“I ragazzi della via Pál” di Ferenc Molnár: il romanzo che insegna a lottare per far valere i propri diritti

Creato il 28 ottobre 2014 da Alessiamocci

“Si poteva trovare un migliore campo da gioco? I ragazzi non potevano neanche concepire che ce ne fosse uno più bello; per loro questo era l’ideale. Il suolo liscio sostituiva meravigliosamente le praterie americane quando giocavano ai pellirosse. Quanto alle cataste di legno, con un po’ di buona volontà, con un briciolo d’immaginazione, potevano diventare ogni cosa: città, foreste, montagne rocciose, case, fortezze…a seconda delle circostanze”.

I ragazzi della via Pál” è un capolavoro della letteratura ungherese, nonché uno dei più noti classici per l’infanzia. Scritto da Ferenc Molnár (Budapest 1878 – New York 1952), il romanzo è popolare per la realizzazione di numerose trasposizioni cinematografiche.

Il titolo originale prevedeva che la celeberrima “via Pál” fosse scritta con un idioma ungherese, difficile da rendere in italiano, quindi, quando è giunto nel Belpaese, ha immediatamente acquistato la doppia vocale. Pubblicato per la prima volta nel 1906, a puntate su una rivista, si proponeva di denunciare la mancanza di spazi adeguati per il gioco dei bambini.

È la storia di un gruppo di ragazzi nella Budapest di fine Ottocento, divisi in due fazioni e disposti a tutto pur di conquistare uno spazio verde in cui poter giocare a calcio e svolgere attività all’aria aperta. L’autore si rivolge spesso al lettore e fa notare come, per chi è abituato a vivere in campagna, questo caparbio accanimento appaia assurdo. Per un bambino che vive in città, al contrario, la conquista di uno spazio aperto e libero da pericoli, in cui poter giocare, si rivela di fondamentale importanza.

Oseremmo aggiungere che anche per un bambino del giorno d’oggi non sia più così importante, essendosi trasformati i giochi dei più giovani in attività da svolgere al chiuso, magari nella tranquillità della propria cameretta e in completa solitudine. In un mondo in cui si “chatta” anziché guardare negli occhi un amico, la strenua difesa di quel quadrato di terra dei combattenti della via Pál appare un’incitazione alla violenza. Eppure, questa storia parla di valori, di tempi che furono, di sentimenti nobili che sarebbe bello potessero ritornare ad albergare in ognuno di noi.

I ragazzi della via Pál, uniti nella “Banda dello Stucco”, sono soliti ritrovarsi in un deposito per il legname, per discutere e giocare insieme. Essi sono in perenne lotta con le Camicie Rosse, il gruppo che ha scelto come sede l’Orto Botanico, e che vorrebbe impossessarsi del loro terreno di gioco. Le due bande decidono di darsi battaglia, e che il campo, alla fine, vada alla fazione vincitrice. Come veri e propri piccoli soldati, essi si assegnano un ruolo e creano strategie degne di Napoleone.

Ecco, la guerra fra quei ragazzi fu decisa come vien decisa la guerra fra le nazioni. Alle camicie rosse occorreva un luogo per giocare alla palla, e siccome non c’era altro mezzo per averlo bisognava fare la guerra”.

La guerra, nelle loro giovani vite, è concepita come qualcosa a cui “dare del lei”, le cui regole vanno sempre rispettate. L’onore sembra venire prima della gloria, ed è interessante scoprire a poco a poco le dinamiche che si creano all’interno dei gruppi. Il leader perde il suo potere, il soldato semplice dà dimostrazione del suo coraggio, l’invidioso puntualmente si rivela un traditore, ma alla base di tutto sta la lealtà nei confronti del nemico. La fervida fantasia di questi piccoli amici prende il sopravvento, tanto che al lettore risulta difficile ricordare, ad un certo punto, che si tratta di un gioco.

Indimenticabili i personaggi della storia, ognuno, a suo modo, un piccolo eroe. Sotto la supervisione del Professor Racz, facciamo la conoscenza di Boka, il “capo” dei ragazzi della via Pál, riflessivo, intelligente e generoso, in poche parole, un “piccolo uomo giusto”. Del pavido Geréb, forse il personaggio più “umano” per quanto indisponente, che per invidia nei confronti di Boka tradisce gli amici. Del piccolo Nemecsek, il vero protagonista della storia, o meglio, del suo significato più puro, che durante le battaglie con lance e bombe di sabbia si distingue fra tutti.

Il gracile soldato lotterà con tutte le forze, e morirà di polmonite, per avere fatto un bagno “fuori programma” in una primavera che ancora non concede notti tiepide. Il campo di via Pál non è solo un terreno di svago, ma acquista un significato universale. In gioco ci sono i diritti umani, e la capacità di farli rispettare. Questo ragazzino biondo è l’esempio che se si vuole qualcosa, bisogna lottare per averla, con tutte le forze, anche a costo della vita. Questo messaggio oggi sembrerà esagerato, anche perché nelle famiglie non regna più una povertà così assoluta, e i genitori hanno un maggiore controllo sui figli.

Nonostante questo, dalla lettura de “I ragazzi della via Pál” si esce arricchiti. Come se, ad un tratto, avessimo preso coscienza di un pezzo di storia che sarebbe stato un peccato ignorare. E nonostante le lotte e l’ardore alla fine si rivelino inutili, poiché nel campo da gioco in via Pál verrà costruito un palazzo di tre piani, rimane un’eco che dice: “Non rimanere fermo, vai e prenditi quello che desideri! Combatti per difendere ciò che è tuo”.

In via Pál, come sarà più tardi in via Gluck, e chissà in quanti altri posti ancora, la speculazione edilizia giunge inesorabile, togliendo ai bambini i loro sogni. Nonostante questo, rimane l’entusiasmo di piccole vite ricche di espedienti. Gente che non si è arresa e, fino all’ultimo, ha saputo sperare. Tali persone rappresenteranno sempre un valore aggiunto per la nostra società, al di là del tempo. Sapranno prosperare, anche se altrove.

Written by Cristina Biolcati


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