7 gennaio 2015 di Dino Licci
*gli ordini canonici del santo sepolcro fondato nel 1099 da Goffredo di Buglione ;
*poi gli ospitalieri o teutonici , cavalieri di San Giovanni dell’ospedale;
* quindi i Templari.
Questi templari erano monaci e soldati al tempo stesso quindi difficilmente inquadrabili in una delle tre categorie che costituivano il rigido sistema sociale del tempo:
*I Bellatores (che combattevano)
*gli Oratores (che pregavano)
*i Laboratories(che lavoravano)
Quest’ordine cercò di coniugare le virtù monacali con l’uso delle armi e dobbiamo pensare che fu subito ben visto da tutti se anche il re Baldovino li accolse in Gerusalemme concedendo loro di entrare nel suo palazzo dove sorgeva il “Tempio di Salomone.” Da questa vicenda scaturisce il nome di Templari o Cavalieri del tempio.
La loro costituzione dovette essere consacrata dal concilio di Troyes (1118) dal papa Onorio II, che suscitò l’imbarazzo che la novità suscitava, con l’aiuto di quel Bernardo di Chiaravalle, monaco cistercense fondatore della famosa abbazia e dottore della Chiesa, che accorse in suo aiuto avallando la decisione papale col “De laude novae militiae”, una sorta di proclama in onore dei cavalieri.
Per capire bene l’indole di Bernardo da Chiaravalle basti pensare che era in perenne conflitto col filosofo Abelardo ( e col suo maestro Roscelin) perché quest’ultimo osava leggere Averroè ed Avicenna, tentando una fusione tra le diverse culture dell’epoca. Bernardo era così rigido anche verso se stesso che si copriva gli occhi passando sul lago di Ginevra, per non “peccare” beandosi del meraviglioso spettacolo della natura. Fu lui, Bernardo, a coniare il termine “malicidio” per giustificare le carneficine cui i crociati sottoponevano gli “infedeli” perché ammazzando essi si ammazzava il male che era in loro in quanto non credenti. Uccidere un infedele diventava dunque, nella concezione di Bernardo, un servizio meritevole reso alla causa divina:
«Il Cavaliere di Cristo uccide in piena coscienza e muore tranquillo: morendo si salva, uccidendo lavora per il Cristo».
E ancora: «Egli è strumento di Dio per la punizione dei malfattori e per la difesa dei giusti. Invero, quando egli uccide un malfattore, non commette omicidi, ma malicidio, e può essere considerato il carnefice autorizzato di Cristo contro i malvagi.»
L’Ordine dei templari così costituito con a capo certo Ugo di Payns, fu baluardo di fede e di sapere e fu riverito oltre che temuto per le grandi doti militari ma anche commerciali dei suoi adepti. Esso acquistò presto grande potenza, possedendo eserciti invincibili, depositi d’oro e d’argento per le donazioni che venivano loro elargite, flotte, possedimenti e crediti da parte di molti potenti. I Templari costruirono grandi cattedrali gotiche e praticarono le arti occulte, la cabala, l’alchimia, l’ermetismo, la magia. Fra i compiti dei templari c’era anche quello di vegliare sulle tavole di Mosè, l’arca dell’alleanza e il leggendario sacro Graal, che non furono più ritrovati dopo il loro sterminio avvenuto, come vedremo, ad opera di Filippo il bello con la complicità di Clemente V. Pare che l’idea di sterminare i templari derubandoli delle loro enormi ricchezze, venne a Filippo il bello, che usò parte di quei denari per la costruzione della cattedrale di Notre Dame, ma ci dispiace dover constatare che la Chiesa guidata da Clemente V, non seppe difendere questi monaci guerrieri che le avevano reso tanti servigi. Interessante poi notare che il consigliere del re era quel Guglielmo di Nogaret che insieme con Giacomo Colonna (detto Sciarra), oltraggiò (alcuni dicono schiaffeggiò) ad Anagni, Bonifacio VIII, reo di aver scomunicato il re. Le accuse verso i templari erano molteplici ed infamanti e andavano dalla sodomia all’eresia, dalla bestemmia alla collusione con gli infedeli islamici. Nessuna prova fu addotta ma si estorsero le confessioni con feroci torture alle quali non si sottrasse neanche il capo dei cavalieri, il gran maestro Jacques de Molay, che fu arrestato il 14 Settembre 1307. I templari germanici che riuscirono a scampare confluirono nei cavalieri teutonici, mentre i superstiti spagnoli furono accolti nell’ordine di Calatrava ed il loro simbolo apparse anche sulle caravelle di Colombo. Ma la parte residua più consistente dei superstiti di quella carneficina pare che operi in gran segreto come “Militia Templi” e si dedica alla simbolica ricerca del sacro Graal cercando di esaltare le doti dell’uomo sia sul piano materiale che spirituale attraverso ogni forma di scienza, alchimia o disciplina esoterica. Ma per un discorso veramente esaustivo sul ruolo dei templari, non ci si può fermare a studiarli da un punto di vista puramente storico, essendo in essi compenetrato quel bisogno di evoluzione spirituale che fa di ogni uomo di buona volontà un ricercatore assiduo della verità, un eterno Prometeo che sfida l’ira degli dei pur di rubare ad essi il fuoco della conoscenza. E forse è proprio questo che simboleggia il Sacro Graal, il simbolo del sapere che si rinnova generazione dopo generazione, assumendo nuovi significati con l’evolversi del sapere, ma conservando il germe primigenio e universale della guarigione, nascita e rigenerazione.
Molti documenti dimostrano la presenza dei Templari in terra d’Otranto, primo tra tutti l’inventario dei loro beni voluto da Roberto d’Angiò nel 1308. Esso ci dimostra che non pochi erano gli immobili e gli appezzamenti di terreno coltivati soprattutto a vigneto, che essi possedevano all’interno e nei dintorni della città di Lecce. Molti di essi si trovavano all’interno della cinta muraria, soprattutto nelle vicinanze di San Matteo e sul tragitto che da piazza Sant’Oronzo porta a Santa Croce dove c’è una chiesa detta santa Maria del Tempio, che sorge appunto in via dei Templari. Ma anche in agro di Maglie c’è una località San Sidero esteso fino al feudo di Melpignano che apparteneva ai vecchi cavalieri. Ancora in Galatina, nella piazza vecchia, c’è una Chiesa dedicata a santa Maria del Tempio come pure a Tricase ed anche in Otranto esistevano loro possedimenti come risulta da una lettera che nel 1198 il papa (Celestino III o Innocenzo III) inviò all’arcivescovo di Trani ed all’arcidiacono di Brindisi e che ad essi fa riferimento. Ma oltre ai beni materiali i cavalieri lasciarono in Puglia l’impronta della loro apertura mentale se collaborarono con il grande Federico II nel tentare di fondere insieme la civiltà orientale con quella occidentale, evitando tanto spargimento di sangue. Sappiano come questo atteggiamento dello “Stupor Mundi” urtò la suscettibilità della Chiesa che divenne acerrima nemica di Federico. Pare che l’ottagonale Castel del Monte più che un padiglione di caccia o un osservatore astronomico, fosse un luogo di accoglienza per questi valorosi guerrieri che seppero far germogliare in Puglia il seme di civiltà lontane, di culture diverso ed in un certo senso più progredite della nostra. I conquistatori islamici, per volontà di Maometto, si spinsero in terre lontane e copiarono pur analfabeti, le usanze di popoli raffinati come la Persia, la Grecia, l’Egitto. I templari riuscirono a mettere a frutto questa loro capacità ed insieme con gli ebrei, che riuscivano a tradurre dall’arabo in latino molte pagine sulle conoscenze orientali, contribuirono ad aumentare la “conoscenza” nella nostra terra, dove fino a quel momento la cultura era stata un privilegio di pochi ecclesiastici.