I Reggini che inventarono il Rinascimento
Creato il 27 giugno 2010 da Natale Zappalà
La riscoperta delle opere greco-romane costituisce uno dei principali presupposti della civiltà umanistico-rinascimentale dei secoli XV e XVI. Pochi sanno, tuttavia, che prima di Petrarca, Bracciolini, Salutati, Bruni, Poliziano e compagnia bella, furono i nostri Padri Reggini a contribuire decisivamente alla copiatura e quindi alla trasmissione dei più importanti testi dell'antichità classica.Il contesto storico entro cui si realizzò tale, monumentale, opera di divulgazione ai posteri coincide con la Calabria Romea (volgarmente detta “bizantina”), raffinato crocevia fra Oriente ed Occidente, nel lunghissimo periodo che intercorre fra il V e il XIV secolo. Successivamente, i frutti della latinizzazione forzosa e delle manovre di annichilimento culturale imposti dai papi romani o dai barbari conquistatori Normanni, Svevi, Angioini o Aragonesi, si possono rintracciare sino ai nostri giorni, nell'imperante quiescenza da parte dei posteri, al richiamo della vera identità e del vero modus vivendi, propriamente reggino.Alle radici del Rinascimento si trova dunque l'impegno culturale promosso dai religiosi italo-greci, all'interno dei numerosi centri monastici ed ecclesiali disseminati nel territorio reggino. I libri, del resto, erano gli unici beni che potevano essere posseduti dai monaci asceti, affinché la lettura e lo studio ispirassero nuovi principi di vita e di azione. Coltissimi, nonostante la semplicità e la povertà dell'esistenza che conducevano, erano Elia lo Speleota e il suo omonimo nativo di Enna, Nilo da Rossano o Cipriano da Calamizzi (medico anagiro, cioè non si faceva pagare per le sue cure), annoverati fra i più importanti santi italo-greci di ogni tempo.Presso il monastero di San Nicola Calamizzi (che sorgeva sull'omonimo promontorio, sprofondato nel 1563, frontistante l'area compresa fra l'attuale zona Tempietto e la Stazione FS Centrale), a San Giovanni Theristis di Stilo, a Seminara ed a Sant'Eufemia d'Aspromonte, sorgevano gli scriptoria, i centri di copiatura dei codici, ove gli amanuensi – Basilio Reggino, Costantino Prete, Daniele, Filippo di Bova e Roberto di Tuccio, per fare qualche nome illustre – esercitavano la calligrafia (la “bella scrittura”), l'arte di trascrivere le opere antiche, superando per stile ed ornamenti la bellezza dello stesso testo originale; non è un caso che proprio sulle rive dello Stretto si sia diffuso il cosiddetto “Stile Reggio”, celebre per la raffinata tipologia di scrittura e per i superbi codici miniati.Si copiava di tutto, in maggioranza testi liturgici e religiosi in genere (letteratura patristica, agiografie, regole monastiche e trattati ascetici), ma anche trattati di medicina, retorica, matematica, logica e storia, raccolte poetiche, romanzi o esegesi sui poemi omerici, oltre alle più autorevoli opere della classicità pagana, considerata un'età preparatoria all'avvento del cristianesimo. Spesso, tali centri monastici fungevano da vere e proprie scuole – e, in certi casi un determinato centro funzionava come uno studium, cioè università, anticipando di molto gli atenei di Bologna o Pavia – a beneficio della popolazione locale.Il tutto mentre nel resto dell'Europa Occidentale, specie nei secoli X-XI, l'epoca d'oro degli scriptoria reggini e calabresi, imperavano i malcostumi e l'ignoranza dei barbari Franchi o dei sovrani germanici, mentre a Roma un'analfabeta, la disinibita Marozia, pilotava l'elezione dei successori di Pietro (il celebre periodo della pornocrazia papale).Oggigiorno, i codici trascritti nel Reggino – ne sono pervenuti circa un migliaio – affollano gli scaffali delle principali biblioteche del mondo, dopo aver decisivamente influito sul progresso della scienza e del pensiero moderno. Lombroso e i suoi non pochi seguaci odierni (alcuni di essi sono persino docenti universitari), convinti della naturale inclinazione all'inferiorità da parte dei meridionali, hanno dunque sbagliato la diagnosi: non siamo inferiori, ma semplicemente quiescenti, persino quando l'indifferenza e la stagnazione della nostra cultura sono le cause prime della nostra condanna.
In foto, Monastero di San Filarete e San Elia da Enna (Seminara di Palmi), uno degli antichissimi scriptoria disseminati nel territorio reggino
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