Racconto di Simona Dolce
Illustrato da Cristiano Baricelli
Recensione di Rossella Gaudenzi
Non mancano elementi significativi di degrado nel racconto Ottantuno anni dall’America. Vincenzo, Caterina e Maria si muovono con rabbia in un mondo desolante intriso di povertà, disagio sociale, soprusi; arrancano in un casermone di periferia del sud Italia infestato di sporcizia: «Il cortile è un tappeto di mozziconi, qualche siringa tra i cespugli bruciacchiati dall’afa, che poi saranno bruciacchiati dal gelo, schiacciati dalle suole, devastate dai cani».
Vincenzo ha quarantatre anni, fa il muratore sottopagato per una ditta che poco tiene in conto i diritti del lavoratore, è sposato da oltre quindici anni con Caterina e ha una coscienziosa figlia di sei anni, Maria. Vincenzo vive una vita insonne, non riesce a far quadrare i conti, non riesce neppure a portare al mare moglie e figlia per un misero weekend: l’affitto, le bollette che paga spesso con la mora, il pensiero di acquistare i libri di scuola per Maria hanno il sopravvento; solo prendersi cura delle piantine striminzite del cortile gli dà, talvolta, una piccola dose di sollievo.
Un pensiero ossessivo tallona Vincenzo: gli ottantuno anni che lo separano dall’America, quegli anni in cui la sua famiglia ha fatto una migrazione inversa, da Capua a Brooklyn e ritorno che non gli hanno permesso di essere un americano di seconda generazione. «Si sente colpevole. I suoi nonni si sono mangiati l’oceano per due volte, andata e ritorno, e lui non riesce neppure a portare la famiglia al mare».
Il tredici agosto in famiglia si fa un amaro bilancio sull’impossibilità di trascorrere una giornata al mare e Vincenzo viene chiamato a rapporto per lavorare l’indomani, domenica quattordici agosto. Il pover’uomo si sveglia all’alba di una mattina dal cielo «agonizzante e sudicio già così presto» per andare a smontare un ponteggio all’interno di un serbatoio di un’industria farmaceutica. Un’oretta, al massimo due di lavoro domenicale per cinquanta euro di compenso sull’unghia. Le cose non vanno però per il verso giusto – un motivo per disturbare tre operai di domenica, alla vigilia di Ferragosto, deve pur esserci –. La bocca del serbatoio infesta quell’antro di inodore e velenoso azoto. Tragico è l’epilogo.
Frasi brevi, aggettivi e verbi efficaci scelti con sapienza; è così che Simona Dolce costruisce un prezioso racconto diretto, asciutto e secco almeno quanto gli occhi di Caterina che non hanno più una sola lacrima da versare. A ricordarci che alcune storie raccapriccianti sono ancora, che ci piaccia o no, storie di questo Paese e di questo secolo.
Simona Dolce è nata a Palermo nel 1984. Vive e lavora a Roma. Nel 2008 ha pubblicato il suo primo romanzo Madonne nere (Nutrimenti). Collabora con la rivista «Nuovi Argomenti» e sta scrivendo il suo secondo romanzo.
Cristiano Baricelli è nato a Genova nel 1977. Dopo gli esordi con la galleria genovese San Bernardo, ha partecipato a varie mostre collettive e personali. Nel 2008 alcune sue opere sono state riunite nel volume Corpus homini.Attualmente lavora con la galleria Miomao di Perugia.
Il suo sito www.cristianobaricelli.it
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