Mentre scriveva il racconto ha pensato anche alle immagini che lo avrebbero potuto meglio rappresentare? Coincidono o si avvicinano a quelle effettivamente create dall’illustratore?
No, non nella fattispecie. È un racconto dalla gestazione un po’ lunga e quando iniziai a scriverlo non sapevo dove sarebbe finito. Amalia è stata intelligente e sensibile, le illustrazioni calzavano. Il Pluto che accompagna la prima pagina del racconto ha nei tratti tutti i significati che avevo intenzione passassero. Così come le altre che coinvolgono e rappresentano uno ad uno i simboli forti e strutturali della narrazione. Questo senza che ci fossimo mai parlati. Significa che l’accostamento funziona perché non c’è qualcosa che accompagna qualcos’altro. Due forme espressive con genesi condivisa, ma costruite in parallelo, senza subordinazioni.
Il suo racconto sembra essere molto legato alle immagini, in particolare ad alcuni scatti fotografici. In quale rapporto si trovano, nella sua scrittura, immagini e parole?
Sempre più stretto. Devo immaginare, vedere ciò che scrivo. Mi aiuta molto e mi piace, anche, molto. Chiaro che poi si può lavorare sul risparmio. Non far coincidere completamente immagine visualizzata e testo. Piuttosto riportare solo alcuni particolari tralasciandone altri, dare a chi legge la libertà di integrare la sua sensibilità alla mia.
Quale sarà il suo prossimo appuntamento con la scrittura?
In autunno una serie di tre racconti per la collana Singolari della casa editrice LiberAria, concentrandomi nel frattempo su un lavoro più lungo che so solo quando è cominciato. Ma per fortuna non c’è fretta.
Intervista ad Amalia Mora
Non tutte le storie si prestano allo stesso modo a essere illustrate. Quale coefficiente di difficoltà darebbe al racconto sul quale ha lavorato? Che rapporto ha avuto col testo e cosa ha voluto restituirne con le immagini?
Il racconto mi ha intrigata alla prima lettura. Il modo di raccontare di Raffaele Riba, per certi versi, è molto vicino al mio. La narrazione si svolge mediante “scatti fotografici”, immediati e crudi che sembrano non avere bisogno di nessun accompagnamento visivo. È stata questa la difficoltà iniziale: non riuscire a immaginare nulla se non quello che Raffaele mi permetteva di vedere attraverso le sue parole. Il rischio era di non aggiungere nulla di mio e limitarmi a un approccio didascalico. Ho letto e riletto più volte il testo fino a quasi non poterne più e soltanto dopo essermene staccata per un po’ di tempo sono riuscita a tirare fuori quello che volevo e che Maurizio Ceccato sapeva che avrei potuto restituire. Non saprei dire esattamente che cosa volevo aggiungere o togliere al racconto, mi sono limitata a disegnare e a immaginare i momenti in cui le azioni si svolgevano. Quello che posso dire ora, a lavoro concluso, è che tutto è stato chiaro, uno scatto.
Ha avuto modo di confrontarsi con lo scrittore?
Non mi sono confrontata con lo scrittore, ho preferito che fosse il racconto l’unico tramite tra di noi. Successivamente alla pubblicazione di Watt ci siamo sentiti tramite email per ringraziarci a vicenda.
Quale sarà il suo prossimo appuntamento con l’illustrazione?
Attualmente sto collaborando con Daniela Tieni (una bravissima illustratrice romana) a un progetto per ora visibile online, A Silent Dialogue. Mi piacerebbe ancora collaborare con Raffaele Riba, ho provato una simpatia immediata per la sua scrittura.
Qui la recensione di Eloquenza delle nature morte.