I ♥ Telefilm: Selfie, Remember me, The Fall II
Creato il 10 gennaio 2015 da Mik_94
Selfie
Stagione I
Regola
numero uno dello spettatore compulsivo. Non affezionarsi mai alle
novità del palinsesto. Potrebbero avere vita brevissima. Finora, non
è mai stato un peso. Non è stato un peso, soprattutto, nell'autunno
2014 che, tra sit-com e supereroi fantomatici, non aveva occupato i
miei pomeriggi con troppe robe non dico notevoli, ma almeno carine.
Però Selfie era carinissimo, anche se per nulla originale.
Nato all'apparenza sulla scia della moda più imitata e odiata minimo
minimo dell'ultimo secolo, in realtà è una limpida, rilassata e
divertente riscrittura di My Fair Lady, ma senza canzoni o
questioni di etichetta. Il titolo Selfie indica
la mania inguaribile della protagonista, Eliza, di aggiornare
continuamente i Social con foto sue – ed è una bellezza, davvero:
lasciamole fare questi scatti per la pace nel mondo! – e
soprattutto la sua fortissima propensione all'egoismo. Eliza Dooley,
avvenente ma con un passato da nerd, lavora nel patinato e
competitivo mondo della pubblicità e, amanti saltuari a parte, non
ha contatti con gli altri. Non ha neanche un amico che non sia
puramente virtuale. Esiste una Eliza vera, e non quella oca e
festaiola di Facebook e Instangram? Com'è quella senza i trucchi di
Photoshop? C'è qualcuno che ha avuto il privilegio di conoscerla, senza
inviarle prima la richiesta d'amicizia? Ci prova il suo capo,
Henry: lienamenti orientali, papillon a non finire, l'avversione per
la tecnologia e i modi da damerino. L'opposto. Sono diversissimi, ma
c'è alchimia. Perché ci fanno sorridere sempre e perché, sotto
sotto, sanno di amarsi. Possibile superare gli abissi della
sbandierata friendzone, appianare le divergenze, dichiararsi prima
dell'episodio tredici? Chissà. Tredici episodi, purtroppo, e ha
avuto fine lo sfortunato Selfie.
Che non mi pesava, che mi metteva puntualmente di buon umore, che era
una delle novità meno nuove, ma più piacevoli. Perché
anche qualcosa che non è niente di che, una volta a settimana, a
vita, sa fare la differenza. Selfie è
stato un po' così, per il sottoscritto. Situazioni riuscite, una
popolosa e colorata galleria di comprimari, due protagonisti
centratissimi. John Cho che, dopo American Pie, anche
con un ruolo tanto igessato, sa come farci divertire a modo suo; e
soprattutto la mia rivelazione: Karen Gillan. Non l'avevo mai vista
l'attrice di Doctor Who,
buona protagonista tra l'altro anche del recente Oculus e comparsa blu e calva nei Guardiani della galassia,
ma l'ho vista adesso ed è stato amore. Dopo la Deschanel, ora c'è lei:
un metro e ottanta, gambe chilometriche, vestitini mini e una voce
squillante, che si presta a fresche gag e a una cosa bella come la
cover “da brilla” della Chandelier
di Sia (qui). Una novella Isla Fisher che, ogni weekend, ci dava, fissa,
appuntamento. Imdb dice che ha un'agenda piena zeppa: vorrà dire
che, se non qui, sigh!, la rivedrò altrove. (6,5)
Remember Me
miniserie tv (3 episodi)
In
una mattina di nuvole nere, il misterioso Tom Parfitt – che forse
ha ottant'anni, forse centodieci – simula un malore e si fa trovare
accasciato ai piedi di una scalinata, nella sua casetta di mattoni, incastonata tra altre casette di mattoni. Decide, così, di abbandonare ogni cosa e, con una
valigia vuota, di raggiungere l'incubo di ogni anziano: una casa di riposo. Vuole lasciarsi qualcosa alle spalle,
qualcuno. Guai a portare con
sé uno spillo, un oggetto, una fotografia. Gli oggetti appartenuti a
lui, alla sua lontana gioventù, sono come maledetti. E perché?
Inizia a domandarselo una giovane infermiera, che lavora con le
persone anziane per pagarsi l'università e per stare lontano da casa
– da una madre incostante, da un fratello minore che ha bisogno di
attenzioni continue -, quando una sua collega vola inspiegabilmente
giù da una finestra blindata e, impregnate d'acqua salmastra e
circondate da conchiglie, vengono trovate nuove vittime legate, in un
modo o nell'altro, a quel vecchio senza identità e al suo
bruttissimo segreto. Remember me
è il realizzarsi di una specie di mio sogno nel cassetto, scherzando
scherzando. Lo sceneggiato tipo per chi non resiste alle ghosh story,
ai vecchietti burberi, all'innata eleganza britannica. Composto da
tre sole puntate, proposto dalla BBC con l'anno che finiva, è un
prodotto curato ed estremamente interessante ma, penalizzato forse
dai pochi episodi, non è esente da difetti più o meno perdonabili.
Ci sono punti che rimangono nebulosi, passaggi frettolosi
intervallati da passaggi lenti, personaggi un po' abbozzati che
prendono subito a cuore i bisogni dell'altro, una storia di spettri e
ossessione che uno Stephen King a caso avrà già raccontato meglio, prima, altrove. Il primo episodio è praticamente perfetto; il secondo ha un
inizio lento e una chiusa che promette tanto; il terzo – destinato
a uno di quegli epiloghi emozionanti che, da The Orphanage
a La Madre, il mondo
dell'horror non ci nega – dice e non dice. Ho trovato che al
servizio di una storia non degna di nota, però, ci fossero cose
fantastiche a dir poco. Dettagli che fanno la differenza in un
intreccio non sempre all'altezza delle aspettative. Come la
fotografia, sontuosa: scenari cupi, acque limpide, cieli pulsanti di
corvi e venti. A brillare, insieme ad essa, l'ottima regia e lo
straordinario protagonista: il Michael Palin dei Monty
Phyton, che emoziona nel senso
più ampio del termine, trasmettendo inquietudine, sofferenza,
leggerezza. Arzillo e ancora affascinante, ruba ogni attenzione e si
contende la scena con il detective interpretato dal simpatico e
corpulento Mark Addy (Full Monty)
e con la dolce infermiera Jodie Comer, che gli appassionati
conosceranno per My Mad Fat Diary.
Un mistery di grande atmosfera, non particolarmente brillante nella
scrittura ma sublime nella resa, che qualche raro sussulto lo
regala, insieme a un orrore che è in rima con incanto. (7)
The Fall - Caccia al serial killer
Stagione II
Essere
troppo fighi – e io lo so bene, certo – non è cosa facile. Essere
un serial killer troppo figo – e questo, invece, no che non lo so –
è proprio difficilissimo. Può dircelo Paul Spector, l'assassino di
donne più corteggiato, minacciato e ricercato del piccolo schermo.
Lo vogliono gli agenti della polizia, per metterlo dietro le sbarre;
i mariti gelosi, per riempirlo di botte; le sexy baby sitter
minorenni, per passare la prima notte d'amore con lui; la moglie, al
contrario un po' cozza, che comincia a non credere più alle sue
continue bugie. Cosa fa l'insospettabile Paul Spector,
assistente sociale e psicologo, quanto è l'ora di dormire? Nella
prima stagione di The Fall ci avevano mostrato il modus
operandi e le reti di inganni del sociopatico irlandese. Alla fine,
un intoppo e Stella Gibson che gli stava con il
fiato sul collo. Dopo un anno, anche se io avevo già a disposizione
tutte e due le serie, fortuntatamente, si ritorna nella tetra Belfast
e nella testa di un'omicida che ha già mietuto tre vittime. Ambientata in tempo reale, la seconda serie conta sei episodi –
con un season finale che, con uno strappo alla regola, dura un'ora e
mezza – e si svolge in un paio di giorni. Non ci sono altri
massacri e, a un certo punto, molto prima di giungere all'epilogo, la
polizia riesce a dare un nome e un volto al male. Gli episodi, accantonando la noiosa
indagine secondaria della serie precedente, hanno occhi solo per
Stella e Paul. Testimoni della caduta. Ma chi è che cadrà? Il
cattivo, messo al tappeto dalla giustizia; o colei che rappresenta il
bene, tuffata a capofitto in un abisso passato di abusi, case
famiglia e pedofilia? Partito del tutto in sordina, The Fall si
è rivelato ancora una volta un ottimo intrattenimento: un poliziesco
dei più classici, ma estraneo alle americante a cui siamo assuefatti. Il ritmo è lento, ma giusto, e i protagonisti non sono
macchine perfette: sbagliano, si fanno prendere la mano.
Piacciono per quello – per i passi falsi, le piste sbagliate, la
pigrizia della burocrazia. Rispetto alla prima stagione, questa è
più focalizzata sulla loro psiche e solo apparentemente è meno
densa di fatti; scorre, in realtà, meglio. Lo spettatore ha
capito come funziona il gioco e i creatori si sono fatti furbi. Si
capisce da un dinamismo aggiuntivo e dal fatto che, con una certa
concupiscenza, questa volta indugino un paio di volte in più sul
fisico scolpito e il fascino innegabile di un Jamie Dornan sì post
Cinquanta Sfumature,
ma sempre ineccepibile. Più malizioso, fa della
precoce e provocante tata Katie un personaggio chiave e lascia
intuire, con un bacio saffico veloce, che scottano le lenzuola
dell'algida Stella, una Gillian Anderson ufficialmente rinata. Si parla delle donne che occupano ruoli di potere, della
violenza che il genere femminile ancora oggi subisce – a lavoro, a
casa, in prigionie forzate – e si aggiunge al cast, in un ruolo da
poco, Colin Morgan. Ma l'ex Merlin,
se non fosse per le orecchie enormi, non spicca. L'ultimo episodio, serratissimo grazie al montaggio degno di nota, ci
mostra un lungo e bellissimo interrogatorio – la macchina da presa
che gira intorno a loro, i campi e i contro campi, le accuse e le
manipolazioni – e ci saluta con un epilogo brusco, che non
è né abbastanza aperto, né abbastanza chiuso. Sarebbe un peccato,
comunque, chiuderla qui. Il rischio di un altro Hannibal e
di un ennesimo The
Following potrebbe esserci, ma
The Fall è più realistico,
diretto e pragmatico degli altri. Ho fiducia che, potendo, non
commetterà questo errore. (7,5)
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