“I poeti morti non scrivono gialli” − Björn Larsson

Creato il 02 febbraio 2016 da Temperamente

Capita che il talento di un cuoco risieda nella sua capacità di reinterpretare gli ingredienti di una piatto già servito innumerevoli volte fino a trasformarlo in una specialità dal sapore inedito. E in effetti proprio come uno chef esperto, Björn Larsson in I poeti morti non scrivono gialli si dimostra in grado non solo di lasciarsi alle spalle lo stereotipo del giallo svedese, di cui negli ultimi anni copie su copie hanno invaso le librerie a suon di successi editoriali, ma addirittura di prenderlo in giro, con un sorriso ironico e quasi compiaciuto. «Una specie di giallo», così definisce la sua opera, e mai definizione fu più appropriata per un romanzo scritto in bilico tra il thriller psicologico e il saggio letterario.

La trama è apparentemente quella classica del romanzo giallo: un omicidio, un poliziotto che indaga, figure del tutto innocue che improvvisamente si trasformano in sospettati e potenziali assassini. Ma cosa accade quando la vittima è un poeta semisconosciuto e tormentato, il poliziotto si diletta a scrivere versi nel tempo libero e i sospettati sono scrittori, editori e muse ispiratrici? Ecco che poesia e perversione si intrecciano in un labirinto di ombre nascoste, dove la letteratura parla di se stessa mostrandosi più nera di quello stesso inchiostro che la crea.

La pagina scritta diventa ragione di vita e al contempo pericolosa ossessione nei confronti di un’arte che smette di essere tale per farsi culto e religione. D’altra parte, al volto nobile e quasi mistico della cultura letteraria si oppone il mondo brutale dell’editoria, preoccupata esclusivamente del profitto e disposta a tutto pur di non perdere terreno sul mercato dei guadagni. Disposta persino a calpestare un cadavere, se necessario. E forse è proprio questo il dato sconcertante, la fredda consapevolezza che emerge dalle righe di Larsson e che va al di là della storia e dei suoi protagonisti: quale prezzo siamo disposti a pagare pur di ottenere qualche spicciolo sonante, qualche momento di effimera celebrità? C’è un limite di fronte al quale sappiamo ancora fermarci? Questa è la domanda che ci si pone osservando il comportamento dei personaggi, la cui lucidità dinnanzi al dramma stupisce e spaventa: il poliziotto, che dovrebbe avere a cuore soltanto la rapida risoluzione del caso e che invece sfrutta ogni occasione propizia per pubblicizzare la propria mediocre produzione poetica; l’editore, che si supporrebbe sotto shock alla vista di un suo scrittore appeso al soffitto con un cappio al collo, e che al contrario è angosciato semplicemente per la mancata conclusione di un romanzo giallo su cui molti investimenti erano già stati fatti; i parenti, che tornano a farsi vivi soltanto quando la possibilità di appropriarsi dei diritti d’autore comincia ad apparire concreta. Ancora una volta, non soltanto la cultura e la poesia, ma il valore stesso della vita umana finiscono per soccombere di fronte all’interesse personale, all’ambizione individuale, alla fame di successo, a costo di lucrare su una tragedia. Tuttavia, quasi in un disperato tentativo di replicare a questa verità tanto crudele quanto disumana, Larsson inserisce, un capitolo dopo l’altro, dei frammenti di vera poesia, come a creare un soave sottofondo musicale, una dimensione altra che l’utilitarismo moderno ancora non è riuscito ad intaccare, spezzando con momenti di eleganza letteraria una narrazione che sprofonda sempre più verso l’abisso della depravazione.

E così, inaspettatamente, il giallo finisce per fare da sfondo alla vera protagonista del romanzo, e cioè la poesia stessa, che ci avvicina all’ultraterreno ricordandoci costantemente i misteri del mondo e la nostra incapacità di comprenderli. I versi, così limpidi eppure così criptici, diventano causa di morte ancora più che motivo di vita, in una paradossale alternanza degli opposti che sottolinea nuovamente quanto le parole possano essere ambigue, e quanto a maggior ragione possano esserlo gli esseri umani. Perciò, parlare di “romanzo giallo” davanti ad un’opera come questa può apparire non soltanto riduttivo, ma persino irrispettoso. In I poeti morti non scrivono gialli, Larsson scrive qualcosa di più di una semplice indagine su un caso di omicidio: dipinge un quadro della letteratura nella sua essenza e nel suo rapporto con il mondo di oggi, analizza le luci e le ombre di un genere letterario, quello poetico, che meglio di qualunque altro sa descrivere l’ambivalenza della natura umana, le sue contraddizioni e le sue debolezze, forse addirittura la sua follia. Sconvolge e riscrive le convenzioni del thriller per trasformarlo in una grande riflessione su noi stessi, un romanzo da cui è difficile prendere le distanze senza prima avere fatto un doloroso ma inevitabile esame di coscienza.

Björn Larsson, I poeti morti non scrivono gialli, Iperborea, pp. 300, euro 17


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