E’ come un dossier destinato al nuovo presidente del Consiglio, per cercare di incidere sulle scelte di governo. È la voluminosa ricerca dell’Ires Cgil, illustrata da Fulvio Fammoni, Giovanna Altieri, Filomena Trizio, Patrizio Di Nicola, Francesca Dota, dedicata alle lavoratrici e ai lavoratori atipici e precari. Tra i numerosi dati (partendo da quello complessivo che parla di 8 milioni di “sofferenti), spicca quello di un invecchiamento di questa estesa fetta del mondo del lavoro. Il 21,5 % sta tra i 45 anni e oltre, il 39% tra i 30 e i 44 anni, il 39,5 % tra i 15 e i 29 anni. Non sono più dei ragazzini ai quali l’ex ministro del lavoro raccomandava di darsi ai lavoretti manuali. Molti di loro stanno facendo i calcoli sulla futura pensione. E guardano con inquietudine alle teorie del neo ministro Fornero sul “tutto contributivo”. Gli atipici-precari dovranno lavorare fino a 90-100 anni per mettere insieme adeguati contributi? O si troverà una soluzione?
E’ una piaga da affrontare questa del lavoro instabile non solo perché rappresenta un’iniquità sociale, ma anche perché non giova al futuro di una crescita solida. Osserva Filomena Trizio segretaria del Nidil che così s'insegue "una concorrenza sempre meno all'insegna della qualità”. È un lavoro “povero” che porta a un prodotto povero.
Nel variegato mondo delle diverse forme contrattuali non si salvano nemmeno i cosidetti lavori in somministrazione, o interinali o in affitto, considerati nel passato come una formula apprezzabile. Nella ricerca Ires ci si chiede se essi debbano essere considerati davvero un’opportunità oppure una trappola. Questo perché anche in questo caso un tale lavoro atipico poteva risultare un trampolino di lancio verso un lavoro stabile. Ora si scopre che ben il 58 per cento di tali lavoratori, anche loro invecchiando, rimane nell’area del lavoro temporaneo e una gran parte è costretta a sopravvivere con 10 mila euro all’anno, a causa di un percorso lavorativo frantumato. Ovverosia marcato da periodi di non lavoro.
Sono dati e vicende, che si aggiungono a quelle dei Cococo, diventati, secondo Patrizio Di Nicola, a 15 anni dalla loro introduzione per legge, “un ricettacolo di lavori precari destinati a persone costrette a procrastinare l’età adulta”. Non si salvano nemmeno i professionisti con partita Iva, più collaboratori che veri lavoratori autonomi.
Una marea di sofferenti, nel vortice della crisi. Si aggiungono alle migliaia di lavoratori in mobilità o in cassa integrazione che vedono avvicinarsi la fine dei loro modesti “ammortizzatori”. Ai quali non si possono promettere paradossalmente licenziamenti facili. E’ una bomba sociale che dovrebbe impensierire quasi quanto le sorti dello"spread". Monti ha trovato parole importanti su queste realtà, ma ora bisogna mettere in campo politiche concrete.
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