Magazine Africa

I ricordi di un inviato molto "speciale" / Occasione di riflessione

Creato il 04 maggio 2014 da Marianna06

 

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Tutti noi che amiamo l’Africa conosciamo lui e i suoi scritti, in quanto lo leggiamo da sempre e ne apprezziamo i contenuti stimolanti.

Grazie a lui, abbiamo girato l'Africa in lungo e in largo. E ci siamo innamorati delle sue genti.

Parlo di Pietro Veronese, eccezionale conoscitore d'Africa e di “cose” africane.

Nell’ultimo numero del periodico al femminile  “D” di la Repubblica, Veronese ha scritto un articolo per ricordare  ai lettori la mostra fotografica “One Day in Africa”, organizzata dalla rivista dei Padri Bianchi “Africa” (missionaridafrica.org), per il Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina.

L'evento si terrà a Milano dal 6 al 12 maggio, con la coordinazione di Marco Trovato.

 Nell'articolo Veronese racconta, a proposito della Repubblica democratica del Congo (Zaire quando allora la visitò e per giunta in tempi di guerra),tutto quanto gli fu detto da un diplomatico , a Kinshasa.

E’ interessante riportarne il pensiero, perché poco o nulla  è cambiato da allora a oggi. E semmai quel poco  è in peggio.

Sono vent’anni, infatti, che laggiù si continua a soffrire, a fuggire, e a morire.

E la pace agognata dalla gente comune e promessa dal politicante di turno rimane sempre e solo un miraggio.

Mentre, invece, lo sfruttamento delle risorse e l’arricchimento indebito permane indisturbato e si accresce, facendo divenire i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Oggi come ieri.

E l’ieri è quello, addirittura, della prima colonizzazione. La colonizzazione dei belgi, che più dannosa per le popolazioni locali non poteva essere.

Che si ricorda con raccapriccio, purtroppo, e non soltanto in Congo.

Il diplomatico parlava ( e si riferiva al Congo) - precisa Veronese – di uno spazio sconfinato, di una terra crocevia obbligato, padrona di risorse minerarie immense.

E, ancora, di una quantità d’acqua smisurata.

Un autentico serbatoio del mondo, un potenziale idroelettrico atto a fornire energia all’intero continente, terre che si estendono a un incrocio ideale di latitudini e longitudini che, se opportunamente coltivate avrebbero potuto e potrebbero sfamare l’intera  Asia.

Sono parole che fanno per forza di cose riflettere e non poco sulla cupidigia dell’uomo bianco, sulla sua disumanità di burattinaio che ancora tira i fili delle marionette (almeno lui così crede di poter continuare a fare) e sul suo egoismo, cui l’africano risponde, comunque, con volontà e tenacia e pure negli stenti e nelle difficoltà dei contesti.

Perché l'africano non ha affatto intenzione di arrendersi.

Passi pure- scrive Veronese- che oggi l’Africa convince  gli investitori  avidi di denaro facile e continua ad accumulare all'interno diseguaglianze.

Non sarà certo per sempre.

In finale essa riuscirà a trovare un equilibrio tutto suo.

E certi segnali, a ben guardare, ci sono.

Sono segnali che provengono in particolare dalle nuove generazioni.

Quelle che hanno studiato e che, oltre a desiderare di prendere in mano le proprie sorti, sanno unire tradizione e innovazione.

Una ricetta che, più  prima che poi, è vincente e che darà i suoi buoni frutti.

L'ottimismo è una dote tutta africana.

Non  bisogna dimenticarlo. E, sopratutto, aiuta.

 

 

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                          a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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