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I risultati della campagna mediatica e giudiziaria? Il taglio del rating all’Italia operato da Standard & Poors

Creato il 20 settembre 2011 da Iljester

I risultati della campagna mediatica e giudiziaria? Il taglio del rating all’Italia operato da Standard & Poors

L’Italia passa da una A+ a una A con outlook negativo. Per S&P, l’Italia non è capace oggi di far fronte all’enorme peso del debito pubblico. La manovra è insufficiente (e vorrei ben vedere con 1100 miliardi di euro di debito a fronte di una manovra di appena 57 miliardi), la crescita sarà dello 0,7% contro l’1,30% previsto, il Governo italiano è debole e il parlamento è diviso.
Insomma, i motivi sono più che buoni per tagliare il rating all’Italia. Motivi che, a quanto è dato capire, sono più politici che economici. E di questo non possiamo che ringraziare le sinistre e le campagne mediatiche e denigratorie contro il Governo e il Premier. Quando si è parlato di irresponsabilità dell’opposizione, Standard & Poors, non ha fatto altro che certificare tale grave irresponsabilità. E il risultato è tangibile.
Eppure, i danni provocati al nostro paese che hanno determinato il declassamento devono essere ricercati nell’antico. E cioè in quella stolta ideologia keynesiana secondo la quale gli Stati devono spendere e spandere senza limiti per ottimizzare il benessere sociale. Keynes, così amato dalle sinistre, ha rovinato parecchie nazioni. L’Italia più di tutte, visto che da noi il mito della spesa pubblica, così adorato e osannato dagli ex-post-ante-comunisti, è tutt’oggi un ideale da perseguire; un ideale che ha prodotto una montagna di debiti più alta dell’Everest.
La colpa però è sempre di Berlusconi e delle sue donnine. Già. Proprio sua. Eppure, quando la spesa pubblica lievitava come il pane, Berlusconi era nessuno, e a infiammare le piazze c’erano personaggi come Togliatti, e poi Berlinguer, e gli eserciti di sindacalisti e politicanti che sostenevano la lotta di classe e l’esigenza di creare occupazione e benessere economico con i soldi di tutti. Mica con il sudore e la fatica. No, con i soldi di Pantaleo. Perché altrimenti lo Stato era uno Stato fascista. Così via alle spese pazze, alle leggi che disponevano finanziamenti a pioggia, alle assunzioni di massa nel settore pubblico, alla contrattualistica che blindava i posti di lavoro a prescindere dal merito, dall’efficienza e dal rendimento del dipendente. Via ai privilegi di classe, al concertazionismo, e all’aumento indiscriminato della pressione fiscale, sul presupposto sballato che gli sprechi non si eliminano, ma si coprono, perché ormai hanno dato origine a diritti e aspettative. Insomma, tutto fuorché l’oculatezza, il risparmio e l’efficienza.
Ma torniamo a S&P che taglia il rating dell’Italia. Fermo l’aspetto economico, come ho più su anticipato, la nota società di rating pare abbia censurato il nostro paese per via (soprattutto) della debolezza del Governo e del Parlamento. Un giudizio inusuale, perché è un giudizio profondamente politico. Un giudizio che la dice lunga sulla nostra informazione e sull’atteggiamento profondamente anti-italiano (in chiave antiberlusconiana) delle opposizioni. Le quali, anziché tentare la via della collaborazione e della tregua, hanno incrementato il livello dello scontro, sfruttando al massimo le notizie gossiparo-giudiziarie che puntualmente venivano pubblicate dai loro giornali e che provengono da quel di Napoli. Perché – si sa – è di vitale importanza per la nostra economia sapere se Silvio ha fatto sesso con Tizia, Caia e Sempronia, e se in cambio di tali prestazioni, ha fatto loro qualche regaluccio oppure le ha fatte lavorare in qualche trasmissione Tv. Mentre è scarsamente importante collaborare per tutelare l’immagine e l’economia dell’Italia, dinanzi a una delle più gravi crisi internazionali con forti connotati di speculazione.
L’irresponsabilità è gravissima. Non tanto per il rating in sé (ma chi se ne frega, dico io?), quanto perché ci sono investitori che ci credono nelle minchiate del rating. Appare chiaro perciò che siamo in una situazione economicamente difficile, perché ora qualcuno penserà di investire i suoi din din all’estero, magari in Cina, anziché nel nostro paese. E di questo – ripeto – dobbiamo ringraziare le sinistre che hanno fatto di tutto affinché accadesse. Ma del resto, nella loro distorta ideologia di supremazia etica e ideale, è più importante che Berlusconi cada, seppure questo comporti (o rischi di comportare) il danno collaterale della caduta dell’intero paese. Come dire: muoia Sansone (Silvio) con tutti i filistei (l’Italia)… Sic!

 

di Martino © 2011 Il Jester 


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