I social network come biblioteche del nulla e nullapoiesi - 1

Creato il 02 aprile 2012 da Sulromanzo

Ricredersi. Mica roba semplice. Ricredersi sulle persone o sui fatti o sugli strumenti che si utilizzano nella vita. Negli ultimi anni ricredersi per me è diventato sempre più sinonimo di scrivere perché mi sto ricredendo: elenco situazioni, le associo con commenti, provo a trarre qualche conclusione che appaia sensata nel momento in cui ce l’ho davanti agli occhi, nero su bianco. Le sorprese non mancano, questa ve la devo raccontare.

Gestire un blog letterario, se il desiderio è capire che cosa sta accadendo ai lettori, se ci sono costanti o differenze nel tempo, significa seguire i dati con riflessione, giorno dopo giorno, tentando di individuare le migliori interpretazioni su quanto accade. E, per essere scrupolosi, strumenti come Google Analytics o Insights di Facebook, fra i numerosi, rappresentano la condicio sine qua non quotidiana di un blogger attento e curioso verso i dati. Se con i miei blog precedenti era divertente imparare senza ossessioni, da quando ho fondato Sul Romanzo, ho provato meticolosamente ad andare oltre l’hobby, scegliendo e valutando giorno dopo giorno strategie di comunicazione, sperimentando nuove strade, scrivendo post ad hoc, cestinando idee fallimentari, una continua ricerca del meglio e del peggio, del migliore e del peggiore, appuntando, redigendo post magari poi mai pubblicati, decidendo con severità che certe iniziative funzionano e altre non funzionano, tutto questo relazionandomi con i desideri di decine di collaboratori.

Detto così Sul Romanzo sembrerebbe un libro di Fabio Volo, che cerca ad ogni costo di coccolare il lettore, andando ad accarezzare il suo cuore e la sua mente attraverso uno studio furbo e malizioso.

Per non cadere in una trappola giustificativa, che porterebbe a un post troppo lungo e noioso che possa sintetizzare anni di interpretazioni, ritengo doveroso dire al lettore che Sul Romanzo è sia curioso dei dati sia intraprendente nelle anarchie, con la speranza di farsi stupire dal lettore. In passato rubriche che sembravano promettere grandi numeri di lettori sono state deludenti, altre invece, in apparenza deboli, hanno annullato i pregiudizi, ottenendo tantissime visite. Subito un’annotazione. Sto cercando di tracciare un percorso, come poco sopra, semplificando al massimo – il rischio che si banalizzi è forte –, perciò non aspettatevi precisione laddove la precisione richiederebbe ben più di qualche post. Ma mi interessa condividere con voi qualche premessa di necessità grossolana per poi comunicarvi una scelta definitiva e non imprecisa.

I social network sono entrati nella vita di molti italiani come il miele attira le api, con quale fine? Esserci, condividere, promuovere, dichiarare, offendere, mostrare. Verbi affiancati in innumerevoli modi, con aggettivi e avverbi, una quantità di parole che forse annienta, nella quantità di parole usate appunto, migliaia di anni di storia umana. Non un fiume di parole, neppure uno tsunami, una galassia di parole. E le emozioni non sono da meno, perché l’amico pubblica un video musicale, che tu replichi o ritwitti e poi commenti, e altri video, commenti, un altro status, un altro twitt, condividi su Google Plus, un’immagine, altri commenti e via così, giorno dopo giorno, per anni. Una tale quantità di informazioni che scuote gli io delle persone rimanendo semplicemente seduti sulla sedia di casa propria.

Chi più chi meno. Diciamocelo. Chi più chi meno.

Sul Romanzo ha voluto esserci, sostenendo da sempre la condivisione, sicuro che più commenti, più lettori, più scambi, tutti più soddisfatti. Davvero soddisfatti?

È soddisfazione discutere con una o più persone per dirsi che non cambiamo idea? È soddisfazione concludere con un  sorrisino un incontro/scontro che ha aggiunto pochissimo in termini di qualità ai commenti di partenza, magari di qualche ora o giorni prima? È soddisfazione sembrare intelligenti, sembrare svegli, sembrare fighi, sembrare belli (per esempio nelle foto), sembrare folli, sembrare sensibili (per esempio con un video), sembrare militanti (per esempio nell’invitare a firmare una petizione), sembrare colti (per esempio con una frase di Umberto Eco), sembrare alla moda (per esempio postando la foto delle nuove scarpe acquistate da poco), sembrare appassionati (per esempio dicendo che si ama una persona alla follia)? Quanti altri sembrare possiamo aggiungere? Sono certo che chi frequenta i social network (Facebook, Twitter, Google Plus, ecc.) si ritrova almeno in una modalità fra quelle citate.

Domanda: quanto l’impulso che ci porta a postare qualcosa in un social network è distaccato dal voler sembrare?

Sembrare. Ecco la parola magica. I social network creano il “sembrare”. Una persona ti sembra in un certo modo, un fatto ti sembra in un certo modo, un libro ti sembra in un certo modo.

Ciò che mi incuriosisce molto è il legame fra sembrare e realmente essere. Consapevole che la contemporaneità si ciba di sembrare, che non reputo il male, fa forse parte del gioco, si pensi alle pubblicità di supermodelle che indossano capi di intimo illudendo che quel capo di intimo possa adattarsi ad altri corpi con il medesimo risultato, gli esempi si sprecherebbero. L’editoria non è immune.

Domani continuerò con la seconda parte.

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