I talebani dei Musei Capitolini

Creato il 27 gennaio 2016 da Andreapomella

Nel 2001 i talebani fecero saltare in aria i Buddha di Bamiyan in Afghanistan, denunciando le sculture come idolatre. Nel 2016 gli uomini del Cerimoniale di Palazzo Chigi hanno coperto le nudità delle statue dei Musei Capitolini per non urtare la sensibilità della delegazione iraniana. La differenza non è tanto marcata. Le statue dei Musei Capitolini sono integre, certo, mentre i Buddha di Bamiyan non esistono più. Eppure alla base dei due gesti c’è lo stesso impulso: entrambi sono atti di negazione. Ogni affermazione di un’identità implica la negazione dell’identità precedente. Non sempre il primo momento – quello negato – va perduto. Secondo il filosofo francese Paul Ricoeur “la riflessione occidentale si è dimostrata incapace di pensare insieme la differenza e l’identità: la differenza è stata pensata come il sacrificio dell’identità o l’identità col sacrificio della differenza”. I fatti hanno dimostrato che questioni più pragmatiche, come quelle politiche ed economiche, tanto per i talebani quanto per il governo italiano, sono assai più importanti delle espressioni artistiche che hanno fondato un’identità, un’identità percepita come ostacolo per il raggiungimento di scopi di altra natura (l’imposizione dell’iconoclastia islamica per i talebani; affari per diciassette miliardi di euro – si dice – nel caso del governo italiano). Sapete qual è il colmo di questa storia? Papa Francesco ha donato a Rouhani un medaglione raffigurante San Martino, il santo che vide un uomo nudo e lo coprì col suo mantello.


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