una vera scuola di fumetto disneyano, l’Accademia Disney, nella quale profonde tutta la sua grande esperienza e la sua carica umana, lanciando una serie di autori che costituiranno una buona parte di una nuova generazione di Disney italiani, da Silvia Ziche a Fabio Celoni, per citarne due.

Il Gottfredson italiano

Straordinaria tavola d’azione di Romano Scarpa tratta da uno dei suoi massimi capolavori, “Topolino e l’Unghia di Kalì” (1958)

Sempre nel 1953, anno fatidico per la nascita della scuola Disney italiana, esordisce anche un altro dei massimi maestri del settore, Romano Scarpa, con Biancaneve e verdefiamma, su testi dell’onnipresente Martina. Animatore, disegnatore e soggettista, il maestro veneziano dà così il via a una straordinaria carriera artistica, che lo colloca in cima all’ideale podio dei massimi esponenti della scuola Disney di casa nostra. L’autore veneziano, dopo aver sfornato in tandem con Martina Topolino e il doppio mistero di Macchia Nera (1955), prosegue la sua attività con una serie di capolavori dei quali realizza anche i testi e che, per qualità narrativa e grafica, lo fanno assurgere di diritto al rango di Gottfredson italiano. Anche perché dal periodo gottfredsoniano Scarpa riprende il gusto per l’intreccio al quale aggiunge una serie di soluzioni narrative di grandissima efficacia. Basti pensare a certe vignette in soggettiva e alle sequenze d’azione in pieno stile hard boiled di Topolino e l’Unghia di Kalì (1958), uno dei suoi massimi capolavori. Per limitarci ad alcune opere degli anni Cinquanta, quelle più attinenti al periodo preso in considerazione, troviamo, fra le altre, Paperino e i gamberi in salmì, (1956), Pippo Tarzan (1957) e Topolino e la Dimensione Delta (1959).  

Layout della prima tavola di “Topolino e la dimensione Delta”, di Romano Scarpa (1959)

A giustificare ulteriormente la nomea di erede del maestro americano, Scarpa riporta in auge personaggi della primigenia saga giornaliera USA come appunto Macchia Nera, insieme allo scienziato consapevole Dr. Enigm, che Scarpa rintraccia proprio nella Dimensione Delta. In questo caso, gli crea appositamente anche una spalla, Atomino Bip Bip, straordinario atomo ingrandito “due birilliardi di volte”. Quella di dare vita a nuovi personaggi sarà una delle costanti di Scarpa (e non solo, ovviamente!): fra i suoi principali ricordiamo anche Brigitta McBridge, la spasimante di Zio Paperone, e poi Filo Sganga, Paperetta Yè-Yè… Una sequela di caratterizzazioni che si interrompe soltanto con la scomparsa del Maestro e che ne confermano ancora una volta la fondamentale importanza.
Si aggiunga a tutto ciò che al pari di Bottaro a Rapallo, anche a Venezia si riunisce un manipolo di nuovi autori, che seguono le orme di Scarpa ed entrando a far parte di una nuova generazione di autori diventati spesso anch’essi autentici maestri, come Giorgio Cavazzano. A questi possiamo aggiungere Rodolfo Cimino che, partito come inchiostratore delle storie di Scarpa, diventerà uno dei più grandi sceneggiatori dell’universo Disney.

I tanti meriti di una scuola…

Il ritorno di uno dei personaggi del periodo gottfredsoniano: Il Dottor Enigm. Insieme a lui, una new entry, ovvero Atomino Bip Bip

Per chiudere questa breve carrellata, possiamo infine estrapolare alcune caratteristiche che sottolineano l’importanza della produzione Disney di marca italiana, certi che se ne potrebbero aggiungere sicuramente di altre. Ritornando alle origini e all’anteguerra, colpisce l’intuizione di Federico Pedrocchi che un personaggio come Paperino possa assurgere a protagonista di storie lunghe e articolate, per quanto ancora pubblicate al ritmo di una pagina settimanale. Si tratta però di storie a continuazione e non di gag come nelle tavole domenicali americane. C’è solo da rammaricarsi al pensiero di cosa avrebbe potuto fare il geniale autore, se fosse scampato alla guerra. Ma la sua sarà una lezione fondamentale per altri. Un secondo punto, altrettanto basilare, risale alla nascita del Topolino libretto. La necessità di nuove storie da pubblicare si abbina infatti a una scarsa digeribilità da parte del pubblico delle storie di importazione, comprese quelle barksiane. L’impiego di autori di casa nostra consente di cercare – e trovare magnificamente – un compromesso fra le esigenze dell’universo narrativo disneyano e le necessità del pubblico dei lettori di casa nostra. La qual cosa ha contribuito in maniera fondamentale al successo della pubblicazione. Un terzo aspetto è dato dall’ampliamento del ‘parco personaggi’ disneyano. Creandone di nuovi, gli autori di casa nostra da una parte hanno ampliato il ventaglio di situazioni e di caratteri, dall’altro sono riusciti a rimanere al passo con i tempi. Pensiamo a Paperinik, un misto di Batman e James Bond.
E se la creazione di vere e proprie scuole come quella rapallese e quella veneziana (per tacere dell’Accademia Disney) ha fatto sì che i grandi maestri della prima ora avessero degni prosecutori in grado di affiancarli prima e poi di sostituirli, mantenendo altissimo il livello qualitativo delle loro opere, non bisogna assolutamente dimenticare l’apporto fornito all’alfabetizzazione e alla cultura popolare italiana in un periodo di grandissimo sviluppo sociale, culturale ed economico. Oltre alla TV di Alberto Manzi, anche il fumetto Disney (e non solo, ricordiamo, uno per tutti, anche l’apporto dell’attuale Sergio Bonelli Editore), ben scritto e disegnato, fornisce l’occasione per imparare a leggere, oppure per un primo contatto con alcuni grandi classici della letteratura, in primis proprio quell’Inferno di Topolino assurto come uno dei massimi capolavori del fumetto italiano.
A onore e gloria di tutti coloro che si sono alternati nella creazione di un sogno a fumetti che da tremila numeri attende i lettori in edicola. Ad maiora, Topolino!

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