I POVERI E LE CLASSI SOCIALI IN USA di Biagio Osvaldo Severini

Creato il 14 dicembre 2013 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr

Franco Ferrarotti

Gli USA dopo 500 anni. New York e la povertà. Dai 600 mila ai 3 milioni di poveri per la statistica sono invisibili. Le cause. L’etica protestante e le massime evangeliche. Il cattolicesimo francescano. Le classi sociali. I ghetti al centro delle città. La questione sociale psicologizzata dai governanti reazionari. La responsabilità delle amministrazioni pubbliche nazionali e internazionali. Bill De Blasio sindaco democratico di New York.

A più di cinquecento anni dalla conquista dell’America da parte di Colombo, diventa interessante apprendere notizie su alcuni aspetti della vita negli USA direttamente da chi l’ha visitata diverse volte come ricercatore di sociologia. Questo ci permette di sottoporre ad esame critico l’immagine che di quel paese si è formata nella nostra immaginazione, attraverso i film, i documentari, i rotocalchi, i giornali, la musica, la letteratura, la filosofia, la psicologia, l’astronautica.

A tale scopo intervisto il professore Franco Ferrarotti che dal 1971, con cadenza quasi annuale, si è recato negli USA per motivi di studio.

Professore Ferrarotti, si sente dire che quella è la terra della ricchezza, dell’abbondanza, del dollaro che apre tutte le strade e risolve tutti i problemi. In questo paradiso terrestre esistono i poveri?

Guardi che io condussi una ricerca proprio sui poveri di New York, e precisamente di Manhattan nel gennaio del 1971. Ebbi modo, quindi, di vivere a lungo in quei luoghi e di osservare sul campo la situazione. Allora si incontravano gli “homeless”( i senza tetto), i barboni classici, gli intellettuali, e poi le “beg-ladies”, ossia signore cariche di sacchetti di plastica, che dormivano accucciate nelle cabine telefoniche o nella sala d’aspetto della Gran Central Station. I poveri c’erano, ma erano, come dire, poco visibili. Bisognava cercarli, attenderli al passaggio, sorprenderli nei loro rifugi. All’epoca a New York, la città più ricca del mondo, la città con la più forte accumulazione di capitale, si riscontravano almeno 2 milioni di persone miserabili, letteralmente alla deriva.

Oggi (1992) la situazione è cambiata?

Oggi la situazione è peggiorata. I barboni e i senza tetto si trovano dappertutto: sui mezzi pubblici, nei sotterranei della metropolitana. E non solo uomini, ma anche donne ancora relativamente giovani, con famiglia, bambini addirittura in tenera età.

Ma quanti sono questi poveri, attualmente?

Il fenomeno sfugge a calcoli statistici accurati, nonostante la nota mania degli americani per le statistiche. Il fenomeno non è esaminato con la solita accuratezza quantitativa. Forse è psicologicamente “cancellato”. Sta di fatto che le dimensioni appaiono, anche solo in base alle impressioni, notevoli. Gli “homeless”, i senza tetto, in termini globali per tutti gli USA, potrebbero andare dai 6oo mila ai 3 milioni ed oltre.

Ma come mai non si riesce a “controllarli”?

Gli “homeless” sono privi di automobili e di telefono, non hanno fissa dimora, per cui è difficile inquadrarli, nonostante la pur notevole meticolosità degli statistici.

Allora, essi esistono o no?

Secondo i criteri della classificazione della società “normale” i poveri non esistono. Sono uomini e donne invisibili. Ci sono certamente, poiché si vedono in giro tutti i giorni, ma ufficialmente non contano. Essi finiscono per essere annullati anche dalla consapevolezza comune. Sono ridotti a oggetti, a inerti componenti del paesaggio quotidiano.

Gli abitanti “normali” di New York come si spiegano il fenomeno degli “homeless”, se lo pongono come problema?

La cosa strana è proprio questa. Nessuno sa quanti siano i barboni e i senzatetto a New York, ma tutti hanno la loro spiegazione pronta. E’ una spiegazione tipicamente darwiniana che dovrebbe far gioire i sociologi. Secondo i cittadini “perbene”, gli “homeless” e i barboni è gente alla deriva, perché non vuole lavorare; sono individui dediti al bere e alla droga, schiavi irrecuperabili della bottiglia e della siringa. Può anche essere e, almeno in parte, è vero.

Ma non è estremamente difficile stabilire un così preciso rapporto di causa-effetto, dal momento che questi soggetti non vengono studiati scientificamente ?

Bisognerebbe prendere in considerazione, in ogni caso, anche le generali condizioni sociali ed istituzionali, in cui il fenomeno emerge, prende corpo, occupa uno spazio considerevole nel paesaggio sociale.

Come mai i newyorkesi sono, invece, così sicuri che la causa è da ricercare nella non volontà di lavorare? Si può pensare all’etica protestante molto diffusa tra la popolazione degli USA?

Certamente. E’ la vecchia, profondamente radicata nel sottofondo psicologico di massa, etica protestante, con la sua idea centrale che la “certitudo salutis” è già fin da ora data a chi sia prospero, guadagni bene, abbia un “good standing in the community”. Chi è povero non può sperare nella grazia. Il povero pecca per il solo fatto di essere povero. Il povero è un “percosso da Dio”. La povertà è percepita come giusto castigo per l’individuo che non ha voglia di lavorare, che non sa approfittare dei doni di questa terra, delle opportunità.

E le massime evangeliche?

In America le massime evangeliche sono rovesciate. Alla religione di fratellanza si sostituisce una religione dell’individuo, solo, senza mediazioni, senza la Madonna o Sant’Antonio, di fronte a un Dio severo, crudele, imperscrutabile. Nessuna meraviglia che i senzatetto non siano visti, tanto meno contati. Essi sono una stonatura. Meglio turarsi le orecchie, chiudere gli occhi e non farci caso.

Meglio, quindi, il nostro cattolicesimo francescano?

Senza dubbio. Il cattolicesimo mediterraneo ed in modo particolare lo spirito francescano considerano il povero un fratello privilegiato, perché più vicino al Regno dei cieli. Nei paesi anglosassoni non è così. La povertà come condizione cronica di individui e gruppi trascende il piano economico, diviene condanna morale che non investe solo i falliti, ma tocca anche giovani ai primi passi della carriera.

Negli USA, quindi, non esiste una “questione sociale”, nel senso che la struttura della società è rimasta statica nel tempo, e le classi sociali non si sono mai modificate?

Negli USA le classi sociali, almeno nel senso tradizionale, sono scomparse. L’evoluzione del meccanismo industriale, la robotificazione del lavoro e l’informatizzazione degli uffici hanno creato un processo di omogeneizzazione dei lavoratori in senso genericamente impiegatizio. I ceti medi vanno scomparendo, trasformandosi in una zona sempre più ampia senza un’immagine precisa. Il vertice della società diventa sempre più ristretto.

Alla base della società, adesso, c’è una umanità che non può essere chiamata “classe”, perché non produce, ma costituisce una “sottoclasse”.

Essa vive ai margini, anzi nello scantinato della società, in una zona dove le norme della società regolare non hanno corso, dove la stessa linea di demarcazione fra lecito e illecito, fra legge e crimine si fa incerta, labile, inesistente.

Questa “zona senza legge”può essere chiamata "ghetto”, anche se con un significato diverso dal ghetto del lavoro industriale?

Certo. Il ghetto odierno non è più quello operaio, analizzato da Marx ed Engels e da Charles Dickens. Quelli erano ancora ghetti operai in senso proprio, collegati con la razionalità del lavoro in fabbrica. Gli abitanti dei ghetti dell’Ottocento venivano sfruttati, perché inseriti in un processo produttivo regolare.

Il ghetto di oggi non produce niente. Esso è formato da neri, messicani, chicanos, portoricani e da tutti i tipi ispanici. Da questi ghetti di oggi escono i ragazzotti del lavoro minorile, le donne che lavorano ad ore e la notte spazzano gli uffici, tutta la manodopera precaria che alimenta l’economia detta invisibile, la quale è tale solo per quelli che non hanno occhi per vedere.

Lo sfruttamento di questi abitanti, formicolanti nel buio e nel tanfo dei vicoli privi di luce, ha assunto forme nuove, che aspettano di essere ancora esplorate e scientificamente analizzate.

In quale zona delle metropoli abita questa umanità cosiddetta “invisibile”?

Nei vecchi centri urbani decrepiti, abbandonati dai benestanti che vivono nel suburbio, a sicura distanza dalle aree degradate e dalle baraccopoli, che qui sorgono nel centro e non, come in Europa, nelle periferie.

La ricerca sociologica non fa nulla per studiare questa nuova situazione sociale?

Qui la ricerca sociologica si è, purtroppo, stranamente bloccata. Forse non ha trovato committenti sufficientemente generosi o distratti per commissionare certi studi.

Eppure, la violenta rivolta dei neri di Los Angeles (maggio 1992) ci ha fatto “vedere” persone che vivono ai margini della società, in condizioni miserevoli.

La mentalità media americana, ossia la “élite dominante bianca, anglosassone e protestante”, pensa che i moti e la sollevazione di Los Angeles sono dovute a cattive abitudini che i neri avrebbero contratto negli anni passati, specialmente durante le amministrazioni democratiche, a causa degli enormi benefici di ogni genere e soprattutto a causa delle elargizioni eccessive di denaro che ne hanno fatto dei fannulloni, incapaci di badare a se stessi, pigri, tanto esigenti quanto ignavi e perdigiorno.

La “questione sociale” è stata, dunque, “psicologizzata”, se si può usare questa definizione?

Questo, infatti, è il modo classico usato dai governanti reazionari per reprimere e sopprimere un problema, piuttosto che capirlo e risolverlo. Le differenze materiali, corpose, perfettamente quantificabili in termini di reddito, longevità media, salute, istruzione, tipo di abitazione e di lavoro, sono ridotte a stati d’animo. Le ineguaglianze economiche e culturali non derivano dalle caratteristiche strutturali della società, insomma, ma sono una conseguenza del comportamento degli stessi poveri. I poveri sono, cioè, colpevoli prima perché sono poveri e poi perché è colpa loro se lo sono. Le vittime diventano, in sostanza, carnefici di se stesse.

E’ per questo motivo che i programmi sociali delle amministrazioni democratiche vengono bloccati dalle amministrazioni repubblicane, come sta succedendo oggi, 2013, con la riforma sanitaria ( “Affordable Care Act”, Atto di cura a prezzi accessibili) sostenuta dal presidente democratico Barack Obama ?

E’ così, e di conseguenza la povertà diventa più insopportabile a seconda delle amministrazioni.

Mi permetto di trarre da questa conversazione con il professore Franco Ferrarotti alcune considerazioni.

Prima, che la povertà di massa non è una questione religiosa o di etica personale, tranne casi individuali.

Seconda, quindi, che la povertà dipende strettamente dalla politica economica messa in atto dalle amministrazioni pubbliche locali, nazionali e internazionali.

Terza, che i senza tetto e tutti coloro che vivono sotto la “soglia di povertà” ( 30.000 dollari di reddito per una famiglia di quattro persone), o di “quasi-povertà” ( sotto i 46.000 dollari a nucleo familiare), che all’incirca costituiscono il 48,5 % della popolazione, dovrebbero partecipare attivamente alle votazioni politiche o amministrative, esprimendo le loro preferenze per i candidati progressisti, che negli USA sono chiamati democratici.

Sono questi, infatti, che lottano contro la povertà, contro i privilegi, contro le disuguaglianze e soprattutto che vogliono tassare le grandi ricchezze economiche per realizzare, ad esempio, una riforma sanitaria pubblica, che assicuri le cure necessarie a tutti con costi accessibili; la costruzione di alloggi popolari; una scuola pubblica contro gli istituti privati accessibili solo alle famiglie dei miliardari.

Una dimostrazione della possibilità di rivoluzionare la politica sociale ed economica è stata data dalla popolazione di New York che ha eletto, nel novembre 2013, sindaco il democratico Bill De Blasio che, tra l’altro, appartiene ad una famiglia originaria di Sant’Agata dei Goti di Benevento.

( Franco Ferrarotti, I grattacieli non hanno foglie, Laterza, 1991; Bush e il ghetto invisibile, L’Unità, maggio 1992; Federico Rampini, Il sindaco rosso espugna la New York dei ricchi, la Repubblica, 6-11- 2013)


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