Al Parlamento Europeo decidono, forse pure sull’onda di emozione provocata dalla decisione dell’eurodeputata Licia Ronzulli di andare a lavoro portandosi addosso la figlioletta di pochi mesi, di provare ad allungare i tempi di congedo per maternità o meglio di equiparare i tempi di congedo fra tutti i Paesi membri.
La proposta è: 20 settimane per le mamme a stipendio pieno (oggi in alcuni Paesi europei si sta a casa per 14 settimane, ma in Italia le venti le abbiamo già, seppure all’80% dello stipendio) e due settimane obbligatorie, a stipendio pieno, per il papà (oggi se il papà lo chiede può stare a casa per cinque mesi ma al 30% dello stipendio lordo).
Per ora se ne discute. Non si vedrà alcuna novità prima del 2011.
Ma mi chiedo: cosa cambierebbe in Italia se questa normativa venisse approvata? Quali sarebbero i vantaggi per la mamma e per il papà? La domanda sorge spontanea soprattutto leggendo questi dati Istat.
La mia esperienza personale è questa.
Quando nacque nostro figlio, mio marito decise che voleva rimanere a casa per un mese. Le condizioni professionali lo permettevano e così fu. Ricordo che i suoi colleghi sorridevano e gli dicevano: “vedrai che alla fine non vedrai l’ora di venire a lavoro”.
Nostro figlio era un angelo. Mangiava e dormiva e alla fine per noi fu come una piccola vacanza. Insomma, mio marito se l’è cavata ed è tornato a lavorare dopo un mese soddisfatto di se stesso e quasi quasi con il pensiero che in fondo “cos’era tutto questo gran parlare di depressione post parto e difficoltà con un neonato”.
Sei mesi dopo la scena era un po’ diversa. Io mi barcamenavano tra un lavoro imprenditoriale, i sensi di colpa per essere dovuta tornare a lavoro dopo soli tre mesi dalla nascita del piccolo e un bel po’ di difficoltà. Lui lavorava a tempo pieno. Un giorno rimase a casa e arrivati alla sera, dopo una lunga sequenza di latte, lavoro, spesa, lavoro, lavatrici, stendo e stiro, lavoro, cacchina e vomitino, giochino e lavoro, pranzo e cena, mi ha guardato e ha detto la sacrosanta verità: “certo che tutta la giornata è difficile eh?”.
La mia esperienza mi porta a concludere che:
- bello permettere, anzi obbligare i padri, a stare a casa per due settimane dopo la nascita perché così si favorisce l’instaurarsi di un legame che non sia solo madre/figlio, ma anche padre/figlio, perché per una neomamma poter condividere l’ansia e le difficoltà dei primi tempi con il proprio compagno sarebbe molto utile, perché forse aiuterebbe anche la coppia ad affrontare meglio questo travolgente cambiamento;
- inutile cantare vittoria perché il punto non è questo: alla fine delle due settimane la maggior parte dei padri tornerà alla sua vita di sempre pensando che in fondo non è così difficile (se il bambino è un angioletto), oppure ringraziando il datore di lavoro perché l’obbligo è di sole due settimane (se il bambino è un diavoletto) e alla fine tutto o quasi tornerà come sempre:
la mamma impegnata in una folle corsa a tentare di far tutto, assolvere a tutti gli impegni, assecondare l’immagine che ha di sé stessa, tentare di riprendere il filo della propria vita, cercare di ricordarsi perché lavora, cercare di ricordarsi com’era la vita di prima, tenere a bada i sensi di colpa e, tra un affanno e l’altro, ripetersi come un mantra che in fondo…. “l’importante è il tempo di qualità”.