Iniziamo come al solito, coi ricordi.
Avevo diciassette anni, e tante cose stavano per succedere: il diploma, la morte di mia nonna, i miei primi mesi vissuti da solo, col mio cane. Mi cucinavo da solo, eccetera. Mi ero stancato della tv e così me ne andavo in libreria.
Ed ecco quello che succede a un qualsiasi diciassettenne che entra in libreria: schiva gli scrittori imposti a scuola e compra Wilbur Smith e Ken Follett. Cioè, comprai Ken Follett, lo ricomprai pure. E a distanza di tanti anni non sono qui a negare quella lettura. Mi ricordo che ci andavo pazzo per i libri di questi due signori, più il primo del secondo. Ma Ken mi aveva stregato col suo medioevo e la storia della Cattedrale. O forse era stato il rosone della copertina.
Il libro era un mattone, ma, come detto, c’era il medioevo romanzato, non storico che a scuola odiavo, c’era il romanzo. E quindi dovevo amarlo per forza.
Nessuna magia, però, eccetto quella della superstizione e della scienza occulta dei mastri muratori che, sul finire del XII secolo, si preparavano a rivoluzionare l’architettura elevando costruzioni che fossero tramite tra l’uomo e Dio.
Ora il medioevo lo adoro, specie nelle sue contraddizioni e nei suoi limiti che fanno incazzare i revisionisti. Se non ci fosse stato il Papato a tessere intrighi per centinaia di anni, la storia sarebbe stata una di pettegolezzi di corte, cortigiane, matrimoni combinati e terre e titoli contesi; col papato, invece, c’è tutto il fascino della religione, quella trascendenza tipica degli anni bui, la superstizione dei pesci mescolati alla farina, della crusca che era venuto il diavolo a trasformarla, delle streghe e delle maledizioni. In breve, da un punto di vista squisitamente narrativo, il medioevo è così affascinante proprio perché a tinte fosche, non certo per gli spadoni e le battaglie. Non per me almeno.
I Pilastri della Terra, coi fratelli registi Scott a produrre, è la miniserie in otto puntate tratta dal romanzo di Follett.
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E so già quello che pensate, perché l’ho pensato anch’io vedendo la prima ora. Ovvero che si trattasse, in verità, del medioevo pulito e sciocco, tanto caro al mondo del cinema e raramente disatteso.
Dopo così tanto tempo, c’è da aggiungere che del libro di Follett m’è rimasto ben poco, oltre che qualche nome sparso e davvero sottili suggestioni, però la trasposizione mi sembra alquanto fedele, conserva tutti i pregi e i peccatucci del libro, un best-seller concepito e scritto perché vendesse milioni di copie, che quindi non dovesse scontentare proprio nessuno.
Ebbene, dopo un’ora di stereotipi, che ci serve per conoscere tutti i protagonisti, il tono si fa cupo, non lesinando efferatezze, incesti, linguaggio realistico, mutilazioni, torture.
Da come ve lo descrivo sembra la serie della vita. Non è così, ma per certi versi, per la naturalezza con cui certe scene sono state rappresentate, mi ha ricordato Rome della HBO grandiosa e finita anzitempo per colpa dell’incendio dei set principali in quel di Cinecittà.
Ma non divaghiamo: la storia de I Pilastri della Terra si incentra sulle vite di tre famiglie, un Priorato e un Vescovo con ambizioni da Arcivescovo; un segreto da proteggere arrivando a uccidere, circa la non proprio legittima successione del Re d’Inghilterra, e la nascita dell’immensa cattedrale di Kingsbridge, affrontandone le complicate fasi di progettazione e costruzione.
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L’intreccio è tipico, contenente i soliti ingredienti miscelati: il romance e l’agnizione più di tutti. Non riserva particolari colpi di scena. Punto debole comune anche alla versione cartacea, se ben ricordo. La caratterizzazione del personaggi diviene persino odiosa, dal momento che si giunge a rappresentazioni manichee, più che simboliche ovvie, del bene e del male: i cattivi sono cattivi fino in fondo, senza redenzione, i buoni sono buoni, senza alcuna possibilità di non esserlo.
Quello che disturba è che la malvagità è accompagnata, talvolta, alla bruttezza, o alla deformità. Un modo fin troppo ingenuo e stucchevole di rappresentazione, lo sappiamo. Però, allo stesso tempo, proprio la consistenza delle azioni dei cattivi, spietate, è una cosa che manca da parecchio tempo, perché “sporcata” dai presunti dilemmi morali e drammi alle spalle, attualizzati onde mitigare l’impatto che tale empietà può avere sul pubblico moderno, destinato alla bambagia emotiva.
Fortunatamente, così non è.
In più, si avverte netto il tentativo costante di demitizzare la superstizione e le credenze dell’epoca: se miracoli avvengono, essi sono tali perché dietro, più che poteri occulti o illusioni, c’è soltanto una conoscenza superiore che alcuni uomini usano per fregare altri, i più ingenui.
Discutibile punto di vista, però quanto meno coerente lungo tutto lo svolgimento della serie, senza che si ecceda mai in pietismi e moralismi di sorta. Quando le morti, e sono tante, devono avvenire, avvengono, spesso accompagnate da zampilli di sangue che arrivano in prima fila, come nelle tante scene di esecuzioni al patibolo.
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[contiene spoilers]
Ovviamente, spiccano gli attori che interpretano i villains, i ruoli più divertenti di sempre. Su tutti direi Ian McShane (il vescovo Waleran Bigod) e gli incestuosi (per fiction) David Hoakes (William Hamleigh) e Sarah Parish (Regan Hamleigh). Il primo manipolatore, sempre a tessere trame e dispensare indulgenze, con una sua visione personale della redenzione e della salvezza, i secondi impegnati in un rapporto morboso che poi il figlio sfoga con violenze assortite sulla giovane moglie Elizabeth (Skye Lourie).
Siamo sempre in territorio Ken Follett, e quindi ciò che di buono e perverso (in senso cinematografico) questi personaggi rappresentano viene poi immancabilmente sprecato dalla sua ovvia morale trionfalistica. Alla fine, ogni cosa deve andare al suo posto. Ingenua.
E infatti, non è per quello che la serie brilla o sarà ricordata, quanto per i piccoli dettagli che non si nascondono dietro ipocrisie: vengono uccisi bambini in seguito al fallimento di trattative dilomatiche, vengono torturati preti e monaci, interi villaggi vengono massacrati. E poi il grandioso crollo della cattedrale, ben realizzato, coi blocchi pesanti che davvero paiono schiacciare le vittime.
Ancora dettagli, come la donna che urina in faccia al vescovo, o lo stesso che in punto di morte rifiuta l’assoluzione e sputa sangue in faccia al priore. Epico.
Non dico che i cattivi debbano trionfare per forza, ma che sia poco verosimile che accada sempre il contrario. Una serie di eventi e fatalità miste sarebbero risultati in maggiore realismo e un più solido impianto narrativo. Roma (la serie) ce l’aveva, I Pilastri no, e infatti tutti i personaggi positivi sono noiosi e sembra che vadano in giro con l’aureola.
In ogni caso, è meritevole di almeno una visione.
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