Il contesto strategico
Nei venti anni successivi la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda il flusso di beni, servizi ed informazioni ha subito un costante incremento: grazie a questo processo, attori politici non statali e “nuovi” attori statuali hanno accresciuto in maniera esponenziale la loro influenza sull’intero sistema.1
Gli Stati Uniti d’America, prendendo atto di questa nuova fluidità e per certi versi imprevedibilità del contesto internazionale, hanno modificato la loro strategia per poter rispondere a queste nuove sfide: ad esempio attraverso un orientamento verso l’Asia o una sempre maggiore attenzione per il continente africano.2
Non solo, in uno scenario altamente variabile, anche per una potenza come quella statunitense il paradigma dell’energia ha acquistato una sempre maggiore importanza strategica.3 La prosperità, da cui deriva l’egemonia mondiale degli Stati Uniti, partirebbe, infatti, dal benessere all’interno dei propri confini ma in un contesto come quello attuale non è più un concetto impermeabile nei confronti dell’esterno. Minacce costanti come il terrorismo, i cyber attacchi, l’andamento fluttuante dei mercati, le speculazioni che ne derivano e la scarsità di risorse, anche energetiche, ne mettono a repentaglio la stabilità.
In altri termini, il concetto di sicurezza esula dalla vecchia distinzione tra Homeland e International Security.4 Il Dipartimento della Difesa statunitense si trova quindi davanti a problemi di natura strutturale del sistema internazionale ma anche a problemi e incertezze di natura interna alla propria architettura federale ed in particolare… fiscale: il rischio Sequestration, cioè l’automatismo di limitazione del budget federale che dovrebbe implicare un taglio della spesa pubblica pari a 487 miliardi di dollari in dieci anni, peserà enormemente sul proprio bilancio.
Serve quindi come in ogni cosa iniziativa ma soprattutto innovazione. La Quadrennial Defense Review (QDR) 2014, la quale consiste sostanzialmente in un documento di analisi della dottrina militare statunitense, si interfaccia con questo “nuovo” Strategic Framework: un contesto caratterizzato dall’imprevedibilità e la fluidità delle relazioni internazionali a cui si è aggiunta anche la variabile dell’incertezza dei bilanci federali. Uno scenario con il quale relazionarsi attraverso tre pilastri:
- Protect the Homeland;
- Build Security Globally;
- Project Power and Win Decisively.
Difesa della Madrepatria, costruzione di un ordine internazionale favorevole agli interessi nazionali e la capacità di proiettare il proprio potere militare su scala globale sono da sempre punti fermi nella strategia statunitense ma non più esprimibili attraverso un massiccio stazionamento da parte delle forze armate di Washington in ogni angolo del globo; bensì attraverso nuovi e creativi paradigmi di gestione della presenza in grado di garantire (o si spera negli auspici del Pentagono) lo stesso risultato di un tempo.
In particolare: attraverso lo schieramento di assetti navali Forward-Deployed (anche mediante nuove combinazioni di mezzi come ad esempio negli Expeditionary Strike Groups (ESG) o grazie al concetto di modularità presente nelle Littoral Combat Ships (LCS)); il riposizionamento di pacchetti di forze orientate regionalmente al fine di massimizzare l’impatto strategico sull’area in questione (ad esempio verso il Pacifico).
Ancora, l’utilizzo in senso Joint interarma e multilaterale di poli d’addestramento oltremare, lo sviluppo di nuovi concetti dottrinali in grado di diventare dei veri e propri Enablers per i nuovi sistemi d’arma del Dipartimento della Difesa (DoD): come operazioni del tipo Networked Integrated Attack-in-depth (NIA) esprimibili grazie al Joint Srike Fighter (JSF)), l’estensione della vita utile dei vari mezzi in servizio e l’uso della diplomazia come mezzo per ottenere Access Agreements con lo scopo di avere una maggiore flessibilità di manovra in caso di crisi.5
Quindi, anche in presenza di una situazione fiscale avversa, uno dei punti fermi della dottrina americana resta e resterà quello della capacità di proiezione delle forze. Con una particolarità però: il tradizionale primato tecnologico statunitense nei confronti dei propri avversari verrà sottoposto sempre più a dura prova. Nuovi attori iniziano a coltivare e mettere in campo capacità in grado di destare preoccupazione da parte americana: un esempio lampante è fornito dalla strategia cinese Anti Access/Area Denial (A2/AD).6
Un altro settore destinato a subire sempre più pressioni sarà quello della logistica: gli attuali e futuri mezzi e sistemi militari saranno infatti caratterizzati da una sempre maggiore necessità di energia per poter operare. La contro-strategia statunitense, in relazione a questi aspetti gravita attorno a quelli che vengono considerati come i futuri moltiplicatori di forze: riduzione degli sprechi energetici, le Game-Changing Technologies e l’utilizzo di energie rinnovabili. I miglioramenti in campo energetico saranno infatti in grado di garantire un maggiore raggio d’azione, durata ed agilità delle singole forze, in altre parole di espandere quello che è l’Operational Reach ma anche di migliorare notevolmente la sicurezza strategica delle stesse installazioni militari sia sul continente americano che altrove.7
Facility Energy
Vediamo ora come il dipartimento della difesa ha deciso di operare in relazione alle tematiche energetiche: alla sezione 2924, titolo 10 del Codice Statunitense (United States Code – USC) viene definita l’Energy Security come il:
“poter garantire l’accesso a rifornimenti energetici sicuri e alla necessità di proteggere e distribuire un sufficiente quantitativo di energia tale da poter garantire l’espletamento dei requisiti essenziali di missione”8.
Per l’anno fiscale 2012 (FY2012) questo quantitativo è stato di 827,000 miliardi di British Thermal Unit (BTU), la quale BTU corrisponde circa ad un kiloJoule (kJ), ripartiti tra Facility Energy e Operational Energy nelle percentuali del 25% per la prima e 75% per la seconda. Con Facility Energy si intende l’energia necessaria per soddisfare i requisiti delle installazioni fisse e di tutta la flotta di veicoli non tattici il cui quantitativo per dare un’idea è stato di circa 204,000 miliardi di BTU per le installazioni e 11,100 miliardi per la flotta di veicoli non tattici per un costo di 4 miliardi di dollari circa.
La strategia nei confronti della Facility Energy ruota sostanzialmente attorno a quattro punti:
- ridurre il consumo energetico delle circa 500 installazioni presenti su scala planetaria attraverso una riduzione degli sprechi e un cambiamento nella “forma mentis” dei diretti utilizzatori;
- espandere l’utilizzo di energie rinnovabili;
- accrescere la sicurezza energetica delle installazioni;
- sviluppare nuove tecnologie.
In particolare il Pentagono sostiene che l’aumento nell’utilizzo delle rinnovabili e lo sviluppo/implementazione di nuove tecnologie porterà ad un aumento della sicurezza dell’intero apparato.9
Lo scopo è quello di conseguire un “Net Zero Approach” per le singole installazioni: ovvero che l’installazione arrivi a pareggiare il consumo energetico attraverso una significativa riduzione dell’energia utilizzata e il riutilizzo sia dei rifiuti solidi sia dell’acqua al fine di produrre nuova energia.10
Le singole forze armate stanno puntando enormemente su questo approccio “homemade” di produzione/utilizzo dell’energia. A titolo d’esempio il Dipartimento della Marina (DoN) che comprende anche lo United States Marine Corps (USMC), ha fissato come traguardo per l’anno 2020 che ben il 50% delle proprie installazioni sia Net Zero.
La fonte più performante al momento rimane quella geotermica. Infatti, il più grande progetto all’interno del dipartimento è quello della Naval Air Weapons Station (NAWS) China Lake, con un quantitativo pari a 3.671 BTU pari circa al 50% dell’intera produzione di energia rinnovabile del Dipartimento della Difesa. Come impegno complessivo il Dipartimento della Marina, l’Aviazione (Air Force) e l’Esercito (Army) sono infatti lanciati con il 1 gigawatt (GW) goal, ovvero produrre 1 GW di energia rinnovabile all’interno o nelle immediate vicinanze, a chilometro zero verrebbe da dire, dalle proprie installazioni.
Target temporale per questo progetto: l’inizio del prossimo decennio. In totale la Difesa ha identificato un potenziale di circa 17.000 BTU su tutti gli Stati Uniti ripartiti tra le fonti: solare 39%, eolica 28%, biomassa 19% e la rimanente percentuale legata sostanzialmente all’energia geotermica. Inoltre, a seguito di uno studio condotto dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) Lincon Laboratory con sede a Lexington nel Massachusetts, parallelamente all’utilizzo delle rinnovabili, il Pentagono sta puntando sullo sviluppo delle Microgrids (le quali permetterebbero una migliore e più oculata distribuzione dell’energia all’interno di una rete) e sull’immagazzinamento e conservazione dell’energia sul posto.
Lo scopo è chiaro: isolare quanto più possibile da un punto di vista energetico l’installazione dalla rete civile la quale potrebbe essere soggetta ad interruzioni, dovute ad eventi accidentali/naturali o non… come ad esempio un attacco cibernetico.11
L’isolamento garantirebbe quindi una maggiore possibilità di conservare un elevato Optempo, un requisito essenziale e strategico per il concetto di Global Reach. Questo approccio è stato sperimentato con successo attraverso il Smart Power Infrastructure Demonstration for Energy Reliability and Security (SPIDERS) Joint Capability Technology Demonstration (JCD) su alcune installazioni nelle Hawaii (Joint base Pearl Harbor-Hickam e Camp Smith) e Colorado (Fort Carson) durante il 2012.12 Il progetto, non a caso, è stato co-sponsorizzato dallo U.S. Northen Command e dallo U.S. Pacific Command, i quali saranno estremamente sensibili a queste tematiche nel prossimo futuro.13
Operational Energy
Passando all’altro fronte energetico il Dipartimento della Difesa intende l’Operational Energy come l’energia utilizzata nei rischiaramenti militari: sia lungo tutto lo spettro delle operazioni, sia a diretto supporto degli stessi e quella impiegata nel mantenere la prontezza al rischiaramento delle unità. Attualmente questi rischiaramenti fanno affidamento sull’energia derivata dal petrolio. L’energia è sempre stata un fattore critico per le operazioni militari, ma oggi lo è diventata sempre più e questo a causa dell’aumento di tecnologia che ogni piattaforma porta con se: dal velivolo, al mezzo terrestre fino a giungere al mezzo appiedato… ovvero l’unità base, il soldato.
Le operazioni in Afghanistan ed Iraq hanno infatti messo in evidenza il problema: un singolo soldato in una missione di pattugliamento appiedato di tre giorni può arrivare a portare con se fino a 8 chilogrammi di batterie. A livello di battaglione i Marines hanno riscontrato un aumento del 250% e 300% dei consumi da parte di radio e computer: cifre vertiginose se paragonati all’anno 2000.14 Sempre i Marines sono arrivati a consumare quotidianamente circa 756 m3 di carburante nel teatro Afghano: cifra da distribuire su tutte le circa 100 Forward Operating Bases (FOB) presenti in zona operazioni. In pratica a livello di “compagnie” si consuma oggi più di quello che un decennio fa consumavano i “battaglioni”.
Non solo è stato calcolato che il trend non è destinato a ridursi, anzi ad aumentare del 15.6% per il 2017.15 Più energia necessaria per sostenere la letalità dello strumento equivale a più convogli per gli approvvigionamenti i quali a loro volta si convertono in un aumento drammatico della vulnerabilità degli stessi nei confronti di possibili attacchi. Per lo United States Transportation Command (USTRANSCOM) durante il 2010 i convogli di rifornimento nel teatro afghano ed irakeno sono stati attaccati 1100 volte, il dato potrebbe però non contare gli attacchi subiti a livello tattico dalle FOB e Patrol Bases.
Tra teatro Afghano e Irakeno nel 2007 circa 3000 soldati e contractors sono stati feriti o uccisi negli approvvigionamenti di acqua e carburante.16 Particolarmente sofferenti da questo appesantimento energetico sembrano essere proprio i Marines al punto che il comandante del corpo, Gen. James F. Amos, dichiarò nel 2010 che la continua sete e necessità di carburante ed energia costituiva un rischio sia per i singoli marines, sia per le capacità Expeditionary dell’intero Corpo.17
A considerazioni analoghe sono giunte anche le altre tre Forze Armate: l’appesantimento energetico si ripercuote infatti a cascata sia sul concetto di Strategic Reach, la distanza sulla quale una nazione proietta il proprio potere militare, che soprattutto sull’Operational Reach, la distanza e la durata nella quale un’unità può operare con efficacia. Concetto quest’ultimo di fondamentale importanza nelle operazioni dalle FOB: una pedina essenziale attraverso la quale le forze di terra e non solo portano avanti una campagna militare.18
Strategic e Operational Reach saranno quindi sottoposti ad un enorme stress nel futuro scenario del Pacifico data la vastità dell’area e causa contesto geopolitico nel quale gli Stati Uniti si troveranno ad operare come visto nell’introduzione a questo articolo. Il Pentagono ha quindi impostato una strategia mirante anzitutto ad una riduzione dei consumi a prescindere dalla fonte energetica sia essa rinnovabile, biocarburante o “classica”.19
Per poter raggiungere il traguardo le forze armate statunitensi stanno portando avanti una vera e propria rivoluzione: di tipo tecnologico, attraverso l’eliminazione/riduzione degli sprechi energetici da parte dei mezzi in servizio (ad esempio, retrofit di motori elettrici ibridi sui DDG-51 classe Burke, aggiornamento di Bradley e Abrams, programma Adaptive Versatile Engine Technology (ADVENT) per le turbine della United States Air Force (USAF) ) ma anche attraverso l’introduzione di parametri più stringenti in questo campo per quelli di prossima o futura introduzione (ad esempio Landing Helicopter Dock (LHD) 8 Makin Island o lo stesso F-35 Lightening II).20
L’azione alla base di tutto e forse di maggior impatto rivoluzionario sarà però, quella di un cambiamento radicale nella forma mentis di ogni singolo militare, la quale è efficacemente esemplificata dall’USAF con lo slogan:
“Make Energy a Consideration in all we do”.21
Ulteriore passo è quello di un maggior utilizzo di energie rinnovabili all’interno delle Contingency Operations, le quali consistono in tutto lo spettro di impiego delle Forze Armate nei confronti di un nemico o di una Forza Militare contrapposta. Questo “nuovo” modo di fare energia avrebbe in particolare una serie di vantaggi, oltre che di tipo strategico anche di tipo tattico: ad esempio l’impiego di energia solare in teatro comporterebbe un alleggerimento dell’impronta logistica, con benefici in termine di minor vulnerabilità e sostenibilità dagli attacchi e porterebbe anche ad una maggiore stealthness dell’unità, sia da un punto di vista termico che sonoro se paragonato al “classico” sistema di approvvigionamento utilizzante il petrolio.
I Marines hanno quindi lanciato i programma Solar Powered Adaptors for Communication Equipment Systems (SPACES) e Ground Renewable Expeditionary Energy Networks (GREENS) volti a snellire la catena logistica ed in particolare ad ottenere l’autosufficienza energetica da parte delle Austere Patrol Bases.22 Sempre in quest’ottica si colloca l’impiego di generatori da biomassa e il sistema Mobile Integrated Sustainable Energy Recovery (MISER), un programma sotto la direzione della Defense Advance Research Project Agency (DARPA), il quale mira a poter convertire in energia i rifiuti sotto forma di carta, plastica e scarti alimentari che vengono prodotti dalle stesse unità militari. In questo caso i vantaggi deriverebbero da una diminuzione della necessità di acqua in teatro del 50-80%: un aspetto questo importantissimo e soggetto anch’esso ad attenzione da parte del Pentagono. Un altro aspetto positivo deriverebbe da una minor “rintracciabilità” da parte dell’intelligence nemica, la quale scaturirebbe dalla minor produzione di rifiuti.23
Conclusioni
Concludendo si può affermare che il Dipartimento della Difesa statunitense abbia inteso e si stia approcciando alla sicurezza energetica come un vero e proprio moltiplicatore di forze. Paradigma di assoluta rilevanza soprattutto all’interno dell’attuale scenario geopolitico caratterizzato dall’incertezza degli approvvigionamenti e da una sempre maggiore richiesta energetica da parte di forze Netcentriche.
I vantaggi, oltre che tattici hanno, come visto, anche una portata strategica sia in termini di Operational – Strategic Reach sia innescando un circolo virtuoso in grado di diminuire la richiesta di acqua, carburante, energia nonché la produzione di rifiuti. Un’immagine maggiormente defilata da parte delle forze armate statunitensi, porterebbe ad evidentissimi vantaggi qualora queste venissero chiamate nuovamente ad affrontare missioni del tipo Counterinsurgency (COIN). Operazioni all’interno delle quali, la componente “narrativa” e “politica” del conflitto rivestono un ruolo di assoluta predominanza.
Resterà da vedere se, nell’attuale contesto economico, permarranno i fondi destinati a questi progetti. Programmi questi che dovrebbero fornire alcuni spunti di riflessione per forze armate caratterizzate da minori risorse economiche di quelle americane: come ad esempio quelle del continente europeo, ma anche e soprattutto per quelle italiane.