I popoli, azionisti indesiderati della Bce

Creato il 01 novembre 2011 da Albertocapece

Una cosa oggi la possiamo dare per sicura: l’antipatia dell’Europa per le consultazioni popolari. Quella dei mercati è ovviamente scontata, ma quella del variabile direttorio europeo, così netta e così infastidita, è in fondo una plateale confessione di inesistenza politica della Ue e della sua natura esclusivamente mercatistica e finanziaria.

Le reazioni all’annuncio dato da Papandreu di un referendum sulle condizioni poste alla Grecia per gli aiuti Europei parlano meglio di mille documenti: viene deprecato il fatto che le decisioni possano essere prese al di fuori dei vertici dove è massima l’attenzione per i disagi bancari e minima, anzi nulla quella per i sacrifici delle popolazioni.

Come osa la Grecia mettere in forse l’aiuto che salverà le nostre belle banche cromate e imporrà sacrifici durissimi ai greci per almeno due generazioni? Come si osa chiamare il popolo a pronunciarsi su decisioni che lo riguardano direttamente col pericolo che esso comprenda bene come, perché e a vantaggio di chi vanno certi amorevoli aiuti? O che comprenda che anche il debitore ha un potere da mettere in gioco?

Già il ricorso ai referendum è diventato spiacevole quando esso ha messo in panne quella specie di regolamento aziendale che era la costituzione europea, adesso poi si sta decisamente esagerando chiamando la gente ad esprimersi sugli accordi finanziari tra primi ministri, Bce e banche.

Ma la fine della costruzione europea non sta certo nel fatto che la Grecia rimanga o meno nell’area euro, ma proprio in questa assenza totale non solo di politica, ma persino di democrazia in senso sostanziale. Il popoli non sono piccoli azionisti rompicoglioni che la Bce non vuole alle assemblee. E se non si capisce questo e anche alla svelta, la Ue non avrà più senso.


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