In genere i keynesiani rifiutano la dottrina dell’austerità espansiva come ricetta di applicazione generale. Tuttavia va detto che in alcuni casi essa ha funzionato. Ad esempio è accaduto con Clinton negli Stati Uniti e ora con Cameron in Gran Bretagna. Ma come funziona l’austerità espansiva?
Supponiamo che lo Stato decida di tagliare la spesa sanitaria. Poiché la salute è un bene irrinunciabile, i cittadini saranno costretti a stipulare assicurazioni private. In genere le polizze sono piuttosto care, pertanto lo Stato può incentivare i cittadini attraverso sgravi fiscali e garantendo i prestiti necessari alle famiglie per stipulare le polizze. Lo stesso principio può applicarsi a molti altri settori della spesa pubblica come l’istruzione, l’edilizia popolare, la previdenza. L’esperienza anglosassone sembra indicare che le garanzie pubbliche per i prestiti sono una ricetta quasi infallibile per alimentare una bolla immobiliare o i debiti studenteschi.
Lo Stato quindi da un lato taglia la spesa, ma dall’altro incentiva i cittadini a spendere di più, indebitandosi. La spesa pubblica è sostituita da (maggiore) spesa privata, il debito pubblico è sostituito da (maggiore) debito privato.
Ecco quindi che l’austerità può essere espansiva, a certe condizioni. Il prezzo è l’instabilità economica e il potenziale fallimento di milioni di famiglie.
Il governo Renzi ha annunciato che razionalizzerà la spesa sanitaria evitando soprattutto gli sprechi. Ma siamo sicuri che – come altre volte accaduto – ciò non si traduca in tagli alle prestazioni essenziali? Se così fosse, gli annunciati “risparmi” rappresenterebbero proprio il tentativo di applicare il principio dell’austerità espansiva.
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