Purtroppo però, con l’irrompere della crisi finanziaria, il rating ha dimostrato tutti i suoi difetti. Le agenzie di credito infatti hanno quasi sempre abbassato il voto dopo che i problemi erano già emersi. Inoltre il rating è stato lo strumento che più di ogni altro ha tradito la fiducia dei risparmiatori, dimostrando assenza di trasparenza e affidabilità, parzialità e soprattutto conflitti di interesse delle società che formulavano il rating stesso. Tanto che oggi si può affermare che i rating emessi prima della crisi
non erano altro che un’accozzaglia di numeri falsi e sbagliati, attraverso i quali la speculazione ha stravolto la stabilità del sistema.
Ciò che è accaduto non ha fatto tuttavia scomparire i rating, che vengono tuttora emessi, peraltro sempre dalle stesse società. Comunque i parametri per la valutazione del merito del credito, ad esempio di ogni singolo Stato, sono stati ampliati, ed al rating i mercati gli hanno concesso una fiducia solo a metà. Infatti al rating sono stati affiancati altri parametri per valutare il rischio di uno Stato, che tengono conto di variabili prima non considerate e che di conseguenza danno più credibilità alle indagini sul merito di credito degli Stati.
In ogni caso, quando si prende in considerazione il rating, è bene tenere presente che, secondo un studio di Standard & Poor’s pubblicato recentemente, gli emittenti sovrani con voto investment grade (cioè con rating dalla tripla B in su), presentano un rischio di insolvenza, relativo al periodo 1975-2009, quasi nullo, mentre gli emittenti sovrani dell’area speculative grade (cioè con rating inferiori alla tripla B) , sempre nello stesso periodo, hanno presentato un rischio di insolvenza di circa il 30%. Ovviamente è da considerare che queste statistiche si riferiscono a periodi passati e quindi presentano i limiti di ripetibilità propri di tutte le analisi fatte in momenti successivi.