Lo ammetto: pur avendone sentito tanto parlare, specialmente tra gli amici appassionati di viaggi, non avevo ancora visto I sogni segreti di Walter Mitty. Il film di Ben Stiller era ormai da tempo fuori dalle sale quando però mi si è presentata una seconda chance di cui non potevo non approfittare: la sua uscita in Digital HD.
Di cosa si tratta? E’ una nuova forma di distribuzione digitale in cui si possono scaricare (legalmente ovviamente!) i film dai principali store (Chili TV, iTunes, Playstation Network, Xbox Video, Google Play, Cubovision…), per poi vederli anche sul tablet o sul pc di casa (volendo poi c’è anche in Blue Ray e Dvd). Così ho provato, scoprendo in realtà che avevo davanti un film di viaggio, certo, ma non solo: c’erano un po’di temi intrecciati di cui mi sarebbe piaciuto parlarvi, e quindi eccomi qui. Perchè in Walter Mitty c’è anche il racconto, e c’è una sollecitazione: il valore delle foto di viaggio, specie quelle delle grandi riviste, ed il loro destino.
Innanzitutto, quello che non sapevo è che il vero Walter Mitty ha radici lontane: Ben Stiller ha tratto ispirazione da quello che è un grande classico della letteratura americana, pur in tutta la sua brevità: “The secret life of Walter Mitty”, un racconto breve, pubblicato nel 1939 da James Thurber. Due paginette, nulla più, che si possono leggere ancora in originale qui, sul sito del New Yorker, dove in effetti il racconto apparve per la prima volta.
Pochi viaggi reali in quella storia, fatta di puro daydreaming per scappare da una realtà monotona e un approccio alla vita troppo ottuso per un sognatore. Il Walter Mitty del ’39 non viaggia, si muove piuttosto in un pomeriggio di compere vessato da una moglie petulante, ma ogni scorcio è buono per proiettarlo altrove, con la mente soltanto però (dalla Us Navy all’Europa sotto le bombe). Il Walter Mitty di Ben Stiller, invece, riesce suo malgrado a fare un salto di qualità (e non è in fondo in linea questo con la poetica di Thurber? Immaginare e, quindi, riadattare?): il suo viaggio metaforico diventa reale. E prima la New York ma soprattutto gli scenari naturali poi, di Groenlandia, Islanda, Himalaya, che bucano lo schermo, lui li vede davvero.
Se avete visto il film, conoscete la trama: Walter Mitty lavora come archivista nella (mitica) rivista di fotogiornalismo Life ma il momento è – a suo modo – storico: la rivista cartacea infatti sta per chiudere per trasformarsi solo in un sito online. Manca l’ultimo numero, e la foto di copertina per questo addio, e quello che Walter intraprende è proprio un viaggio alla ricerca del celebre fotoreporter Sean O’Connel (interpretato da Sean Penn) e di questa fotografia perfetta. Se però non l’avete visto non vi dico di più!
Vi dico solo che forse non è un caso che a capitarmi tra le mani come primo film da vedere in mobilità sia Walter Mitty, che un po’ dell’incrocio tra opposti fa la sua essenza: realtà e daydreaming innanzitutto. A proposito, io trovo che l’espressione inglese per “sognare ad occhi aperti”, daydreaming appunto, sia ancora più coinvolgente di quella italiana, perchè è come se questa voglia di immaginare e immaginarci, altrove, in un altro tempo, con altre storie, avvolgesse le nostre giornate e rendesse questi sogni più vicini ad essere dei progetti, dei buoni propositi.
E poi, altro incrocio, vecchie pellicole e foto digitali, una certa idea di giornalismo e fotogiornalismo contro le sfide lanciate dal web e dalle nuove tecnologie. E la bellezza, per me senza tempo, dei racconti di viaggio fatti di immagini, i reportage, ma di quelli veri.
A prima vista I sogni segreti di Walter Mitty sembra quindi solo un film per sognatori, quasi un invito a chi ancora non ha fatto un passo avanti, a farlo. Ma in me ha suscitato più di una riflessione. E in voi?