I Pionieri del Cinema: nascita di un’industria

Creato il 11 aprile 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Le parole chiave del periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento sono linguaggio e inquadratura. Che tipo di rapporto si deve creare tra l’inquadratura e il mondo, qual è il linguaggio più adatto? E il fine? I cineasti di questo periodo hanno tentato soprattutto la via empirica, sull’onda dell’entusiasmo di questo nuovo straordinario gioco, ma senza comprendere a fondo il senso di quello che stanno facendo. Una grande  spinta emotiva  anima i viaggi per il mondo di ricercatori, aspiranti artisti  impresari ed inventori; tutti uniti dalla voglia di sperimentare, creare qualcosa di nuovo. Ma solo in Gran Bretagna (tra Londra e Brighton) , negli Stati Uniti (New York e New Jersey)  e in Francia  (Parigi) questo avviene con maggiore fortuna.

Ci si ispira ovviamente al cinema di Meliès e diversi registi e produttori  inglesi come Robert William Paul e Cecil Hepworth si cimentarono in film di attualità e di avventura.

Tuttavia i primi tentativi di innovazione  nel campo delle inquadrature e del montaggio per quanto fossero imperfette e confusionarie,  provengono dalla Scuola di Brighton grazie all’autore James Williamson ((Kirkcaldy, 8 novembre 1855 – Richmond upon Thames, 18 agosto 1933) e ai suoi  film narrativi: “Attacco a una missione in Cina “, “Fuoco”, “Fermate il ladro” del 1901 e all’inventore e astronomo George Albert Smith  (Brighton, 4 gennaio 1864 – 17 maggio 1959).Finalmente denti maledetti”, “L’occhialino della nonna”e “La disavventura di Maria Giovanna” sono  tutti film girati con la tecnica della soggettiva.

Si cerca affannosamente ma anche ottimisticamente di stabilire le basi per un discorso narrativo; e ottimista è anche il regista e tecnico fotografico statunitense Edwin Stanton Porter  (21 aprile 1870 – 30 aprile 1941). Nel 1899 Porter entra  nella Edison Manufacturing Company, occupandosi  della produzione cinematografica degli studi newyorkesi di Edison, lavorando sulle cineprese e i proiettori  e dirigendo gli attori nei film. Nel giro di dieci anni diventa il regista più influente degli Stati Uniti.

E’ un uomo semplice Porter e ama le storie semplici, alla portata di tutti. Lo dimostrano film come “La vita di un pompiere americano” del 1902 sulla scia di “Fuoco” ma narrativamente più incalzante, veloce e vario a livello scenico, nonchè  comprensibile, grazie soprattutto all’uso dell’inquadratura unica dove solo gli attori si muovono all’interno della scena,  alla ripresa frontale , all’uso dei piani  ravvicinati, e, novità importantissima, la tecnica della dissolvenza.

Particolarmente interessante risulta poi “La capanna dello zio Tom” del 1903 tratto dal famoso romanzo omonimo di Harriet Beecher Stowe, non solo  perché rivela una composizione narrativa fatta di inquadrature fisse ma solo per gli episodi più importanti, ma anche per una visione finale della guerra di secessione e di Lincol, attraverso l’esposizione multipla che preannuncia la fine dello schiavismo negli USA.

Con il successivo film, “Assalto al treno”Porter riprende il popolare genere western, apportando naturalmente delle modifiche come l’inquadratura di transazione usata per la scena del ballo e il primo piano per l’ultima inquadratura del bandito che spara verso la macchina da presa, ovvero verso il pubblico, in maniera da creare una forte emozione dello spettatore.

“Assalto al treno” costituisce tra gli esempi più lampanti di cinema commerciale negli USA.

Nel 1909 Porter, lascia  Edison ed entra a far parte  nella nuova Rex, una compagnia cinematografica indipendente, lanciando anche la compagnia di fabbricazione di proiettori Simplex. Anni dopo vende la compagnia per accettare l’offerta di Adolph Zukor che lo vuole primo regista nella nuova Famous Players Film Company, la prima compagnia americana che  produce lungometraggi. Cosi Porter si trova a dirigere l’attore teatrale James  Hackett ne  “Il Prigioniero di Zenda”nel 1913, e Mary Pickford e John Barrymore in altri lungometraggi. Ma naturalmente i cambiamenti nel mondo cinematografico sono rapidi e cosi Porter nel 1915 lascia la compagnia, diventando nel 1917 Presidente della  Precision Machine Company e proseguendo la sua attività di disegnatore.

Anche l’Europa( specialmente Francia, Germania e Danimarca) nei primi anni del secolo sembra un grande cantiere cinematografico, ma lontana dall’avere un mercato come quello americano.

La Francia detiene il primato di produttrice di film ; tra i tanti nomi, spiccano quelli di Charles Pathè (Chevry-Cossigny, 26 dicembre 1863 – Monte Carlo, 25 dicembre 1957), fondatore del più importante complesso industriale cinematografico e Leòn Gaumont (Parigi, 10 maggio 1864 – Sainte-Maxime, 9 agosto 1946), produttore ed inventore; l’unico in grado di contrastare lo strapotere industriale di Pathè , nonché fautore della diffusione dell’esperanto . ma nel 1918 anche l’impero di Pathè si ridimensiona sotto i colpi della spietata concorrenza.

Tutti sono ammaliati dalla settima arte e anche l’Italia ha i suoi pionieri: Filoteo Albertini , impiegato dell’Istituto Geografico Militare di Firenze e futuro fondatore della Cines a Roma, brevetta il kinetografo simile al cinematografo dei fratelli Lumiere, e Roberto Omegna gira dei documentari sportivi e di attualità. Anche il fotografo Arturo Ambrosio fonda nel 1906 a Torino la società che porta il suo nome e che diventerà una delle più importanti a livello europeo.

La neonata industria del cinema sfrutterà economicamente , spesso anche in modo spregiudicato e brutale, come ben sappiamo ormai, le immagini, i geni artistici, la bellezza e il carisma degli interpreti, sentimenti ed emozioni. Unione di arte e mercato, binomio apparentemente inconciliabile ma maledettamente attraente.

di A. Grasso




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