I veri sprechi della Casta? I rimborsi elettorali. Hanno bruciato più di due miliardi di euro in undici competizioni elettorali

Creato il 01 febbraio 2012 da Iljester

Nel 1993 venne fatto un referendum, a cui io stesso ho partecipato, nel quale si chiedeva al cittadino se intendeva abolire la legge sul finanziamento pubblico dei partiti. La risposta fu praticamente univoca: «Sì. Vogliamo abolire il finanziamento pubblico. Niente più soldi pubblici alla politica». Peccato che — come molti altri referendum (esempio: responsabilità civile dei magistrati e sistema maggioritario) — sia rimasto lettera morta. All’epoca — in piena Tangentopoli — la Casta corse ai ripari e aggiustò, giusto in tempo per le elezioni successive (quelle famose del 1994), la legge sui rimborsi elettorali. Nel 1997 (la legge n. 2/1997), il finanziamento viene reintrodotto attraverso il meccanismo volontario della destinazione del 4 per mille dell’Irpef. Il gettito effettivo, di fatto, risulterà molto inferiore alle aspettative e nel 1999 (l. 157/1999) i partiti corrono ai ripari ripristinando il loro finanziamento pubblico attraverso i già esistenti rimborsi per le spese elettorali, quintuplicandoli.

Voi vi chiederete: ma se trattasi di rimborso, evidentemente io — partito — vado davanti al cassiere dello Stato e gli dico: «Caro amico, queste sono le ricevute di quanto ho speso nella campagna elettorale. Rimborsami». Macché! La vergognosa e insulsa legge prevede un meccanismo di rimborso molto più facile per i partiti che, appunto, quintuplicano i rimborsi. In altre parole, i partiti non vengono rimborsati per quanto effettivamente spendono, ma in base alle percentuali di voto, calcolati però sull’intera base elettorale avente diritto. Una porcata bell’e buona. Faccio un esempio pratico e banale. Abbiamo i partiti A, B e C. Il primo raggiunge il 20% dei voti. Il secondo raggiunge il 30% dei voti, il terzo raggiunge il 25% dei voti. Ora sommando, abbiamo un insieme di voti pari al 75% del totale. Ebbene, i rimborsi elettorali si calcolano suddividendo le percentuali sopra indicate non sulla base del 75%, bensì sulla base del 100% degli aventi diritto. In altre parole, conta anche chi non è andato a votare!

Questi sono gli sprechi: 2 miliardi e 254 milioni per cinque elezioni politiche, tre regionali e tre europee. E questa è la farsa che poi induce anche alla disonestà. Ed è il caso del tesoriere della Margherita che si è trattenuto 13 milioni di euro. Ma questi rimborsi poi creano persino dei conflitti all’interno dei partiti, perché — appunto — si tratta di cifre da capogiro. Cifre che vanno ben oltre le effettive spese elettorali. Se per esempio un partito spende cinque milioni di euro per la campagna elettorale, lo Stato gliene rimborsa 25 milioni. I partiti diventano grossi e potenti, acquistando attività, immobili e investendo in titoli e azioni.

La proposta? Tornare allo spirito del referendum del 1993 e abolire completamente il finanziamento pubblico ai partiti. Al massimo si potrebbe prevedere una legge che rimborsi le spese elettorali per il 50% di quelle documentate. Il resto, i partiti se lo recuperino in un altro modo, magari attraverso pubbliche sottoscrizioni o anche attraverso i finanziamenti di fondazioni ed enti privati che però devono essere sottoscritti alla luce del sole, di modo che si eviti il fenomeno delle lobby occulte. Il cittadino, quando vota, deve sapere esattamente chi vota e quali sono gli interessi di chi effettivamente sostiene economicamente quel partito.

di Martino © 2012 Il Jester 


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