La partita che doveva dare un significato complessivo a questo mese di giugno era quella di San Juan contro l’Argentina e l’abbiamo persa. E perdere con l’Argentina ci può anche stare: loro sono al numero 7 del ranking mondiale, noi all’undicesimo posto (e temo che dopo questo fine settimana la Scozia ci superi), tanto per dire, basterebbe questo. Il punto è come perdi, e noi sabato sera abbiamo perso proprio male.
E il ko di San Juan diventa in qualche modo pardigmatico, simbolico. Ci dice a che punto sta il nostro movimento. Sabato sera abbiamo perso contro una squadra formata da un numeroso gruppo di giovani di belle speranze prese per mano da qualche giocatore di grandissima esperienza. Perché è vero che a guidare i padroni di casa c’erano un certo Contepomi e tal Roncero (a proposito, un pilone 35enne che fa una meta degna di un centro di 25 anni. Questo dovrebbe dire qualcosa sulla nostra difesa…), e che con loro c’erano giocatori che militano in Europa in club importanti (Biarritz, Agen, Sale Sharks, Exeter), ma la maggior parte militavano in club che si chiamano Tucuman, Rosario, SIC, Cordoba, Newman, Belgrano o Pucarà. Il ct argentino Phelan ha infatti deciso che i 24 giocatori che faranno parte della rosa-base del Rugby Championship verranno usati poco o nulla in questo mese di test-match: stiamo parlando di Amorosino, Imhoff, Leguizamón, Figallo, Rodríguez, Lobbe, Bustos, Agulla, Ayerza e Juan Martín Hernández. Giusto per citarne solo alcuni. Quella che ha messo ko l’Italia magari non sarà la “squadra B”, ma di sicuro non la rivedremo molto presto. Certo, anche gli azzurri lamentavano qualche assenza – Parisse su tutti – ma non sono paragonabili a quelle argentine.
Vogliamo parlare dei club? Da noi c’è un torneo semi-professionistico o blandamente professionistico e due franchigie che giocano nel professionismo vero. In Argentina ci sono tornei magari importanti (la Copa Personal o l’URBA) ma il professionismo è lontano anni-luce e i giocatori fanno altro nella vita. Di fatto il movimento argentino il professionismo non lo conosce se non nella sua ristretta, ristrettissima, élite. La stessa IRB non fornisce il numero dei tesserati: andate sul sito del board internazionale, cercate le Union, trovate l’Argentina e vedrete segnato uno “0″. L’Italia invece può contare su 71.494 tesserati e 1.103 club. Ora, è chiaro che l’Argentina non è ferma al palo e che nel paese sudamericano il rugby gode di una certa tradizione, però i Pumas possono contare su un bacino demografico che è più ristretto rispetto al nostro per circa 20 milioni di unità. Eppure la loro “produzione” di giocatori è qualitativamente superiore alla nostra. Perché?
Il problema sta nella testa, nel cuore e nello scheletro del nostro movimento. La FIR? Certo, ha la “colpa” – a mio personalissimo parere – di aver ristretto la sua visuale solo alla Nazionale, lasciando troppo perdere quello che le sta attorno e che però è quello che dà la linfa (o dovrebbe dare) al gruppo azzurro. Forse ci si è accontentati dell’allargamento numerico del movimento, quasi che dalla quantità dovesse per forza di cose uscire anche la qualità. E un po’ di qualità sicuramente c’è, ma non basta. Non basta perché servono giocatori ma servono anche tecnici, arbitri, dirigenti all’altezza. L’Argentina ha un ct argentino, noi nemmeno ci proviamo ad averne uno italiano. L’Argentina ha la capacità e l’umiltà di chiamare un certo Graham Henry a darle una mano con il suo Alto Livello.
Da troppo tempo poi i tecnici delle nostre nazionali “minori” sono protagonisti di un continuo riassestamento, quasi che con le stesse tessere si continui a cercare di comporre lo stesso puzzle. Che però rimane sempre incompleto. Qua e là si inserisce qualche tessera nuova ma anche qui i risultati non arrivano, anche perché più che un problema di tessere è un problema di puzzle.
La Fir dicevo, certo, ma non è che i club italiano abbiano meno colpe. Ovvio che ci siano delle eccezioni, ma il panorama generale è quello che è. E così i giocatori latitano e i risultati non arrivano. Quando potremo sperare di giocarci un Mondiale Juniores come quello che stanno facendo i Pumitas?
C’è bisogno di una scossa elettrica, di una frustata che percorra tutto il nostro movimento, da capo a piedi. Questione di uomini? Forse, di sicuro questione di obiettivi e atteggiamento. Che i 70mila dell’Olimpico per la Scozia sono un risultato semplicemente sbalorditivo (l’ho scritto più volte), ma dobbiamo rimettere le cose al posto giusto: quei 70mila non sono e non devono essere il risultato a cui tendere, devono essere il riflesso e la logica conseguenza dei risultati ottenuti sul campo. Che latitano da tanti, troppi anni. O ci vogliamo accontentare di 2-3 vittorie l’anno?