"I pesci non chiudono gli occhi" di Erri De Luca

Creato il 22 novembre 2011 da Barbaragreggio

Questa recensione è stata scritta per Sul Romanzo.
Oggi so che quell’amore pulcino conteneva tutti gli addii seguenti. Il ragazzino ha dieci anni, è introverso, riflessivo. Quando sta a casa piange, canta, butta fuori la malinconia che gli macera il petto. Vive con una sorella solare, esuberante, in grado di catalizzare l’attenzione di tutti, capace di adattarsi a ogni nuova situazione. L’estate lo porta su un’isola, solo con la madre. Ischia è sfondo e profumi, nella narrazione di De Luca. Non c’è linea di demarcazione tra sensazioni e pensieri. Gli occhi del protagonista si riempiono di sabbia e cielo, le descrizioni sono immagini nitide e luminose. Nello scorrere di giornate tutte uguali, solitarie e salmastre, il lettore ha la percezione di respirare la stessa aria che si respira sull’isola, pestando le orme lasciate sul bagnasciuga. Una lotta interiore divora l’animo del ragazzino. Da una parte il corpo che ancora mantiene fattezze infantili, dall’altra la mente veloce e arguta di un uomo che si affaccia all’età adulta. La faccia pulita, lo slancio delle gambe ancora troppo corto, il petto sottile e asciutto. Forse bisogna romperlo, quel corpo piccolo, per far uscire ciò che sta dentro. L’incontro con una ragazzina, bella come mai ne aveva viste, così diversa dalle compagne che incontrava ogni giorno in città, lo condurrà verso la realizzazione di questo folle pensiero. Lei è grande nella testa, ragiona come una scrittrice affermata, scrive di animali e di emozioni. Ogni gesto umano è specchio di un impulso primordiale, nelle facce di ogni persona c’è l’ombra di un equivalente animale. Il ragazzino è un pesce, ha occhi sgranati che non chiude mai. Lei conduce la piccola e dolce relazione in cui il giovane Erri si immerge. Non avevo toccato niente di così liscio fino ad allora. Ora so neanche fino a oggi. Glielo dissi, che il suo palmo di mano era meglio del cavo della conchiglia, mentre risalivamo a riva, staccati. Un gruppo di ragazzi più grandi, uniti da maschile cameratismo, si accorge della ragazzina, bella e intrigante. Lei passeggia con Erri, Erri non può passarla liscia. Nella lotta per la conquista il gruppetto si accanisce sul singolo, la forza dei più sfoga sull’impassibilità del solo. Non si oppone, il ragazzino. Si lascia tumefare il volto, il naso sanguina e tutto in faccia e nel corpo gli duole. È un dolore dolcissimo e azzurro, quello che lo pervade fin nelle ossa. Nessuna denuncia, né ricerca di vendetta. Il corpo si è rotto, ora deve per forza uscire l’uomo. Un essere ancora sconosciuto, che del mondo degli adulti non sa quasi nulla. L’amore, che sua madre e suo padre hanno vissuto come in un romantico trattato, si scontra con l’emozione di stringere la mano liscia e morbida di una ragazzina senza nome. Baci che si protraggono per una notte intera, l’ultima prima della separazione, e che lasciano dentro il ricordo indelebile e inarrivabile di un amore senza ombre. Erri De Luca si lascia andare al racconto di un’estate unica nella sua vita, passata tra l’amore materno, per una madre che lui ha amato sempre senza riserve, e una giovane ragazza, quasi donna, di cui, a distanza di cinquant’anni, non riesce a ricordare il nome. Insieme a questo romanzo che odora di mare, è possibile acquistare il dvd “Di là dal vetro”, cortometraggio prodotto dal pastificio Garofalo. Erri De Luca, affiancato da una straordinaria Isa Danieli, si cimenta nel ruolo di attore. Una scena breve, eppure toccante. Il sogno di una notte, di una sirena che batte nel petto, il ritorno di una madre ormai scomparsa da lungo tempo. Da notare l’emozionante racconto Napòlide , in cui De Luca si lancia nella descrizione di Napoli. Il napoletano, la sua lingua madre, quella che lui per tutta la vita ha utilizzato per parlare con la sua di madre. Non si tratta di un semplice dialetto, ma di una vera e propria parte di sé. Tutto ha un valore diverso, se detto in napoletano. Il prima e il dopo diventano primm dopp, e contano molto più del presente, che è solo mò. L’amore vale di più, perché è ammore. Il sangue, che è  o’sang, e non vale niente. Essere nato e cresciuto in una città come Napoli, una terra di tellurici, è una fortuna che solo chi sta fuori può riconoscere. Il Vesuvio è come la Stella Polare, è il punto all’orizzonte che ogni napoletano conosce, e che, in qualsiasi angolo della città o della casa si trovi, sa indicare alla perfezione. Il mare, anche se grosso e cupo, è sempre simbolo di salvezza, via di fuga dalla terra e dal cielo che bruciano di fuoco. Un documento eccezionale, che abbraccia con calore un popolo che vive come parassita sulla bellezza di Napoli, che sempre ammira e mangia e rispetta la sua terra. Barbara Greggio

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