II Stagione
Partito nel migliore dei modi, l'anno scorso, The Following si era concluso con una prima stagione fatta di alti e bassi. Puntuale, ecco arrivare la seconda. Senza misteri, percorre la stessa strada della prima e, puntuale anche in questo, inciampa nelle stesse buche, rischia di crollare a peso morto negli stessi tombini, s'incespica per le stesse salite. Ha un motore che borbotta ed è seguita da spettatori che borbottano, nelle loro poltrone. Come perdonare alcune trovate? Come smettere di seguirlo? Pretty Little Liars è brutto, non The Following. Questo è oggettivo. Mentre quelle quattro oche, però, non destano particolari critiche, nella loro idiozia senza fine, The Following verebbe da criticarlo a lungo, nonostante varie e rare note positive. Era partito come un novello Hannibal, con la storia di un detective ossessionato da un burattinaio dietro le sbarre. Nell'attimo in cui Joe Carroll era evaso, però, lo spunto iniziale era sfumato via. Questa, dunque, era diventata la solita serie in cui i protagonisti si limitavano, per una dozzina di episodi, a giocare a guardie e ladri. Chi fugge, chi insegue, chi muore, chi resuscita. In The Following tutti resuscitano. Hanno vite illimitate, come in un videogioco. Se muori, puoi ripartire dal check point. Corpi crivellati di proiettili hanno la forza per alzarsi in piedi e chiedere aiuto ad altri cattivoni, gente caduta dal primo piano e con le ossa rotte può afferrare la caviglia dell'uccisore – come da copione – per far sussultare lo spettatore ormai preparatissimo, tiratori scelti del FBI possono mancare un bersaglio umano a venti centimetri. The Following parte da un paradosso di per sé, questa volta. Da una forzatura della sceneggiatura che salva il personaggio più interessante da morte certa giusto per fare andare avanti la storia. I seguaci diventano adepti, la Bibbia diventa ispirazione per supplizi al posto del classico Edgar Allan Poe, i manipolatori vengono manipolati. Il cast è di serie A. L'affinità tra Bacon e Purefoy continua ad esserci, il giovane Shawn Ashmore ha una bella grinta e, questa volta, si aggiunge anche una femme fatale. Una bellissima Connie Nielsen (Il Gladiatore, L'avvocato del diavolo) che più invecchia e più acquisisce fascino: ricorda la Basinger. Davanti ai suoi quarantanove anni magnificamente portati, potrei anche credere all'immortalità di Carroll & co, sì. Insieme a lei, altra new entry: il bravo Sam Underwood in un duplice ruolo. Luke e Mark – e io pensavo veramente si trattasse di due gemelli, ignorando chi fosse l'attore – sono due simpatici fratelli necrofili, bipolari e imprevedibili. Belli, gioviali e sorridenti, come gli assassini di un Funny Games mainstream. Il tutto, francamente, si regge anche benino, ma io ho avuto la stessa impressione, guardando il fiacco finale di stagione, che provo davanti a The Vampire Diaries – perché seguo anche quello, quindi non rompete! Questo serial potrebbe proseguire fino alla fine del mondo. Ché poi di The Vampire Diaries ha gli stessi intrecci “fantasiosi” e la stessa penna: dietro entrambi, Kevin Williamson. Lo stesso della saga di Scream, con il suo umorismo involontario, le sue idee inesauribili, sette vite jolly per ogni personaggio. Divertente nella sua improbabilità. (6+/10)
IV Stagione
E' finito. Per sempre. E quando i titoli di coda sono apparsi dal nulla, per l'ultima volta, ho pensato che avrei potuto piangere. In caso, sarei stato giustificato, no? Di Being Human non ho mai parlato, eppure le occasioni non sono mancate. E' una serie molto sottovalutata. Ma quando si parla di remake va così. Il Being Human canadese che ho visto io, infatti, arriva sulla scia dell'omonima versione inglese. Avrà lanciato più di qualche attore, ma a me non convinceva: l'ho abbandonata ai primi episodi. Tetri, spogli, strani. E' dal 2011 che la versione US mi fa compagnia. Pian piano, mi ha aperto il cuore. Uno scenario da sitcom: quattro pareti, un divano sfilacciato, un soggiorno, un cucinino, un sottoscala pieno di polvere. Tre coinquilini molto, molto speciali. Troppo. Un unico tetto, a volte, diventa un po' poco per per contenere tre uragani come loro. Tre creature della notte, ma nascoste dietro vite ordinarie. Non vorresti mai trovarti da solo con loro. O forse sì? Io propendo per il sì. Sono la più calorosa delle famiglie, gli amici che sogni di avere. Anche con le zanne affilate, gli ululati folli, i corpi invisibili che bucano le pareti. E' l'umanità che cercano, ma l'hanno sempre avuta dalla loro. Parlano dell'impossibilità di amare al giorno d'oggi, dei dissapori di una vita coniugale che fa troppo borghese, di avere figli, di sposarsi. Eppure non sono tutti santi, eppure non sono sempre stati persone gentili. In quest'ultima serie sono più fragili, stanchi e piccoli che mai. La loro casa – ed è una casa tanto cattiva – prende vita e i loro simili minacciano di separare ciò che è diverso. Being Human è una serie sulla diversità, sull'equilibrio pacifico tra opposti – bianco e nero, bene e male, uomo e donna, lupo e vampiro. Si mettono da parte le divergenze, la fame incontrollabile, la pelle che cambia, in nome della pacifica convivenza civile. C'è chi lascia tracce delle sue vittime sul pavimento, chi ha riempito gli scomparti del frigo con disgustose sacche di sangue, chi perde peli in giro per casa, chi – invisibile – entra nelle stanze altrui senza nemmeno bussare! Discutono, meditano di tanto in tanto di uccidersi a vicenda, si amano di un amore strano e puro. I personaggi da tre diventano il doppio, da un trio si diventa una famiglia - stagione dopo stagione. Il timido lupo Josh (Sam Huntington - Dylan Dog; Veronica Mars), trova la forza di dichiararsi a una sua adorabile collega (Kristen Hager – Valemont) e fa la domanda, da inserviente spiantato, per diventare infermiere. Nell'ultima puntata, è sposato, è padre, fa torte. Il centenario vampiro Aidan (Sam Witmer – Smallville, The Mist) è coinvolto in congiure shakesperiane, passa da un leader ad un altro, crea nuovi vampiri e miete nuovi vittime, cambia amanti e abitudini. Nell'ultima puntata, è un eroe che sente quello che pensava di non poter sentire più. La giovane e bella Sally (Meaghen Rath – L'altra metà dell'amore), invece, infesta quella casa come spettro dall'episodio pilota. Quell'appartamento, una volta, era il suo covo d'amore. E' stata una vittima di violenza domestica. E' morta in pigiama. Ha sbattuto la testa e si è svegliata in oniriche dimensioni parallele. Nell'ultima puntata, anche lei è cambiata: è morta, risorta, morta ancora. Ha scoperto la stregoneria, la magia nera, l'amore di un vampiro che – mera essenza com'è – non può sfiorare. La serie TV si è conclusa a forza, ma non ci sono forzature e non c'è fretta. Il finale è appagante, consolatorio, dolce, nostalgico. Quello stucchevole, ma bellissimo che – da fan – avevi sempre sognato. Alla fine dell'ultima stagione, per un po', farete come me. Li cercerete nelle corsie di un ospedale, tra l'erba fitta, in una casa stregata. Being Human è un paranormal sanguinoso, ma genuino: molto meno paranormal di quel che appare. Con toni comuni, racconta semplice semplice la vita di persone non comuni. Assolutamente consigliato. (8/10)
III Stagione
L'anno scorso avevo preparato un post sulla seconda stagione di Teen Wolf. Poi il file mi aveva abbandonato, perduto nella formattazione improvvisa di un computer che – da un giorno all'altro – aveva deciso di dare di matto. In quel documento di Word c'erano scritte belle cose. Teen Wolf mi piaceva proprio. Anche con gli attori schifosamente belli, il budget basso, i trucchi “fatti in casa”. Mi divertiva, mi sorprendeva. Dopo una prima stagione scorrevole e ironica, con scarse novità e scarse pretese, nella seconda c'erano stati grossi passi avanti. C'era una passione che colmava i buchi del budget, tanto impegno. Perfino la nuova sigla – curata, affascinante, adulta – era il sintomo di un cambiamento generale, nei toni e nei contenuti. Nell'estate dello scorso anno, la serie targata MTV è tornata con una terza stagione e con ben 24 episodi. Due serie al prezzo di una. Alcune cose mi sono piaciute molte, altre per nulla. Il taglio è quasi cinematografico, le atmosfere sono piacevolmente dark e le venature orrorifiche sono funzionali. E' una serie d'atmosfera, realizzata anche con un certo gusto. Giovane, leggera, pure ben recitata, se vogliamo. Ma questo vale soprattutto per la prima parte. Con il passare del tempo, Teen Wolf commette un errore imperdonabile: prendersi troppo sul serio. Si complica, e male. E' pregevole la sua voglia continua di arricchirsi e rinnovarsi, ma l'esplorazione di un nuovo apparato mitologico mi è sembrata frettolosa, arrangiaticcia, inverosimile. Forzata. Dall'oriente prende in prestito i mostri, i demoni, le spade, ma non il fascino seducente. Il serial vorrebbe cambiare, ma resta – nel bene e nel male – sempre lo stesso. C'è tensione, ma anche generale confusione. E' forse così che si crea il mistero? Dimenticabili alcuni dei nuovi personaggi – i “gemelli diversi” (che a me fanno troppo ridere!) e Kira – e piuttosto spenti alcuni dei vecchi – Allison, Isaac, Derek. La rivelazione più grande e lo scoprirsi gradualmente protagonista del bravo Dylan O'Brien, il mitico Stiles. Ruba la scena alla vera star – Tyler Posey – senza difficoltà alcuna. Simpatico, imbranato, nerd, è il novello Seth Cohen, ma con una problematicità imprevista. Ha scene importanti, momenti che richiedono anche una certa bravura. Negli ultimi episodi, però, anche lui non convince: la trama lo vuole in balia della follia e lui sfoggia una serie di smorfiette che vorrebbero ricordare il magnetico Joker di Heath Ledger. Tentativo fallito, caro Dylan. Il finale – costellato da tragedie e scomparse – ricorda vagamente un The OC in salsa urban fantasy e maschera (male) la volontà di alcuni membri del cast di abbandonare prematuramente lo show. L'ultimo Teen Wolf è deludente. Stanco morto, fiacco. Il dottor Ink consiglia sole, riposo, un'alimentazione salutare e una sana rispolverata. Ci rivediamo l'anno prossimo per un check up completo. (5/10)