I paradossi dell’amore. Aa. Vv. “Love Out”, a cura di M. Baldrati

Creato il 19 marzo 2012 da Fabry2010

Pubblicato da giuseppepanella su marzo 19, 2012

I paradossi dell’amore. Aa. Vv. Love Out, a cura di M. Baldrati, Massa, Transeuropa, 2012

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di Giuseppe Panella

L’amore – dice il poeta – “ move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, canto XXXIII, v. 145). Ma è altrettanto noto che “ognuno uccide ciò che ama” (Oscar Wilde, Ballata del carcere di Reading). L’antologia progettata e promossa da Mauro Baldrati si muove tra questi due poli (l’amore, l’odio) e cerca di comprendere all’interno di questo perimetro tutte le possibili sfumature, tutti i probabili aspetti e momenti, tutte le imprescindibili angosce ed esaltazioni che il sentimento d’amore potrebbe produrre, indurre, suscitare. L’amore porta alla felicità (momentanea) degli amanti e, allo stesso modo, li conduce alla soglia della morte. Ma amare non vuol dire soltanto “non dire mi dispiace” (Erich Segal, Love Story) ma può rendere il sentimento che costringe ineluttabilmente a prendere in considerazione come necessario e inevitabile uno spietato meccanismo che stritola e polverizza chi ama (o, vicendevolmente, anche chi non prova un’analoga passione).

I quindici racconti (più o meno lunghi) e i tre testi poetici che compongono l’antologia messa insieme da Baldrati vogliono essere un caleidoscopio più o meno colorato di quello che può produrre l’amore come “malattia dell’anima” (Stendhal).

In effetti, l’idea della passione amorosa che l’Occidente si porta ancora dietro dall’alba della modernità è quella deducibile dalla lettura del grande-piccolo trattatello dello scrittore di Grenoble: l’amore è una passione e, quindi, fa male perché colpisce i gangli vitali dell’esistenza umana.

Chi ama mostra, inevitabilmente e senza scampo, la propria debolezza, si sottopone alla tensione e all’insoddisfazione che può produrre il rifiuto della propria passione, si espone ai tormenti della gelosia e dell’insoddisfazione, si ritrova incerto e lacerato ad attendere qualcosa che potrebbe magari non arrivare mai e conduce alla perdita di sé (Roland Barthes ha mostrato splendidamente l’andirivieni e l’incertezza dell’attesa dell’amante di fronte all’indifferenza di chi non ama nei suoi Frammenti di un discorso amoroso del 1977).

Di rifiuto del dono di sé e del proprio amore parla Marilù Oliva in un racconto, L’amore invano, che narra ed esplora con dovizia di particolari la parabola esistenziale di Lisa, dedicata con uno zelo degno di miglior causa ad amare (come un cane fedele e un po’ stupido) il marito Nicola, autista di autobus cittadini, che, tuttavia, sembra non desiderare mai (o forse occasionalmente e brevemente) il suo corpo. Dopo aver partorito Sergio, un figlio autistico e averlo interamente devoluto alle cure della nonna, dopo aver rinunciato alle sue possibili ambizioni di avanzamento culturale e sociale (ha abbandonato la scuola di lingue dove studiava), Lisa si è integralmente impegnata nel rendere la vita del marito la più semplice e comoda possibile (arriva ad alzarsi alla stessa ora antelucana del suo uomo quando quest’ultimo ha il proprio turno di lavoro la mattina presto per preparargli la colazione) ma viene ricambiata con l’indifferenza di chi la considera un oggetto d’uso o una parte del mobilio. La donna sfoga le propria frustrazione tenendo la casa in maniera impeccabile e raggiungendo un nitore assoluto nella gestione degli oggetti che vi si trovano e dei locali che la compongono. Certamente tutto questo non le basta, non può bastarle.

Un giorno, in preda ad astratti furori, si scatena in un’operazione di ripulitura della cantina e, dietro i libri da tempo non toccati di una “libreria centenaria”, scopre un dattiloscritto. Si tratta di un romanzo di avventure erotiche che l’autore – suo marito – definisce un resoconto veritiero di fatti realmente accaduti. Si tratta di una lunga serie di avventure amorose tutte culminanti nella conquista di una donna scarsamente consapevole della trappola in cui si è cacciata che, alla fine, viene liquidata con più o meno malgarbo. Si tratta di una lunga serie di rapporti a scopo unicamente sessuale, dunque, che durano abbastanza poco e risultano, alla fine, del tutto fini a se stessi.

La lettura del libro scritto dal marito e, peraltro, rifiutato dagli editori cui era stato mandato getta nel furore e nella rabbia più feroci la donna che si morde a sangue le labbra in modo così profondo da richiedere un ricovero ad un Centro di Chirurgia Estetica. Ma al suo ritorno a casa, le cose cambiano decisamente e l’amore di Lisa per il marito si rovescia in un’indifferenza che rasenta il disprezzo e il rifiuto nei confronti dell’uomo:

«In questi mesi, Nicola è stato spettatore di molte novità apparentemente inspiegabili: sua moglie ha voluto riappropriarsi del ruolo di madre e ha preteso la presenza fissa di Sergio in casa. Ora lo accudisce con la stessa amorevolezza con cui un tempo si dedicava al consorte. Le poche volte che lui ha provato a cercarla, la notte, lei si è negata. E la mattina, anche quando lui comincia il turno a un orario decente, non si alza più per preparargli la colazione» (p. 73).

Ma, ovviamente, l’amore non è soltanto questo disappunto che porta alla frustrazione e al disamore.

E’ anche attesa della catastrofe e della distruzione apocalittica come nel lungo racconto di Alan D. (Sergio) Altieri, L’ultimo fuoco dell’acciaio tremante, un testo che si pone sotto la custodia di una splendida epigrafe tratta da una famosa poesia di Robert Frost. Il nucleo della narrazione, tuttavia, non è l’infuocato rapporto amoroso tra Karl Dekker e Diandra Halberstadt che si consuma all’inizio e alla fine della storia quando l’apocalisse prodotta dall’incendio strisciante e indomabile, il Serpent Fire prodotto dall’impatto del Santa Ana, vento il cui nome suona come una maledizione biblica sulle strutture d’acciaio che svettano all’interno del perimetro urbano di Los Angeles. Nella descrizione del devastante attacco del fuoco alla città dei Los(t) Angels viene fuori il meglio della tecno-scrittura dell’ingegnere milanese prestato alla letteratura di genere:

«Giù dalle Hills, via dal Basin, fino all’ultima spiaggia, l’ultima in assoluto: l’Oceano Pacifico, confine liquido estremo. Lemming biblico nel vento ammorbato di ceneri, torrido come un crematorium. Santa Ana. Il nome del vento. E’ calato dal nulla alcalino del Deserto del Mojave. Respiro della demolizione. Niente a fermarlo fino alla città degli angeli caduti. Araldo della fiamma. Così qualcuno, inevitabile, ineluttabile distruttore demente sulla sommità delle Hills, ha fatto il resto. Tre, quattro punti di origine pressoché simultanei disseminati sull’asfalto contorto di Mulholland Drive. Vento e tenebra e roghi. Welcome to Los(t) Angel(e)s, Kalifornia» (p. 18).

(e qui Altieri accumula ben due citazioni cinematografiche in cinque parole, mescolando il titolo di un mediocre film di Hugh Hudson a quello di un altro, ben migliore, di Dominic Sena).

Mauro Baldrati, invece, nel suo si colloca molto lontano dagli approdi tradizionali della sua scrittura e dalla sua prospettiva letteraria improntata alla ricostruzione delle ragioni di un probabile (ma assai pessimistico futuro) tutto proiettato in una dimensione di tipo largamente fantascientifico (anche se non bisogna dimenticare come il suo ultimo testo autonomo, Il cattivo sergente, uscito presso Milano Nera nel 2011 come un e-book, sia più legato alla tradizione dell’hard boiled novel). Nel “racconto di formazione” presente nell’antologia da lui curata, Jimi Hendrix e la professoressa Giuliana, l’educazione sentimentale e sessuale del giovane Toni Rinaldi si alimenta dei succhi agrodolci di un grottesco che deve più al primo tempo di Gianni Celati che alla narrativa “nera” di Ellroy (divenuto ormai il nume tutelare di Baldrati):

«”Ehi, piano!” ha fatto la professoressa Giuliana, mentre si sistemava sulla sedia. “Vieni qui, Toni” ha detto, aprendo le gambe. “Mettiti qui, in ginocchio, dai”. Mi sono inginocchiato davanti alle sue gambe aperte, e sono entrato. Con la faccia, sono entrato sotto la sua gonna, nella sua baffiona. La baffona gigantesca e pelosa della professoressa Giuliana. Lei mi teneva la nuca con una mano, con l’altra si spostava le mutande e scopriva la baffona. Io entravo con la bocca, la lingua, il naso, la sentivo che faceva “ahhh…” e “ohhh…”. Grugnivo, la divoravo, entravo sempre più, come una nascita alla rovescia, andavo dentro, mi perdevo» (pp. 155-156).

L’immersione di Toni nel grande organo sessuale della professoressa Giuliana ha qualcosa di gargantuesco, di ipertrofico, di grottesco e il bisogno sessuale da pulsione insopprimibile e venata di pathos drammatico si rovescia, nelle aspettative del ragazzo, in qualcosa di esilarante e di irrefrenabilmente comico. Il risultato è tale da disinnescare la dimensione evidentemente nostalgica dell’impianto del racconto e che è presente nella sua parte iniziale.

Silvia Tebaldi (nel suo Ammonite) e Marco Rovelli (in L’afferramento) forzano nella dimensione sospesa di una tragedia inevitabile e incombente. Soprattutto Rovelli prefigura ciò che in tutta evidenza avverrà quando il monologo interiore sarà terminato, imponendo l’evocativo soprannome di Lama all’uomo cui si rivolge la donna che parla in prima persona.

Allo stesso modo, Giulio Milani (nel racconto 6 dedicato alla nascita prematura e morte successiva di un bambino) descrive un amore che non trova sbocco e, allo stesso modo, nel testo di Tiziano Scarpa intitolato L’amore assoluto, il rapporto tra Marisa, psicologa di belle speranze e il Narratore, già portiere di notte nell’albergo dove la donna fungeva da factotum per pagarsi gli studi, naufraga nella sua totalità onnicomprensiva. La sua assolutezza iniziale diventerà la probabile causa della spietata dissoluzione finale del sentimento esploso anni prima con una violenza impensata anche per chi ne era stato l’attore consapevole. L’assoluto dell’inizio chiamerà la radicalità della fine.

E se Filippo Casaccia (nel suo L’amore, la musica, il bacon) preferisce concentrarsi maggiormente in extra-vaganti dissertazioni cinematografiche piuttosto che nella descrizione di una storia e Gilda Policastro (in L’amore, se esistesse) sceglie la strada di una dissertazione sull’amore piuttosto che una narrazione (con evidente richiamo a Tommaso Landolfi), Gianluca Morozzi (in Fabio Volo e la Sposa Radiosa) tenta un singolare e ironico esperimento di scrittura a contrappunto, commentando e contrappuntando le sue stesse dichiarazioni contenute nel corpo del testo con esilaranti battute sotto forma di note a pie’ di pagina.

In complesso, l’antologia coordinata da Baldrati si dimostra un importante contributo a una messa a punto delle prospettive della più recente narrativa italiana, in particolare femminile. Non è un caso che gli altri autori presenti in essa siano quasi tutte donne (con l’esclusione di Raul Montanari e il suo Gli occhi del gatto, personalissima variazione del tema di Pinocchio), a partire dalla brava Paola Ronco passando per Veronica Tommasini, giovane e recente talento narrativo per finire con Francesca Matteoni e le sue Ferite insieme alla narrazione storica di Patrizia Debicke van der Noot dedicata alla vita di Angela de Rossi di San Secondo, la cugina di Cosimo de’ Medici, Granduca di Toscana e moglie prima di Vitello Vitelli, condottiero pontificio, e poi, dopo la morte di lui, di Alessandro, suo fratello, anch’egli guerriero al servizio del Papa.

Dopo la lettura di quest’antologia, il sentimento dell’amore risulterà più chiaro nei suoi presupposti e nelle sue motivazioni? Non credo sarà così, ma almeno gli autori presenti in essa ci avranno provato… Non si sa mai.


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