Nel dicembre del 2013 abbiamo partecipato alla seconda edizione della Escuelita Zapatista. A vent’anni dal levantamiento del 1 gennaio 1994, giorno in cui veniva ratificato il Trattato di Libero Commercio tra Messico e Stati Uniti (NAFTA), il movimento zapatista ha convocato un secondo momento di incontro umano e politico, dopo quello dello scorso agosto, con attivisti di ogni età e provenienza. Insieme ad altri 2200 compagne e compagni siamo stati ospitati per una settimana dalle famiglie e dalle comunità in resistenza della Selva Lacandona e della zona de los Altos de Chiapas, cercando di cogliere il senso profondo della loro esperienza di autonomia attraverso la condivisione materiale e il lavoro quotidiano.
Insieme a Gustavo abbiamo deciso di ripercorrere una di queste in particolare: l’insurrezione che nel giugno 2006 occupò la città, dando vita alla Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca (APPO), e ne trasformò in maniera irreversibile il volto e la storia. Ci sembra che alcuni elementi di questa esperienza radicale possano fornire una chiave d’analisi utile a comprendere ciò che nel sud del Messico si sta muovendo ora, dall’escuelita zapatista all’imminente data del 31 maggio che vedrà intellettuali di rilevanza mondiale, tra cui per esempio Immanuel Wallerstein, Raul Zibechi, John Holloway, partecipare a un incontro internazionale in territorio zapatista. All’interno di questo quadro, crediamo che la storia della APPO sia utile per sbarazzarci del romanticismo che ha spesso avvolto lo sguardo occidentale, senza tuttavia perdere l’estrema ricchezza di questi movimenti. Come ci disse un piccolo artigiano incontrato vicino alla Iglesia de Santo Domingo, “a Oaxaca c’è un prima e un dopo la APPO”.
Il racconto di un’insurrezione
Lo sciopero degli insegnanti della Sección 22 di Oaxaca e il malcontento generale verso il governatore della città, Ulises Ruiz, sono all’origine delle mobilitazioni che portarono il popolo oaxaqueño a combattere barricata per barricata la polizia federale. Cosi Esteva ci ha raccontato la dinamica che accese l’insurrezione: “Il 1 maggio 2006, come ogni anno in quella data, i maestri della Sección 22 si accamparono nello zocalo [piazza centrale] per portare avanti le loro rivendicazioni sindacali. Quella volta, tuttavia, l’accampata assunse un carattere permanente”.
La lotta dei maestri, per le specificità della storia del Messico, non è riconducibile a un conflitto corporativista, legato unicamente a questioni salariali, ma si è da sempre intrecciata con relazioni sociali più ampie. Ci spiega Esteva che la figura del maestro è sempre stata vista, in Messico, nei termini di “lottatore sociale”. Un primo momento costitutivo della centralità sociale del maestro va sicuramente rintracciato nel progetto cardenista, presto abortito, di socialismo messicano negli anni ’30. Durante il mandato del presidente Lázaro Cárdenas (1934-1940), i maestri parteciparono attivamente al processo di ripartizione delle terre, furono attivisti nelle comunità indigene e in un’epoca successiva emersero come forte componente sociale di opposizione in occasione del grande sciopero sindacale nazionale del 1958. A partire da questa importanza storica cerchiamo quindi di comprendere la solidarietà che gli insegnanti ricevettero quando, dopo un mese di aggressiva campagna del governatore contro lo sciopero, il 14 giugno 2006 questi decise di reprimere e sgomberare il presidio usando la forza e mandando la polizia. Il giorno seguente una grande manifestazione di piazza contro il governatore portò alla radicalizzazione del conflitto. Quando lo sciopero della Secciòn 22 fu represso, dunque, la gente scese in strada non solo per solidarizzare con gli insegnanti, ma soprattutto per manifestare un dissenso politico più ampio contro il governatore Ruiz, diventato il bersaglio principale della protesta.
Vista la grande partecipazione, i maestri e il sindacato convocarono una grande assemblea per reagire alla repressione nello zocalo ed allargare la protesta. “Il 20 giugno si fecero due cose: si propose un’assemblea popolare del popolo di Oaxaca, che corrispondeva più o meno all’idea tradizionale per questo tipo di mobilitazioni; poi, quando la sezione 22 dichiarò conclusa l’assemblea, la gente si rifiutò di tornare a casa. Così l’assemblea si converti in un meccanismo permanente.” Lo scarto che produsse la costituzione della APPO sta proprio nella coesistenza, durante tutto il periodo della mobilitazione, di due correnti: da un lato quella verticistica, seppur variegata al suo interno, del sindacato, che aveva “una tradizione di disciplina e organizzazione strutturata in funzione di autorità interne”, dall’altro un movimento molto ampio e antico che proveniva dalle comunità, indigene e rurali, dello stato di Oaxaca.
Gli indigeni
Esteva ci fornisce qui un quadro efficace: “Oaxaca, avendo meno del 5% della popolazione messicana, ha però un quinto dei municipi del paese. Questo avvenne per due ragioni: in primo luogo perché, a causa della resistenza indigena, lo stato dovette dividere i municipi per meglio controllare la popolazione; in seguito queste stesse popolazioni cominciarono a dividere tali municipi in modo che fossero coerenti per loro. Il municipio, dunque, nato come meccanismo di controllo dell’epoca coloniale e poi dello stato messicano, divenne uno strumento di autonomia dei villaggi, che lo riformularono come modo di esistenza e di governo, e come modo di relazionarsi con lo stato messicano. Mai però erano riusciti, nonostante molti tentativi, ad arrivare a un livello successivo, a organizzare cioè un gruppo di municipi in un’istanza superiore, in qualche modo equivalente alle giunte del buon governo zapatiste, dove si ha comunità, poi municipi autonomi e poi, appunto, le giunte”.
I tradifas
Se la “periferia” della Appo emerse con il fondamentale apporto dei popoli indigeni delle campagne, il “centro” urbano della capitale, quello delle barricate e delle occupazioni massive dei centri di potere politico, mediatico e culturale ebbe come componente fondamentale la grande e complessa categoria del lavoro informale. Per capire il ruolo che questa ha avuto nel corso dell’insurrezione dobbiamo considerare la nozione, ideata dallo stesso Esteva, di tradifas, ossia “trabajadores directos de la fabrica social”. La centralità dei tradifas è strettamente legata alla ristrutturazione neoliberale degli anni ottanta, quando buona parte dei lavoratori salariati e dei contadini confluì nel settore informale urbano: venditori ambulanti, piccoli commercianti e artigiani di strada, venditori di “comida de calle”… L’obiettivo che si dà Esteva è ridare un carattere di classe a questa categoria che è stata a lungo considerata un’appendice precapitalista o subordinata al proletariato. Ci racconta infatti che nel 2006 la vita quotidiana della Comune di Oaxaca, dalle assemblee di barrio [quartiere] alle barricate, dalla raccolta rifiuti all’assistenza sanitaria, era mandata avanti in buona parte proprio dai tradifas. Tuttavia, fino a quando il presidio dello zocalo venne gestito dalla Secciòn 22, “non sempre riuscivano a proiettare la loro prospettiva nei momenti decisionali”. La loro partecipazione si impose quando il sindacato ordinò di smontare le barricate all’arrivo della polizia, e i quartieri si rifiutarono di obbedire. “Reti di mutualismo quotidiano che già esistevano in città, che avevano la loro base sociale nei tradifas, furono riattivate in un contesto diverso dalla APPO”.
Le donne
Ci teniamo a precisare prima di tutto che nell’utilizzare categorie come quelle di indigeni, tradifas, donne, non intendiamo in alcun modo reificarle, considerarle come naturalmente date. Siamo consapevoli che esse da sole non riassumono assolutamente l’estrema complessità del multiforme sfruttamento capitalista contemporaneo. Il fatto che noi le chiamiamo in causa proprio col proposito di distaccarci da ogni idea di avanguardia, come quella che vedeva nei maestri una centralità politica già data, non deve farci cadere nell’errore di sostituire tali categorie sociali alla figura del “luchador social”. Cerchiamo quindi, nel considerarle nel loro apporto fondamentale a un’esperienza come la APPO, di vederle più nella loro funzione disarticolante di certe rigidità ideologiche che in una qualche nuova assolutizzazione transtorica. Teniamo inoltre a precisare che, sul piano concreto, tali categorie non sono mai totali e date una volta per tutte, ma che presentano invece interessantissime intersezioni, per cui non è raro che un soggetto possa ritrovarsi sfruttato, in un luogo come Oaxaca, allo stesso tempo in quanto donna, in quanto indigena e in quanto tradifas.
Cosa ci può dire, oggi, la APPO?
La APPO è stato un momento insurrezionale che va letto attraverso il prisma delle sue eccedenze, del suo sedimento. Le soggettività politiche, i corpi che hanno combattuto in ogni strada sono legati a una lunga storia messicana e, al tempo stesso, non sono contenibili nella tradizione politica che ha animato le lotte in Messico. Di fronte alla figura omogenea del “lavoratore salariato”, Oaxaca ha sancito l’irriducibilità del proletariato alla “classe operaia”. Indigeni, donne e tradifas sono soggetti politici che non possono essere ridotti né al “soggetto rivoluzionario” della tradizione marxista-leninista, né all’indigeno che ritorna alle sue origini perdute. E’ solo sbarazzandoci di questo eurocentrismo che riusciremo a cogliere la natura nuova e intrinsecamente conflittuale di tali soggettività, nate da uno scontro che ha radici storiche millenarie e che tuttavia sempre si ripropone in termini nuovi.
E, lo ripetiamo, in questo processo di articolazione non c’è nessuna “purezza” da difendere, nessuna “semplicità del vivere a contatto con la terra” da rivendicare: c’è piuttosto un intersecarsi di tensioni che attraversa soggettività che continuamente si reinventano all’interno di un conflitto che dura da secoli. Ci chiederemo dunque: che cosa significa la difesa della terra in termini di resistenza al capitalismo? Com’è cambiato questo rapporto con la ristrutturazione neoliberale degli anni ottanta? Ha davvero senso pensare all’autonomia come modello rigido esportabile ovunque? Crediamo sia questa la prospettiva, scevra da ogni pauperismo romantico, attraverso cui guardare con interesse e speranza ciò che si muove ora in territorio zapatista, in particolare all’incontro del 31 Maggio. E per volere ancora, ad ogni latitudine, “para todos la luz, para todos todo”.
Link: Riassunto/Cronologia APPO-Oaxaca 2006: Parte I – II – III