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I ragazzi dovrebbero farsi carico del passato

Creato il 08 febbraio 2011 da Peterpasquer
Si fa un gran parlare di giovani, di futuro. Nella maggior parte dei casi se ne parla in modo retorico, prevedibile. Direi, quasi astratto.Vi suggerisco allora l'articolo di Christian Raimo uscito qualche giorno fa su RollingStone Magazine. A mio parere denso di spunti utili per una riflessione che tutti, senza distinzione d'età, dovremmo fare sul concetto di "giovane" nell'attuale mondo in cui viviamo.
I ragazzi dovrebbero farsi carico del passatoLinea Maginot: bloccati nell’età di mezzo
Rolling Stone03 FEBBRAIO 2011
Invece di rivendicare il futuro, che già è loro, i ragazzi dovrebbero farsi carico del passato, della storia. Parola di uno scrittore loro coetaneo.
Dice il nuovo slogan della cgil della neosegretaria Susanna Camusso: «Il futuro è dei giovani». Così come la frase di battaglia del movimento studentesco degli “indisponibili” è: «Ridateci il nostro futuro». Anche il Papa qualche angelus fa ha dichiarato: «I giovani sono il nostro futuro». La rivendicazione delle (e per le) nuove generazioni italiane nei confronti di una gerontocrazia paralizzante sembra essere in fondo una battaglia condivisa, anche se un po’ di retroguardia. E il loro motto, una decisa dichiarazione tautologica. Come dire, è abbastanza evidente che il futuro sia dei giovani. Cosa ci sia da esigere dunque non è chiaro. Che i 50enni mollino i loro posti? Che i 70enni muoiano?Anche gli anziani giovanologi del nostro Paese, prendete Umberto Galimberti e il suo L’ospite inquietante o Pier Luigi Celli e il suo La generazione tradita: Gli adulti contro i giovani, sembrano alludere, con toni più apocalittici, alla stessa mancanza: l’immagine che i ragazzi hanno del domani è oscura, minacciosa, un deserto. (Anche se è molto deprimente l’informazione che proprio Galimberti e Celli hanno delle culture giovanili, trattate nei loro testi come repertori di luoghi comuni, sotto-culture in senso spregiativo o ingenuo). Ma, facendo una mossa del cavallo, il dubbio che potrebbe instillarsi quando vediamo esaltato questo desiderio legittimo di riappropriazione di una prospettiva di speranza comune è che questa ideologia giovanile nasconda in realtà una questione socio-politica più profonda.
I giovani come soggetto sociale, ci ha insegnato Jon Savage nell’Invenzione dei giovani, nascono già alla fine dell’Ottocento: ma il conflitto generazionale di cui sono portatori diventerà nel corso del secolo appena passato sempre meno una contrapposizione sociale e sempre più un processo di identificazione culturale. La cultura giovanile è oggi in tutto il mondo occidentale la cultura dominante: il mondo dei consumi di massa è un universo pensato ad hoc per “chi vuol essere giovane” indipendentemente dall’età che ha.Accanto però a questi processi di giovanilizzazione della società e di culturalizzazione dei conflitti socio-politici è avvenuta, negli ultimi tempi, un’ulteriore trasformazione: il concetto di gioventù è diventato un concetto non più dinamico. Essere giovani non vuol dire più essere plastici, mobili, disposti a trasformarsi, a crescere; ma permanere in un’età di mezzo in cui la gamma delle possibilità esistenziali, sociali, affettive si rinnova di continuo senza mai acquistare una sua densità. Prendete la diffusione della letteratura per teenager: molti dei libri che oggi i ragazzi leggono non si muovono più immaginando un attraversamento della linea d’ombra, ma in un paesaggio orizzontale dove l’esplorazione può non avere mai fine. Ossia, se un Giovane Holden, un Ragazzi della via Paal, un Siddharta non contemplano l’idea di un seguito (la storia che raccontano esprime l’idea di un passaggio che è unico e irreversibile, una bildung), le avventure dei personaggi di Moccia, di Harry Potter, di Twilight, di collane per teenager di Newton Compton. Fanucci, Mondadori possono invece continuare: ritroveremo i personaggi nel prossimo libro, ci potrà sempre essere uno Scusa ma ti chiamo di nuovo amore dopo Scusa ma ti chiamo amore, mentre chiuso il libro Holden Caulfield o Nemecsek li abbiamo lasciati al loro destino una volta per tutte, e loro al nostro.
Rivendicare il futuro diventa in fondo forse allora l’alibi per restare imprigionati in un eterno presente, in cui non è tanto il futuro a venire negato ma un’esperienza di gioventù diversa. Crescere, trasformarsi, rivoluzionare davvero la società vuol dire rivendicare piuttosto il passato, farsi carico della storia che ci ha portato fino a qui e restituirle un nuovo senso. Ai Galimberti e ai Celli i ragazzi dovrebbero contrapporre una diversa consapevolezza di ciò che sono il nostro passato e il nostro presente: riservarsi il predominio del futuro vuol dire arrendersi a un universo in cui si è semplicemente gli ultimi figli desiderosi del giorno in cui saremo finalmente orfani, significa insomma deresponsabilizzarsi rispetto alle generazioni precedenti, decidere di non far parte della storia. CHRISTIAN RAIMO

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