I ♥ Telefilm: Glee, Revenge, Bates Motel
Creato il 15 maggio 2014 da Mik_94
Buongiorno!
Come state? Rieccomi, con un nuovo appuntamento di I love
Telefilm. Da rubrica a cadenza casuale, questa, potrebbe
diventare puntualissima in queste ultime settimane di maggio: in
programma, ci sono tanti finali di stagione di cui parlare. Oggi vi
parlo di Glee e Revenge, giunti a conclusione questa
settimana, e di Bates Motel, che li ha preceduti appena di
qualche giorno. Tra i tre, Revenge si conferma un grande
intrattenimento che, con classe e divertenti colpi di scena, sa farsi
perdonare tutto, anche le virate verso Beautiful & Co. Bates
Motel, proprio come la prima stagione, promette cose che non dà
e, per quanto piacevole, si conferma un tantino inutile: come farsi
sfuggire di mano un'idea geniale. Ultimo, Glee, di cui ho
visto il ventesimo episodio proprio ieri: una quinta serie pessima.
La peggiore. E non tanto per l'assenza del povero Cory Monteith, che
già nella quarta stagione aveva un ruolo altamente sottovalutato dagli
autori, ma per la mancanza di idee di fondo e di numeri musicali
salvabili. Salvo due episodi su venti: il resto, lo dico
dispiaciuto, è una noia. Ditemi la vostra. Seguite qualcuna di
queste serie? Cosa ne pensate? Io scappo a studiare! Un abbraccio, M.
Glee
V Stagione
Glee.
Istruzioni per l'uso. Cosa salvare di Glee. In generale, due episodi
su venti, per una quinta stagione che percorre allegramente i
sentieri più pericolosi del trash. Lo sapete. E' in onda da ormai
cinque anni e posso dire di esserci cresciuto. Cinque sono gli anni
delle superiori e cinque anni fa, io ne avevo appena quindici. Non è
facile descrivere cosa sia diventato Glee. Oggettivamente, non più
il solito già da qualche stagione a questa parte. Ma, quest'anno, il
peggio, veramente. Personaggi insulsi, svolte stupide, cover che non
meritavano un secondo ascolto. Sceneggiatori... Ah, perché, Glee ha
una sceneggiatura?! Naaa. I fan all'opera, probabilmente, avrebbero
fatto qualcosa di meglio. Sicuramente, l'avrebbero trattato con
maggiore rispetto e cura. Nella seconda parte di questa serie, si
decide di seguire i vecchi protagonisti alle prese con la vita da
adulti, in una New York di bar canterini, vecchie volpi, esordi a teatro. Si
perde il liceo, si perdono le cricche e le classiche tematiche, si
perde il perché di ogni cosa. Gli autori hanno voluto tenere troppo
a lungo due piedi nella stessa scarpa, poi, scomodissimi, hanno
voluto cambiare. Di botto. Alle vecchie glorie, già precedentemente,
avevano affiancato nuovi personaggi: alcuni riusciti, altri scialbi,
altri da definire. Nel caso di Marley, Unique e Jake, personaggi
dalle doti evidenti. Non a caso le loro versioni di If I were a
boy e Wide Awake, proposte nella prima parte, sono tra le
cover più degne di nota di questa stagione sonnolenta. A un certo
punto, tabula rasa. I personaggi introdotti di recente spariscono nel
nulla, tutto si concentra sulle nostre vecchie conoscenze. Un anno
fa, avrei trovato la cosa entusiasmante. Peccato che, a lungo andare,
anche le persone più piacevoli di questo mondo vengano a noia e i
legami farlocchi che si formano tra loro possano sfiorare il limite
massimo del ridicolo. La relazione tra l'aspirante modello Sam e
Mercedes non è credibile nemmeno per un secondo; Artie in versione
sciupafemmine, con i suoi gilet a rombi del nonno e gli occhiali
senza fondo, è credibile quanto la Spears che canta Pavarotti; Kurt
e Blaine – prossimi alle nozze – sono noiosi, antipatici,
stucchevoli. Okay che di Colfer non ho mai avuto un'ottima impressione:
mi irrita come poche persone al mondo. Colori da pavone, voce da soprano, la capacità di rovinare a colpi di note perfino la canzone
più caruccia dei criticati One Direction, Story of my life (qui).
Il collega, Darren Criss, ha sempre avuto la mia stima: bravissimo,
alle prese con ogni genere musicale. Bravo lo è sempre, ma a stonare
sono i tratti sbiaditi del suo personaggio macchietta. Agli autori: per studiare
una coppia omosessuale realistica e affiatata, guardare quel
capolavoro di Shameless. Per il resto, temi ovvi, tanta e troppaRachel
Berry, tanti primi piani da wow della splendida Santana Lopez,
brani narcolettici personalizzati male e coreografati ancora peggio,
in una stagione che si conclude con una ruffiana Pompeii e un
destino infausto da sit-com. Discorso a parte, per gli episodi numero
tre e tredici. Gioiellini di scrittura, commozione vera. Il primo
(la mia recensione qui) al compianto Cory Monteith, il secondo
l'addio al Glee Club. Quel tredicesimo episodio aveva l'aspetto di
un addio nostalgico. E penso che sarebbe stato non solo un ottimo
finale di stagione, ma un ottimo finale per la serie stessa che –
so già – continuerà a trascinarsi stancamente per un altro anno
ancora. Quel giorno avevo la febbre, pensavo ad altro, ma l'immagine
dell'auditorium vuoto mi aveva fatto scendere le lacrime, giuro. Due
funerali nell'arco dello stesso show: Finn e il Glee club come noi lo
conosciamo. Un 9 a loro, uno spietato 4,5 al resto.
Revenge
III Stagione
Tre
anni di Revenge. Negli Hamptons, la vendetta va presa per le
lunghe. Altro che piatto da servire freddo! Il cammino della novella
Contessa di Montecristo continua a essere lastricato di colpi di
scena, vittime, bersagli a cui mirare. Le X sui nemici da
punire sono sempre più numerose. Quella famosa foto con il peggio
dell'alta borghesia costiera è sempre più piena di facce sbarrate
col pennerello, sempre più vuota. Restano in pochi, ormai. Eppure ci
sarà una quarta stagione. Un quarto anno di Revenge, e un
quinto? Gli ascolti, in caso, sosterrebbero la causa e gli
sceneggiatori, anche se non sembra, sfornerebbero nuove idee. Anche
le più assurde. Tutto, purché lo show di Emily vada avanti. E a
testa alta. La serie TV Abc, basata su un tema semplice e
affascinante, prende spunto dal capolavoro di Dumas, ma non dura un
romanzo. Ormai le intenzioni della protagonista sono cambiate, nuovi
personaggi si sono aggiunti, altri hanno lasciato il serial in una
bara, ma la sua vendetta non più a freddo non è diventata
stantia. Ha il gusto sfizioso e fresco degli inizi. Come il McDonald,
mica viene a noia: ingrassi, ma hamburger, coca-cola e patatine
continui a metterle in conto. No? Vestiti firmati, case che non avrai
mai, amori proibiti che speri di non avere: questo è Revenge.
Un coro di personaggi bellissimi nell'aspetto, ma dall'anima nera.
Personaggi che, ogni tanto, fanno anche un po' ridere, ma che ormai
fanno parte della tua settimana: il geniale e simpaticissimo Nolan
che cambia un partner – maschile o femminile che sia: non si butta
via niente, da queste parti – a stagione; Daniel e la sua faccia da
schiaffi; Jack e la sua aria perennemente imbambolata; i superbi
coniugi Grayson. Il mio sogno è andare a cena da loro: volerebbero
rivelazioni, piatti, coltelli appuntiti. I pantaloni, in casa, li
porta Victoria: l'ape regina. Una delle cattive più carismatiche e
amate del piccolo schermo. Sempre ben vestita, sempre velenosissima.
Imprevedibile. A darle il volto, Madeleine Stowe: l'immortale.
Cinquantasei anni portati alla grande. Più bella e più brava che da giovane, la Stowe si diverte e ci diverte con la sua
malignità, i suoi amanti, i suoi figli sbucati dal cilindro magico.
Ho il sospetto che, in ogni finale di stagione, la ibernino... o la
mettano sotto sale. Complimenti alla mamma, e al chirurgo: good
job! Degna rivale, altrettanto seducente, altrettanto padrona
della scena, Emily VanCamp. Nata e cresciuta in tv, si
scopre sempre più convincente, l'innocente biondina di Everwood.
Fa da indossatrice, fa il doppio-gioco, fa tele di menzogne in cui
non si perde mai. Sono loro il segreto di Revenge,
una serie TV che è donna nel sangue.
Eva contro Eva. Non
posso che parlarne bene, ma oggettivamente è un prodotto pieno di
difetti, sin dalla lontana immatricolazione. Il confine con Beautiful
è labile; i “Sono tua madre!”, “Sono tuo padre!”, “Sono
tua sorella!”, “Sono tua nonna!” a volte si sprecano; come in The
Following i morti
risorgono. E' una soap, nel profondo del suo essere. Però davanti a
uno dei finali di stagione più entusiasmanti degli ultimi
palinsesti, ci passi sopra. Concitato, teso, tragico,
divertentissimo. Non vedo l'ora di sapere cosa succederà, ed è
risaputo: io mi annoio subito. Ma non questa volta. Un trashata di
estrema classe, firmata Armani e Mike Kelley. (7+)
Bates Motel
II Stagione
Ho
legato dal primo momento con quel pazzo furioso di Norman Bates. C'ho
legato dalla prima serie. Le puntate erano finite, il titolo era
sparito dai palinsesti televisivi e quella famiglia decisamente fuori
aveva iniziato a mancarmi. Sono tornati un anno dopo, puntuali e da
molti indesiderati. Bates Motel non aveva fatto faville e,
effettivamente, non mi era difficile capire il perché. Una storia
potenzialmente splendida buttata alle ortiche. Ingabbiata in un
formato spiccatamente televisivo, ripulita per bene da sangue,
omicidi, rapporti incestuosi, morti su morti. Un tiepido thriller da
bollino verde, o al massimo giallo. Le puntate di questa seconda stagione sono volate,
senza intoppi, ma sono sempre stato in attesa di una scintilla, di
uno scoppio, del botto. Invece, niente. Attese e aspettative vane.
Bates Motel si accontenta di poco e mi dà fastidio solo per
quello. Perché sciupare così un'opportunità simile? Perché non
raccontare a regola d'arte i dolori del giovane Norman e la sua
trasformazione bestiale nel Psyco ricordato da tutti? Gli
sceneggiatori cercano nuove strade, inseriscono nuovi personaggi e
nuovi intrecci, ma la verità è che importano poco. L'attenzione è
per il protagonista, non per il fratello coinvolto in un giro di
narcotrafficanti, per gli amori di turno, per i misteri di paese.
Alla rete che lo trasmette, evidentemente, non piace sporcarsi le
mani. Ma io adoro il torbido, adoro il “malato” e, mentre perfino
la puritana Lifetime con Flowers in the attic giocava con il
sadismo e il proibito, trovavo Bates Motel sempre meno a
fuoco. Un teen drama gestito discretamente, ben recitato, privo di
tempi morti, ma che raccontava una storia diversa – nei toni e
nelle intenzioni – da quella resa nota dall'immenso Hitchcock. Ci
sono piccoli e insoddisfacenti cenni a tutto. Minuscoli. Il candido
Norman si macchia d'omicidio, ma involontariamente; il suo cervello e
il suo autocontrollo iniziano a spegnersi in momentanei black out; si
avvertono le conseguenze di un latente complesso di Edipo. La cosa
più inquietante di questa stagione, invece, si ha nei primi episodi,
quando l'affascinante Norma trascina il suo recalcitrante figlio a...
lezione di musical. Che ben vengano i pensieri cattivi, ma i duetti
con mamma no! Anche se questa mamma è la bellissima Vera Farmiga:
intensa, convincente, impegnata e al massimo, nonostante la modestia
del tutto. Sfoggiando una gran bella voce in una magistrale versione
a cappella di Maybe this time, un caschetto biondo e vestiti
floreali da casalinga anni '50, anima un personaggio senza lati
oscuri. Affettuoso, petulante, oppressivo, materno. Senza malizia;
fatta eccezione per un bacio sulle labbra, piuttosto candido, dato al
suo giovane partner, nel finale di stagione. Sono dell'idea che
Freddie Highmore, con il suo viso da eterno bambino, sia un
protagonista perfetto, ma il problema sta nella costruzione del suo
carattere, nella scarsa complessità del suo personaggio. La
sceneggiatura lo vuole un adolescente complessato, con buchi nel
passato e nella memoria. Problematico, ma non volontariamente nocivo.
D'effetto, però, lo sguardo in camera che lui – sempre più
psicopatico? - rivolge allo spettatore, alla fine. Bates Motel ha
un pregio che si chiama Vera Farmiga. Ha un'ambientazione moderna che
gioca con i colori del vintage, una colonna sonora retrò a cui si
alternano "sputtanatissimi" pezzi radiofonici, l'aspetto delle
occasioni perse. Mi ci appassiono, lo seguo bene, ma poi penso che
dovrebbe essere il prequel di Psyco e dico Peccato! (6)
Potrebbero interessarti anche :