Sto. Tra ghirlande di taralli, sbuffi di farina e riccioli di vapore che si alzano, danzando, dal pentolone sul fuoco.
Farina sul tavolo e sulla punta del mio naso.
Quando ero bambina e mangiavo taralli. Ora, grande e bambina, a far taralli.
La mente vagamente persa nella farina e tra riccioli di vapore, un po’ malinconica ma anche contenta, le mani nella pasta morbida.
Ricordi che si perdono tra i taralli e nelle mani, scivolano dalle mani e si mescolano alla farina.
Acido irrompe il suono, sgraziato e stonato, del campanello di casa.
Lo ignoro con una certa efficacia.
Strilla ancora, stride le orecchie, sussulto e quasi strangolo a morte il tarallo che ho in mano.
Innervosita, vado ad aprire la porta ed esplode dentro casa Teresa.
Sorpresa, giusto per un istante, poi obietto decisa che la scuola è ancora chiusa….le feste.
“Le feste sono finite” replica lei, ruvida “da un pezzo. E voi mi avete seccato, con i vostri capricci”
Mi rendo conto di fissarla con occhi da pesce palla stordito ma il cervello arranca e non capisce cosa stia succedendo esattamente.
“Guarda che disastro!” insiste lei, guardandosi intorno e lanciandomi, attraverso nuvolette di farina, severe occhiate di muto, ma eloquente, rimprovero.
“Teresa non so…..gli altri hanno……..io sono…….”
“Vedo, vedo” mi fa burbera “ Tu sei molto occupata. Guarda che confusione. Comunque. Caterina è ora che si svegli e che si decida: tutte ‘ste storie “m’ama non m’ama” , “l’amo non l’amo”. Ha trovato un ragazzo delizioso e non fa che perdersi in sciocchezze”. Mi chiedo quando Teresa abbia conosciuto, questo uomo misterioso che, tutti sappiamo, turba i sonni di Caterina, ma nessuno ha mai visto in carne, ossa e pericolo. E come mai lo conosce proprio lei?! Io sorpresa, lei continua. “E comunque perché dovrebbe smettere di venire? E Giorgio! Dio santo! Una fortuna, per lui, essersi liberato di quella civetta smorfiosa e mezza scema.!” Ma senti miss spara sentenze! Non so più bene dove mettere le mani e dove guardare, benché temo che in questa sintesi grezza ci sia del vero, in qualche modo.
“Vuoi smettere di fissarmi instupidita?!”.
Mi stupisce la capacità di Teresa di mantenere il suo tono di secco, costante rimprovero, così irritante nelle parole mentre il suo corpo, le sue mani, si muovono in perfetta sincronia con me, nello spazio che ci contiene, come una musica che si dipana lieve mentre ripuliamo il tavolo, laviamo e mettiamo via le cose che non servono più.
I taralli vengono sistemati nelle teglie. Quelli cotti escono dal forno e quelli crudi prendono il loro posto, tutta la cucina torna in ordine.
“L’amore, l’amore. E le pene d’amore. E la vostra costante, irrisolvibile paura di vivere. Che noia! Come se avessimo tutto il tempo del mondo da sprecare così. E tu? Si può sapere che stai combinando?”
“Io?!”
“Si tu!”
In un istante sento il pavimento tremare pericolosamente sotto i piedi, mi piego sotto il peso di un’accusa gravissima che parte dallo sguardo tagliente di Teresa e mi si conficca …..non saprei……..nella parti più morbide ed indifese del cuore. Nella speranza, remota, che un evento calamitoso di proporzioni gigantesche mi risucchi in un vortice e mi porti lontanissimo da qui e dal giudizio impietoso di Teresa cincischio con il librone delle ricette.
Inaspettatamente però Teresa mi rivolge uno sguardo…..beh….. definirlo dolce…..un po’ troppo ma con dentro qualcosa di simile alla dolcezza.
“Dai” prosegue “che bisogna fare qui?”. E non saprei dire perché ma la sua voce mi sembra una carezza.
“Volevo fare anche i taralli salati” rispondo
“Ah buoni. Bene.”
Lo scorgo, credo di vederlo: un lampo nei suoi occhi. Una specie di allegra complicità, una specie, non so, di gaiezza misteriosa. Ma abbassa la testa e mi nasconde il sorrisetto dispettoso che ha sulle labbra. Non capisco da dove mi venga questo moto di simpatia. Sinceramente.
“Io pensavo…..pensavo che tu fossi..….” Balbetto
“Una stronza.” Sentenzia “…. non è che abbia fatto un granché per dissimulare il tuo pensiero”
Vorrei sprofondare, nascondermi, sparire, magari.
Teresa invece sghignazza e sembra divertita. O è molto saggia o pazza.
Bene: capire le persone non sempre è facile. Spesso ci sono sorprese.
Giudicare è umano, inevitabile ma bisogna ricordarsi di tenere aperta la porta del cervello ad ulteriori usi futuri.
Fare i taralli invece è molto più semplice e non presenta rischi, giusto un po’ faticoso.
Ad essere onesti parecchio faticoso, ci si potrebbe chiedere “perché fare tutta ‘sta fatica quando al supermercato li vendono a pochi euro?”.
Ovviamente non ho intenzione di rispondere a simili provocazioni.
Gli ingredienti sono:
1 kg. di farina 0
200g di olio
200g di vino bianco
2 cucchiaini di sale
Acqua q.b. facoltativa
Il procedimento è simile a quello dei taralli dolci (post precedente) ma qui non ci sono uova, perciò basta impastare la farina con olio e vino. Questo impasto e più “duro” da lavorare, rispetto ai taralli dolci, proprio perché non ci sono le uova, Purtroppo non si può barare: va lavorato a lungo, finché non è ben omogeneo ed elastico.
Note: NON si usa lievito. Non come invece capita di trovare nei taralli industriali, una cosa che mi fa venire i brividi (sì, la mia nota avversione al lievito).
Quanto all’acqua q.b. serve per ottenere i taralli come li faceva mia nonna (quindi, in sostanza, potrebbe non interessarvi una beata cippa). Il fatto è che mia nonna non li faceva proprio croccanti, croccanti ma rimanevano un po’….come dire……compatti.
Se, giustamente, dei sapori della mia infanzia non vi può fregare di meno, usate solo vino.
Il vino è come l’alcool per i taralli dolci: la parte alcolica serve per la croccantezza.
Visto che Teresa ha così tanta energia lascio che impasti ben bene e poi ripongo la massa in una bastardella, copro con la pellicola, perché l’aria non l’asciughi e metto un pentolone d’acqua sul fuoco.
“Non devi decidere avventatamente ma devi pur deciderti, cosa vuoi fare?” So che la domanda di Teresa non si riferisce alla grandezza dei taralli ma preferisco far finta che sia così.
La mia geniale nonna faceva dei taralloni giganti (stessa grandezza di quelli dolci, cioè del diametro di almeno 8cm.) ma in tutta la Puglia non ne ho mai visti così. Di solito i taralli salati sono piccolini, a volte anche piccolissimi. Decido al volo di farli piccolissimi.
Si prende un mozzico di pasta e si stende in un cordoncino con le dita. L’impasto è molto elastico perciò si ritira subito. Tu lo riallunghi. Lui si ri-ritira e così via. Ecco, questo bisognerebbe evitarlo. Bisognerebbe cercare di far capire al tarallo chi comanda. Un buon metodo consiste nel tuffarlo, detto fatto, nell’acqua bollente.
In due si lavora bene: Teresa forma i taralli e io li tuffo e li ripesco come vengono a galla. Quando sono ben asciutti finiscono in forno a 180° finché non sono dorati, una ventina di minuti dovrebbe bastare.
In due, tutto sommato, è divertente. Mentre traffichiamo ci scambiamo un sorriso.
“Credevo che pensassi che sono….”
Teresa mi taglia le parole di bocca: “Un po’ stronza.” Ma poi aggiunge indulgente “ A volte.”
Ecco, basta saperlo.