Quale identità avrebbero gli uomini, nello spaccato goldoniano di cultura settecentesca, se mancasse il "sesso debole" su cui sfogare la frustrazione di un tirannico potere impositivo? Lunardo, Maurizio e Simon, in tutta la loro tracotanza quasi selvaggia, trovano ragion d'essere grazie a quella stessa condizione di mariti e di padri da cui prende le mosse l'atteggiamento tirannico che li rende "padroni". L'obiettivo è uno solo: conservare, con gelosia ossessiva, il controllo su ogni bene di cui reclamano a gran voce il possesso; legittimare, quindi, all'interno della rispettabile società borghese, quella piccola comunità familiare costruita con le loro mani e poi riposta, al sicuro, all'interno di quattro mura. L'unica virilità che soccombe sotto i colpi sferzati dalla mano femminile è quella di Canciano, "castrato", a ogni tentativo di presa di posizione, da sua moglie, la quale dà presto avvio a un piano architettato nella più fine scaltrezza di cui solo la donna sa fare uso. Perché la furbizia è l'unica qualità che permette alle prigioniere di fuggire, per un breve ma intenso momento, dai propri aguzzini, inventando nuove regole del gioco all'interno della tipica situazione carnevalesca del rovesciamento dei ruoli: le donne pensano, discutono, pianificano e passano all'azione, realizzando una farsa ingenuamente spassosa e commovente.
È facile comprendere come, in fin dei conti, questa commedia maschile si riveli così poco maschilista: magari le donne non riusciranno a ottenere la libertà di andare a teatro e partecipare a feste mondane tutte le volte che lo vorranno, ma, almeno in un'occasione, sono riuscite a sovvertire le regole, affermando con una prepotenza delicata ma ferma il bisogno di essere amate, e non comandate. Le donne vincono, gli uomini sembrano placare la bile in subbuglio. Ma forse non è del tutto corretto parlare di lotta, perché in ballo c'è un'esigenza che sovrasta qualsiasi capriccio sessista: il rispetto, di cui Goldoni, per l'intera commedia, ci mostra la varietà di opposti. E noi certamente ridiamo, e tanto. Ma il fiato mozzato dalla risata si lega, con un'ironia amara, alla mancanza di aria fresca di quelle donne recluse, che vivono di sogni, di rimpianti e di rimorsi. Un mondo estremamente delicato, in cui la rozzezza degli uomini è solo una stonatura.
Per le immagini inserite in questo articolo si ringrazia il Teatro Stabile di Torino - Fotografie di Bepi Caroli
da I Rusteghi di Carlo Goldoni
Traduzione e adattamento: Gabriele Vacis e Antonia Spaliviero
Regia: Gabriele Vacis - Composizione scene, costumi, luci e scenofonia: Roberto Tarasco
con Eugenio Allegri, Mirko Artuso, Natalino Balasso, Jurij Ferrini
e con Nicola Bremer, Christian Burruano, Alessandro Marini, Daniele Marmi
Produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino - Teatro Regionale Alessandrino
Torino, Teatro Carignano, dal 28 febbraio all'11 marzo 2012