A ricreazione fumava nel cortile della scuola, grande e alberato, abbastanza ampio da riuscire ad imboscarsi, bruciare una sigaretta e rientrare senza essere beccato da qualche professore. I pini secolari, le aiuole, i muretti offrivano un ottimo riparo sia per il freddo d’inverno che per gli sguardi inquisitori. Così i pochi fumatori del liceo si ritrovavano in cortile, puntuali alle undici ogni mattina, quasi fosse l’appuntamento prefissato per una riunione di chissà quale società segreta. E forse, tutto sommato, di società segreta si trattava, con un suo codice di comportamento e i suoi gesti omologati e omologanti. La fratellanza tra gli adepti si manifestava quando uno di loro rimaneva senza paglie e qualcuno si predisponeva di buon grado a fornirgliene una, ben sapendo che presto ne sarebbe rientrato in possesso, non appena anch’egli sarebbe rimasto col pacchetto vuoto a ricreazione, impossibilitato ad andare a comprarle.
Quella mattina, però, tirava un vento boia, teso e furioso. Scuoteva le cime dei pini che sembravano rabbrividire e, infilandosi tra gli aghi e rami aguzzi, fischiava e ululava come nei film dell’orrore. Quella mattina la società dei fumatori decise tacitamente di saltare la sigaretta della ricreazione, tanto non sarebbe nemmeno stato possibile accenderla con quel vento. Luca però non volle rinunciare ed era certo che col suo zippo sarebbe riuscito a dar fuoco al tabacco. Chiese così a Mauro di fargli compagnia. Mauro non aveva mai fumato in vita sua forse perché figlio di tabaccaio e, in quanto tale, troppo intossicato già soltanto dalla vista delle sigarette per desiderare di fumarne una. Riluttante ma legato a Luca da antica e profonda amicizia nonché da quel rapporto di fedeltà che di solito si allaccia condividendo il banco, Mauro accettò di accompagnare il nicotomane suo amico a fumarsi la sua dose di veleno e uscì con lui nella tempesta.
Il vento era davvero impetuoso e, come se non bastasse, era pure gelido. La cosa più inquietante era però il rumore, tanto forte che i due appena si sentivano. Si ripararono dietro il tronco del pino più grosso e, forse, più vecchio, Luca si acquattò facendo un cucchiaio con la mano sinistra attorno all’accendino per ripararlo dall’aria mentre col pollice della destra faceva ruotare il disco abrasivo sulla pietrina che scintillò e incendiò la benzina sullo stoppino. Impossibile impedire ad uno Zippo di accendersi. Luca accese così la sua Chesterfield e cominciò ad aspirare il fumo prima che il vento stesso si fumasse l’intera sigaretta col suo soffio vorace. Intanto Mauro guardava e incassava il collo nel giubbotto cercando invano di riparare la testa, augurandosi che l’amico facesse presto a soddisfare il suo vizio. I capelli di Mauro non reagirono al vento ma quelli di Luca erano tutti per aria, lunghi com’erano.
La sigaretta era quasi a metà quando udirono un rumore fortissimo, più forte del fischio del vento, che proveniva da sopra le loro teste. Uno scricchiolio enorme, il suono del legno che si spacca, un suono prolungato e minaccioso. Alzarono lo sguardo e videro la punta del pino che guardava verso terra anziché verso il cielo e si muoveva in loro direzione lentamente, un po’ perché trattenuta dai rami superstiti, un po’ perché certe situazioni si percepiscono come al rallentatore.
E fu al rallentatore che scapparono da sotto l’albero, almeno questa fu la sensazione perché in realtà correvano veloci come il lampo. Correvano verso le scale che portavano al sicuro, al piano di sopra, dentro la scuola. Correvano a braccia alzate, agitandole al vento come maledicendo qualcuno. Correvano e urlavano ma non si capiva cosa perché le loro voci erano coperte dal rumore del vento mentre la punta del pino, enorme, si andava a schiantare esattamente dove stavano loro qualche secondo prima. Corsero urlando silenziosamente lungo le scale, entrarono nel corridoio centrale della scuola senza rallentare, lo percorsero tutto di corsa svoltando a sinistra verso quello più stretto delle aule. Si infilarono sempre correndo nella loro e si sedettero in velocità ognuno al proprio posto, tremanti e ansimanti e ancora con le braccia alzate. E’ rimasta leggendaria la scena nella scuola, ancora la si narra a distanza di anni. E si ride ricordando la parola che i due gridavano correndo. Urlavano: “Paura! Paura!”.