I ricci del Cristo – Omaggio a Pablo Neruda

Da Thefreak @TheFreak_ITA

Inizia così. Con un uomo seduto su un molo.

Acqua e pietra a scontrarsi e a darsi tregua, è questo uno di posti in cui puoi certamente aspettarti qualcosa. Una nuova notizia, uno straniero coi baffi e l’impermeabile bagnato che odora di mare, onde che travolgono, spazzano anche ciò che non è aggrappato alla terra, che non si vede. Volentieri lo lasceresti andar via, a liberarti.

Su un molo c’è chi attende anche solo un altro giorno o si incanta a vederlo morire, mentre è lì con il rischio che vengano a trovarlo ricordi lontani, ora tanto vicini e veri da rubare il fiato.

Una volta, era arrivata persino una bella donna, scesa giù dal battello con un cappellino di pizzo e volants, tante luci di perle sul petto e due occhi neri come il buio che ti senti dentro in certi momenti, accecanti quanto il dolore, a tramortirti come la sorpresa di un dramma. Non potevi starla a guardare troppo tempo negli occhi quella donna, ti saresti presto perso.

Lei, scendendo giù, aveva visto l’uomo che stava a guardare verso il mare, seduto sul molo. La barba lunga e nera, i capelli ricci di vento. Le era sembrato l’immagine del Cristo crocefisso nella cappella di Monte Vidello, molto più bello di ogni altro uomo, la stessa aria sofferente. Scendendo dal battello la donna gli era voluta passare davanti e gli aveva sorriso inclinando un poco il capo. Occhi insistenti, come a voler forzare un portone, ma lui non se ne era neanche accorto, fissato com’era con lo sguardo trascinato sull’orizzonte.

Lei, allora, dopo aver cercato lì dove cadeva l’attenzione di quel Cristo rapito, gli aveva augurato il buon giorno, tanto per farsi guardare. Lui si era voltato con aria distratta e l’aveva vista, anche gli occhi le aveva visto, ma senza osservarla, solo un’istante.

Con delusione, poi, era tornato a dedicarsi al mare.

Continua così. L’uomo sta seduto sul molo.

A volte si alza in piedi, fa su e giù ed i suoi passi sono nervosi. Si sposta ripetutamente i capelli indietro, trascinati dal vento. È mattina presto e l’aria è fredda e già umida.

Questo mare non dà tregue, ti ruba ogni parte, permea fino all’ultimo angolo libero di te.

L’uomo, però, non si lascia sedurre, il suo è un corteggiamento che chiede in cambio la pace.

Il miracolo.

È una storia che parla di assenza, questa.

Una nostalgia scorre a partire da quel punto del molo dove l’uomo sta a guardare l’orizzonte.

Cosa nasconde la linea tra il cielo e il mare?

Per saperlo si dovrebbe passare per le narici del naso, infilarsi tra le labbra, in mezzo a quello spazietto vuoto tra due denti. Conoscere i segreti della mente non basterebbe, per sentire come quest’uomo servirebbe la velocità del suo respiro, il ritmo di un battito che scorre per tutte le vene, il sapore dell’aria e il tepore asciutto delle tasche del cappotto, solo allora, sul quel molo, si vedrebbero due grandi occhi verdi.

Del verde del mare in tempesta, macchiati di giallo come lo sono i prati in bufera di Van Gogh.

Questo amore di occhi verdi è lontano, oltre la linea. L’orizzonte lo nasconde inesperto, non ci riesce. L’animo non si perde. Il pensiero resta impigliato, ancora, sull’ultima onda.

Uccelli amici.

Portano via sulle loro ali i pensieri miei di un’intera giornata finita su un molo a chiederti al mare. Alla sera, dentro il tramonto, spariscono oltre cielo, neri d’ombra. Arriveranno mai da te?

Un pavimento di pietra freddo e salato.

Anche qui è l’amore, su ogni barca attraccata, nelle mani di un pescatore agganciate alla rete, dentro le ceste piene e pesanti. E’ amore persino al suono di queste campane che accompagnano alla messa del pomeriggio, è nella schiuma verde che sale dall’acqua e nell’umidità che penetra le mie ossa. Ti sto amando anche in quella nuvola grigia dai contorni di luce, la osservo senza poter dire a cosa assogmigli. Tu sei così distante.

Panchine vuote.

Si dovrebbe essere tristi. La sera è già qui. Le ultime barche si avvicinano e si fanno agganciare, a casa c’è qualcuno che aspetta. Il mare d’inverno si mette nudo e si lascia guardare.

Io sono solo.

Siamo soli. Io e il tuo fantasma plasmato di ricordi.

Ti mando i miei baci, da qui, e un’euforia mi investe, è il segreto dell’anima. So che ti arriveranno. Arrossisco.

I polmoni si riempiono, è odore dei miei ricordi, di acqua dolce e poi gelsomino.

La presenza del mare, ultimo ostacolo, finalmente, mi abbandona.

Si fa primavera dentro questa sera. Durerà pochi attimi.

Quando si accendono le stelle l’uomo decide di rientrare. Dentro, il cuore, ancora un po’, danza.

Sulla strada in salita del ritorno alti salici dondolano dentro un cielo nero.

La luna è lontana, piccola e pura, come lei.

Tutto canta il suo nome, dei cento che può averne avuti in vite diverse.

Tutto canta lei, insomma, e i giorni uguali si sono dimenticati, si dimenticheranno.

Non è vita quella che si rincorre nel silenzio. Non ci sono ricordi di ieri. Solo si conserva la memoria degli attimi in cui l’ha sentita vicina, istanti di una felicità che ha fatto abbandonare la testa all’indietro, quando lei era lì.

Fame. Quella si che è una compagna fedele.

Mi ha raccolto sin dal risveglio, tormentando già il mio ultimo sonno. È rimasta sdraiata sulla mia spalla sinistra sino alla sera, creatura minuscola ed estenuante nei suoi bisbigli. La sentivo mentre mi trascinavo in casa, non era ancora stanca.

Si è affamati di ciò che manca e forse un tempo si è avuto.

L’uomo non mangia mai solo. Di giorno qualche pescatore gli offre parte del suo pranzo, in una di quelle taverne sta a guardare uomini che bevono in compagnia e per le strade del paese chiacchiera con vecchie signore sedute davanti ai portoni.

La sera, però, la fame è un’altra.

È un bisogno, non solo di un calore cha ha un nome e un odore e due occhi verdi del mare in tempesta. È appetito di chi ci conosce e ci cura, si può aver fame anche solo di una risata o del rumore di piedi scalzi che corrono, di un rubinetto lasciato aperto.

Un dolore sottile precede il sonno: è la mancanza, il pane che questa fame ha portato a casa anche sta sera, come veleno.

Qui ti amo.

È questo l’ultimo pensiero, come una preghiera. A salvarmi.

Ispirato dalla poesia Qui ti amo di Pablo Neruda

E da: Ludovico Einaudi – Nuvole Bianche

di Alessia Rosati All rights reserved 

Tag:alessia rosati, amare, amore, Giovanni Allevi, letteratura, occhio, pablo neruda, panchine vuote, pietra, racconti, salato, Sera, the freak, tramonto, van gogh


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