I Regnum di Andrea Valle e Mauro Lanza

Creato il 06 luglio 2015 da The New Noise @TheNewNoiseIt

12/6/2015 – Firenze, Limonaia di Villa Strozzi (la foto in evidenza e sullo slider è di Melissa Dullius).

Serve munirsi di antenne ben dritte quando da captare ci sono le perturbazioni elettricoacustiche di Mauro Lanza e Andrea Valle. Quest’ultimo è ricercatore/musicista di Torino a cavallo tra improvvisazione e algoritmi, mentre il primo è compositore dall’invidiabile curriculum, residente in Germania.  Quello che sotto i nomi delle loro due composizioni Regnum Animale (2013) e Regnum Vegetabile (2014) si para davanti al pubblico ha l’aria insolita di una fauna cibernetica.
C’è della lucida premeditazione nell’accerchiare i tre (per altrettanti archi) e poi sei (per i medesimi archi e fiati assortiti) esecutori dell’ensemble Mosaik con un’orchestra comandata a colpi di click e fatta di strumenti elettromeccanici (per questo prima, non senza far accapponare la pelle di qualcuno, scrivevo “elettricoacustiche”) “di fortuna”, come zampogne composte da flauti dolci e asciugacapelli, coltelli elettrici, spremiagrumi, giradischi… È un ripensare la computer music nell’ottica di una duttilità strumentale che, come una nuova stagione dell’estetica bense-iana, arriva per sferzare quegli stessi giardini “contemporanei” affidati all’incuria di rivoluzioni implose nei loro stessi repertori.  A quella stessa emancipazione del materiale sonoro che in tempi più sospetti, riflettendo anche soltanto sul trattamento che il pubblico talvolta riservava per quei componimenti ingegneristici di Varèse, sortiva lo stesso effetto di un caotico fare a pugni con suoni che volevano essere musicali, viene riconosciuto lo status “magistro” all’interno di una ricerca che raggiunge il proprio “livello di integrazione adeguato alla coscienza progredita” (Max Bense, Estetica).

D’altronde lo sappiamo: spesso la diacronia storica si rivela in stupefacenti sincronie logiche.

Come per lo scorso settembre, in occasione del Tempo Reale festival, grazie a Sara Bertolozzi è stato possibile rivolgere ad Andrea Valle e Mauro Lanza delle domande sulla loro musica e sul concerto. Chi vorrà proseguire spero possa trovare gli stessi buoni motivi che, più solitamente, lo spingono a leggere, in questa sede, di musica black metal o elettronica.

Ciao Andrea. Il tuo percorso da musicista parte dall’improvvisazione, mentre negli ultimi tempi gran parte della tua attenzione è ricaduta sull’utilizzo dei computer e sulla implementazione di Arduino. Mi pare però di aver capito che nel tuo caso questo non abbia significato virare dalla “impro” alla “computer music”, anzi. In un’intervista del 2009 dicevi: “… non ho ancora risolto definitivamente il problema dell’uso del calcolatore rispetto all’altro ambito che mi interessa, l’improvvisazione”. Considerando che nello stesso anno di quell’intervista eri con gli AMP2, finendo poi l’anno successivo in Musica Improvvisa (Die Schachtel, 2010), quanto è stato, o quanto continua a essere, difficile coniugare questi due aspetti? 

Andrea Valle: In effetti quell’intervista a soundesign.info è arrivata esattamente in un momento di passaggio. Dal tardo 2008 ho iniziato a sviluppare progetti di physical computing, di computazione orientata agli oggetti fisici, il cui primo esempio è il Rumentarium, un’orchestra di 24 piccole percussioni, che dalla primavera 2009 ho usato estensivamente proprio per l’improvvisazione. Di lì in poi sono fortunatamente (e fortunosamente) riuscito a coniugare un insieme di interessi che in precedenza viaggiavano su binari paralleli se non divergenti. Cioè la dimensione performativa, interattiva dell’improvvisazione (che per me ha sempre una vocazione di “rapidità” strumentale, in fondo il mio modello è il free jazz), la fisicità dei corpi sonori, l’uso di materiali comuni, recuperati o autocostruiti (avevo iniziato nel ’95 a fare una sorta di musica concreta improvvisata su oggetti), la prospettiva di controllo computazionale/algoritmico. Dal Rumentarium in poi, ho spesso (quasi sempre) allestito sistemi di oggetti allo stesso tempo controllabili dal vivo (secondo una logica strumentale), ma capaci di essere gestiti anche secondo altre strategie, molto più “astratte” (per installazioni o composizioni). Quindi in questo momento è sempre difficile coniugare computazione e improvvisazione, ma non in termini di prospettiva generale. Lo è in termini di design. Costruire un sistema di oggetti controllabili attraverso il calcolatore è solo il primo passo. Dopo viene infatti la definizione di strategie computazionali che permettano il loro uso dal vivo, cioè la stratificazione del controllo. Ad esempio: ho usato un gruppo di 8 radiosveglie modificate in modo tale che il segnale dall’altoparlante potesse essere aperto o chiuso. Un caso in cui non è che ci sia molta varietà di possibilità. Ho sviluppato tre strategie. Nella prima avevo 8 piccoli altoparlanti collegati agli ingressi della scheda audio, come microfoni. Colpendoli con delle claves e analizzando gli attacchi dei segnali in ingresso, innescavo l’apertura/chiusura della radiosveglia relativa, e potevo trattare le radiosveglie come percussioni. Un’opzione molto più astratta è invece consistita nel selezionare una radiosveglia e inviarle un pattern aperto/chiuso secondo la codifica Morse (io amo molto il codice Morse…). In questo caso, potevo fare live coding molto rapido: selezione radio, definizione testo da codificare in Morse, esecuzione. Infine, ho utilizzato direttamente la tastiera del computer per “scrivere” codice Morse sulle radio: si riesce così ad esplorare la memoria muscolare e linguistica associata alla scrittura (molto rapida) per organizzare il suono (è un’altra strategia che uso molto, la chiamo “keyboard music”). Mi sono dilungato per sottolineare come questo tipo di sistemi richieda (o meglio, permetta, perché io mi diverto) di tenere insieme produzione acustica da oggetti eterogenei e formalizzazione algoritmica. La prima è “incarnata” ma vincolata, la seconda è astratta ma flessibile.

Sei anche stato al fianco di Mauro Lanza per la realizzazione di Regnum Vegetabile e Regnum Animale. Un tipo di output, questo, quanto diverso dal solito?

Andrea Valle: È un tipo di lavoro molto interessante. Intanto nei vincoli e nei risultati, perché c’è la questione del rapporto tra oggetti (rispettivamente 30 asciugacapelli a fiato e 25 animali elettrodomestici, per così dire) e strumenti “tradizionali” (trio, sestetto). Poi c’è il rapporto con la divisione tradizionale del lavoro, che prevede il compositore come soggetto autarchico ed eroico. Proprio rispetto a quest’ultimo punto, a partire da alcuni interessi comuni (la macchina come oggetto, l’incongruo come categoria, il calcolo come metodo) è la prassi operativa che abbiamo allestito che porta alla risoluzione dei problemi compositivi, un anello di retroazione costante fatto di scambi di informazione su tutti i livelli interessati: la costruzione degli strumenti, le tecnologie di controllo, la gestione degli strumenti tradizionali, l’organizzazione complessiva del pezzo, la struttura di ogni singolo numero che lo compone,  e così via. Questo feedback loop è all’origine di tutte le decisioni che caratterizzano i pezzi, dalla scelta delle macchine, alla forma catalogo, fino alle tecniche esecutive per gli strumenti. L’idea di condividere l’autorialità è vicina alle forme comunitarie di lavoro che hanno portato alla crescita dei progetti open source, ad esempio. Tra l’altro la sua dimensione politica viene costantemente fuori: la domanda classica è “chi è che ha composto?”, e la risposta “entrambi” raramente soddisfa l’interlocutore.

Ciao Mauro, grazie anche per il tuo intervento, mi sembra sia andata bene la “prima” italiana dei Regnum, no? Le orecchie del pubblico di Tempo Reale, insomma, si sono rivelate sufficientemente vergini?

Mauro Lanza: È andata molto bene. Pubblico attento, e soprattutto musicisti straordinari (l’ensemble Mosaik). Le condizioni di ascolto – molto importanti per musiche come queste che lavorano talvolta con suoni al limite dell’udibile – erano anche molto buone, e di ciò bisogna ringraziare l’équipe tecnica di Tempo Reale.

Continuando a parlare di computer, Andrea: utilizzi SuperCollider, software che non si comporta proprio come “ambienti” tipo Max/MSP. Ecco, forse voglio unire qualche puntino di troppo, ma considerando che l’altro campo del quale ti occupi è la semiotica, la scelta di SuperCollider è per caso coincisa con l’interesse verso, diciamo, una “oggettivazione del linguaggio musicale”?

Andrea Valle: Non con una oggettivazione, ma con una formalizzazione. La questione della notazione è chiaramente un tema che mi interessa. In realtà, il visual programming è semplicemente un’altra forma di notazione rispetto alla programmazione testuale, e la potenza espressiva in qualsiasi linguaggio è tipicamente definita in informatica rispetto alla Turing-completezza, che è astratta rispetto al sistema di simboli. Quindi, che l’alfabeto sia definito da stringhe di testo o da oggetti grafici bidimensionali, è di per sé irrilevante. Questo a livello teorico. A livello pratico, nell’interazione con il software nella prassi compositiva, la scrittura del codice per me è molto più libera, anche in termini di organizzazione del lavoro. E per me è molto più immediato definire il controllo di flusso (condizionali, iterazioni…) in forma linguistica che non grafica. È più aderente al flusso del pensiero, in cui il linguaggio naturale organizza logicamente i processi: se questo, allora quello, se fa caldo, allora birra dal frigo. Lo scrivi ed è molto più ovvio che non rappresentarlo in altre forme. La questione si riduce al mio interesse principale: la composizione algoritmica. Io prima di tutto organizzo sistemi (che siano fisici o anche interamente digitali, suono incluso) per ascoltarne il risultato. Lavoro desoggettivandomi per stupirmi. Penso che sia il cuore della lezione experimental di Cage (che poi è pure quanto avviene in Xenakis).
A proposito di semiotica, due esempi classici in letteratura sono la ricetta della torta di mele in Peirce e quella della zuppa al pesto di Greimas. Ecco, una ricetta di cucina, che definisce una sequenza time-stamped di passi, ha la sua notazione migliore in forma linguistica. Poi si potrebbe pure dire che l’Ikea è molto avanti nelle istruzioni esclusivamente grafiche (per saltare il problema della traduzione interlinguistica e della competenza che richiede, come avverrebbe per i linguaggi di programmazione), ma nel caso Ikea gli oggetti da manipolare hanno una natura eminentemente spaziale, non temporale come nella gestione dell’audio. Ma forse sto divagando…

Con Vedute Della Luna Scritte In Braille (Nephogram, 2014) hai parlato di computer music without computer sound. Come la parte che hai curato all’interno dei Regnum con Mauro Lanza, è un lavoro composto per residual orchestra, o rumentarium. Sono esperimenti di musica meccanica che hanno qualcosa da spartire con i player piano di Nancarrow o i metronomi di Ligeti o, ritornando all’argomento sopra, si può anche parlare di una “nova” musurgia mirifica?

Andrea Valle: Come dicevo prima, il dispositivo produttore di suono è ciò che mi affascina. Sono certamente esperimenti di musica meccanica, e sia Ligeti che Nancarrow (con Cage e Partch, la mia trimurti americana) sono dei riferimenti. C’è un doppio interesse. Da un lato un interesse acustico. C’è una meraviglia acustica che si tratta di rendere pertinente nell’oggetto, un sistema di virtualità che esce dall’ordinario musicale proprio nel momento in cui origina dall’ordinario mondano. Il “mirifico”, la meraviglia barocca, è certamente una categoria che mi appartiene. Ovvero: come suona uno spremiagrumi? C’è uno sfondo antropologico, che è in qualche modo generale, per cui tutti gli strumenti sono riconducibili a poche categorie organologiche. Ma allo stesso tempo, qualsiasi oggetto riconducibile alle stesse categorie è uno strumento.
Dall’altro lato c’è un interesse per il controllo. Nel mio lavoro seguo il motto varèsiano: organised sound. Nella musica, il suono è organizzato. L’ostensione del suono *in quanto tale* (che spesso si riversa in una mistica del suono a cui sono allergico) non mi interessa. Quest’idea del controllo (ma anche, e forse soprattutto, delle sue proliferazioni aberranti che da lì si rendono possibili, ovviamente) è in effetti piuttosto barocca.

Mauro, è facile intuire delle analogie tra i due Regnum e un’altra tua composizione “Le Nubi Non Scoppiano Per Il Peso”. In quest’ultima al computer veniva deputato il compito di regolare la fuoriuscita di gocce d’acqua da delle sorte di pipette Pasteur sferiche. Immagino però che il filo conduttore che attraversa la tua opera tutta sia ben più sottile.

Mauro Lanza: “Le Nubi Non Scoppiano Per Il Peso” (2011) è effettivamente il primo mio pezzo in cui il computer controlla sistemi meccanici: un grande serbatoio d’acqua è appeso a circa 6 metri di altezza e 14 elettromagneti controllano l’apertura e la chiusura di altrettanti rubinetti che fanno gocciolare acqua su diverse superfici (si va dal campanaccio intonato, al rin giapponese che si riempie progressivamente, alla placca da campeggio elettrica che vaporizza all’istante la goccia caduta). Ma già uno dei primi pezzi che ho scritto, “Barocco” (la cui prima versione data 1998), mette in scena un variegato catalogo di strumenti giocattolo e oggetti sonori provenienti dal nostro quotidiano. Anche se è assente la componente meccanica che si ritroverà in opere successive, l’idea di fondo è la stessa di pezzi come Regnum Animale: da un lato c’è la volontà di utilizzare materiali impuri, cercare di dare una logica musicale a suoni che, per loro natura, sembrano refrattari a qualsiasi organizzazione (che sono, per dirla con le parole di Pierre Boulez nella sua critica agli objets sonores di Schaeffer: “troppo caratterizzati nella loro singolarità per mettere in valore un’eventuale struttura musicale che li unifichi”); dall’altro il ricorso sistematico a un sistema di riproduzione imperfetto. Gli strumenti giocattolo di “Barocco” sono scelti proprio in virtù della fragilità della loro fattura e della loro limitatezza. Similmente, l’uso che ho fatto della sintesi per modelli fisici negli anni 2000 è stato una deliberata ricerca del “side effect”, del parassita sonoro che normalmente si cerca di evitare. Anche certe tecniche strumentali di cui mi sono servito (ad esempio l’uso della preparazione per gli strumenti ad arco, ben presente nei due Regna) sono una volontaria perturbazione introdotta nel sistema (già di per sé tutt’altro che lineare) testo -> interprete -> suono. Con l’uso di un controllo digitale, il contrasto fra la purezza binaria della partitura informatica e la poetica, toccante inadeguatezza dei sistemi meccanici che cercano di riprodurla, risulta ancora più acuito.

Andrea, in un tuo studio sulla residual orchestra accennavi alla TMO (tecnica mentre opero) di Bruno Munari. Il risultato che ottieni così sembra una sorta di sculture sonore fai-da-te; una improvvisazione dello strumento? Senza considerare che una prassi del genere si adatta anche a una sorta di “arte povera” installativa. Tra l’altro Marx in “Per la critica dell’economia politica diceva”: “… la produzione non produce solo l’oggetto del consumo ma anche il modo di consumo…”.  È ora di cominciare a tradire la macchina?

Andrea Valle: La macchina che produce musica, che si sostituisce all’umano, è interessante proprio nel momento in cui non occulta se stessa, ma si rivela in quanto macchina. Tornando al barocco, l’automa barocco innesca la meraviglia nel suo celare e insieme ostentare il macchinico. In tutti i miei progetti, non c’è nascondimento della macchina, ci sono cavi a vista, ammassi di cose, al limite c’è una dichiarazione della prassi costruttiva. Più che al tradimento, penso alla “refabrication”, la rifabbricazione, che cambia statuto dell’oggetto, ma tiene in memoria il suo passato. Preferisco una visione costruttiva a una critica. L’idea di Munari è quella di una prassi tecnica che si produce costantemente nell’interazione col mondo, una intelligenza delle piccole cose. Un’altra delle mie citazioni preferite è da Tinguely, “Il sogno è tutto, la tecnica è niente”, perché la tecnica si impara (detto da Tinguely che costruisce macchine). E Munari glossa: si impara mentre opero. Questo tipo di attitudine è all’ordine del giorno nei movimenti diy. Senza eccedere negli entusiasmi, la trovo una prospettiva liberante.
A proposito di Arte Povera, un mio riferimento è Alighiero Boetti (la cui associazione al poverismo è in effetti solo iniziale). Boetti definisce processi tecnicamente facili (anti-“artistici”) in maniera strettamente formale: ad esempio, procedure di riempimento di scacchiere, che si possono fare su tappeti kilim ma anche sul foglio di carta con la matita. Oppure grandi fogli da riempire totalmente a biro, ad esclusione di alcuni segni. Lo possono fare tutti (Boetti non lo fa, perché si annoia, e allora lo fa fare ad altri: io uso il computer apposta). Lo statuto di certi lavori di Boetti apre prospettive curiose per la questione economica della proprietà intellettuale. Ad esempio, c’è uno schizzo su carta costituito da una segno continuo di matita che riempie un quadrato in diagonale, “Quadrare diagonando”. Volevo includerlo in un articolo, ma mi è stato detto dalla Fondazione Boetti che dovevo pagare per i diritti dell’opera. Allora l’ho rifatto io, e ciao. L’opera è tutta nel processo descritto dal titolo, è allografica, si potrebbe dire (Annemarie Sauzeau Boetti ha apprezzato). Come dice Boetti, “Non marsalarti”.

Battute finali. Progetti in cantiere? Volete dirvi qualcosa, levarvi qualche sassolino dalla scarpa?

Mauro e Andrea: Regnum Lapideum vedrà la luce nel 2016, grazie all’ensemble francese 2e2m, che commissionerà l’opera. Si tratterà di un pezzo che segue la logica dei precedenti, scritto per ensemble e insieme di oggetti elettromeccanici, sempre con il riferimento alla struttura del catalogo. Per quanto riguarda gli oggetti, un’ipotesi è quella di includere corde e percussioni, così da costituire una sorta di complemento agli altri due pezzi. Ma ovviamente, come si diceva prima, improvviseremo molto cammin facendo, in funzione dei vincoli e delle possibilità che emergeranno.
Ci sarebbe poi l’idea, abbastanza utopica, di concludere il ciclo con un “tutti” finale, un quarto regno che includa gli altri tre e che dovrebbe chiamarsi “Fossilia”. In altri termini, Fossilia dovrebbe prevedere un ensemble di musicisti e l’uso di tutti e tre i setup elettromeccanici precedenti insieme. Per Linneo, Fossilia non è un quarto regno, infatti era originariamente inteso dal naturalista svedese come una articolazione del regno minerale. Però il fossile è nella nostra prospettiva un concetto terminativo interessante per il ciclo. Infatti, il fossile è una sorta di riduzione omogeneizzante al minerale dell’animale e del vegetale. O anche, è un minerale propriamente detto, ma tiene in memoria le morfologie del vivente – sia esso animale o vegetale – che ne sono all’origine. Comunque, non abbiamo sassolini, preferiamo concentrarci sui minerali.


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