L'ultimo film Ghibli ha il sapore della delusione.
Delusione tutta personale visto l'aurea positiva di cui si circonda da anni il primo film del figlio di Hayo, Goro Miyazaki.
La colpa è tutta delle aspettative troppo alte che mi ero creata e che lo stesso inizio della storia ha fomentato: quella lotta tra draghi, il loro essere visti dagli umani come un segno di grande cambiamento, sembrava promettere un film dal respiro universale, dove ancora una volta natura e uomo si vanno a scontrare. E invece, a seguito di un parricidio, la trama va a incentrarsi sul principe fuggitivo Arren, che incontra quasi per caso Sparviere e con lui va ad invischiarsi in un'altra lotta, quella tra maghi.
La storia prosegue così piuttosto lentamente, tra salvataggi in extremis e terra da coltivare, introducendo il personaggio misterioso di Therru, ragazzina dal volto marchiato, e quello materno di Tenar, che ospita tutti e tre nella sua fattoria.
Il cattivo, invece, arriva dopo un po', nelle sembianze androgine (corpo femminile ma nome e genere maschile) di Aracne, stregone che vuole conquistare la vita eterna e che per farlo sfrutta il duello interiore di Arren, diviso tra il bene e il male.
La parte più convincente è quindi proprio quella finale, dove lo scontro tra maghi e tra ragazzi dà vita non solo a perle di sceneggiatura che richiamano alla filosofia (e dove ancora una volta il potere della parola è il più grande), ma anche a soluzioni di animazioni decisamente travolgenti: la scomposizione del palazzo, la caduta delle scale, lo stesso modificarsi di Aracne impressionano notevolmente.
I disegni sono comunque molto suggestivi, sia quelli dedicati alla città dedalo simile a Venezia in alcuni punti, sia quelli degli stessi personaggi, con la trasformazione interiore di Arren che si fa sempre ben visibile.
Questi punti a favore non hanno però risollevato di molto il mio umore durante la visione, per lo più annoiato e poco interessato, che non ha trovato un personaggio strepitoso come una Kiki o come una Ponyo a cui aggrapparsi con amore, che non ha trovato un mondo di fantasia ricco di suggestione come una foresta magica o una città incantata.
Peccato.
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